Il mito di Masha

La complessa personalità di Maria Sharapova in "Unstoppable", la sua autobiografia appena uscita.

Dall’exploit di Open in poi, il pubblico librario sembra andare matto per i memoir scritti da tennisti, gli editori gongolano e i titoli proliferano. Unstoppable di Maria Sharapova è solo l’ultima autobiografia arrivata in libreria (per la traduzione italiana c’è ancora da attendere) e potrebbe essere liquidata come l’ennesimo tentativo di dare ai lettori un impasto di drammi sportivi e personali, vittorie epiche, particolari pruriginosi e un lieto fine, se a scriverlo fosse stata una tennista qualsiasi e non Maria Sharapova, ex numero uno del mondo, vincitrice di 5 tornei del Grande Slam (2 Roland Garros, 1 Australian Open, 1 Wimbledon, 1 Us Open), giocatrice che ha, sin dagli inizi, catalizzato l’attenzione dei media, raccogliendo sentimenti contrastanti per quel suo apparire impenetrabile e per quel muro eretto a difesa di una personalità inevitabilmente complessa.

 

Wimbledon 2004 e la rivalità con Serena

Maria-Sharapova-2Il mondo scopre Maria Sharapova detta Masha il 3 luglio 2004. Appena diciassettenne, la tennista russa si aggiudica il torneo di Wimbledon dominando in finale la favoritissima Serena Williams col punteggio di 6-1 6-4. È altissima, esile, bionda, contrasta anche esteticamente con la campionessa americana. Nello stesso pomeriggio, l’altra metà del cielo (tutti coloro che non amano Serena Williams) trova una nuova eroina e la Wta una rivalità che avrebbe garantito introiti per i due lustri a venire.

È anche il pomeriggio in cui Serena giura a se stessa che non perderà più contro quella ragazzina. Unstoppable cita Serena decine e decine di volte, quasi mai in termini lusinghieri: «Io e Serena dovremmo essere amiche, abbiamo la stessa passione… eppure non lo siamo». Dopo la finale persa, Serena si congratula con l’avversaria prima di rintanarsi nello spogliatoio per sfogare rabbia e delusione. Masha, nello spogliatoio vicino, la sente disperarsi. Perché le due campionesse non sono amiche? «La risposta è in quello spogliatoio», scrive Masha, «penso che mi abbia odiata perché l’avevo sentita piangere».

Come in ogni rivalità che si rispetti, l’odio agonistico non è però unidirezionale, e quello di Masha risale a due anni prima. Ballo dei vincitori di Wimbledon 2002: tutti i presenti tributano una standing ovation a Serena, vincitrice del torneo femminile; solo la vincitrice del torneo juniores, la quindicenne Sharapova, rimane seduta, e «bloccata su quella sedia con un solo pensiero: ti prenderò».

Sembra la storia di una reciproca ossessione, in breve si trasforma però in qualcos’altro. Dopo un 2004 nel quale, oltre all’affermazione londinese, si impone anche nello scontro diretto sul duro di Los Angeles, Masha non riesce più a battere l’avversaria. Ad oggi il bilancio tra le due rivali è impietoso: su 21 incontri, Serena ne ha vinti 19. Se non è un dominio assoluto, poco ci manca. Con il sempre più imbarazzante complesso d’inferiorità della russa che, dal 2005 a oggi, ha strappato all’americana appena un set (peraltro in un incontro che poi Serena ha vinto 6-0 al terzo), la rivalità si è presto trasformata in una lotta impari. Le tante pagine di Unstoppable dedicate a Serena, proprio per questo, sembrano avere a che fare con la realtà molto meno di quanto non rispondano al bisogno della Sharapova di trasformare la tennista più forte della sua epoca nella propria nemica.

Wimbledon Championships 2004 - Day 12
Wimbledon, 2004

La squalifica

Il mondo scopre il lato oscuro di Maria Sharapova il 7 marzo 2016, quando in una conferenza stampa la tennista annuncia di essere risultata positiva a un controllo antidoping. La sostanza incriminata è il Meldonium, un farmaco per problemi cardiovascolari commercializzato soprattutto in Russia che Masha dischiara di aver sempre assunto nei dieci anni precedenti come trattamento farmacologico per una carenza cronica di magnesio. Il Meldonium però dal 1 gennaio 2016 è stato inserito tra le sostanze dopanti dalla Wada e ad ottobre 2015 l’Itf aveva comunicato ai tennisti la lista aggiornata delle sostanze illecite con una mail, che Masha sostiene di non aver letto.

Secondo quanto comunicato dall’Itf, «il 26 gennaio 2016 la Sharapova è stata sottoposta a un controllo antidoping durante la sua partecipazione agli Australian Open… La signora Sharapova ha ammesso di aver assunto il Meldonium ed è stata così sospesa in via cautelare con effetto dal 12 marzo, in attesa di giudizio». La condanna, inizialmente di due anni, viene ridotta in appello a quindici mesi, durante i quali Masha soffre lontana dai campi da tennis, disabituandosi pericolosamente all’agonismo, frequentando un corso di economia ad Harvard, partecipando a serate mondane e giocando di tanto in tanto qualche incontro di esibizione. Quando rientra nel circuito, si accorge con una certa sorpresa che il tennis è andato avanti incoronando nuove stelle, giovani lottatrici che si alternano al numero uno mondiale, e lei gioca da campionessa a intermittenza. Oggi è numero 57 del mondo, e Halep, Pliskova e Muguruza sembrano, anche al di là di un mero discorso di classifica, molto lontane.

2011 US Open - Day 1

Us Open, 2011

 

2004-2016: dodici anni di mito

La vittoria di Wimbledon e la squalifica per doping sono l’inizio e la fine della storia, e l’altissima diciassettenne in completo bianco che solleva il piatto dei Championships e la donna vestita di nero che parla della sua positività al Meldonium davanti alla stampa sono le prime due immagini che vengono in mente quando si dice Sharapova, come se tutto quello che è passato in mezzo fosse già scritto nell’exploit del 2004 e trovasse un senso – o lo smarrisse, a seconda dei punti di vista – nella mortificazione del 2016. La Sharapova ha ancora il potenziale per togliersi importanti soddisfazioni agonistiche, ma troppo grande è stato lo shock nel sentirla dire nell’hotel di Los Angeles della press conference «ho commesso un errore, ho deluso i fan e creato un danno al tennis», per non considerarlo un’epifania.

Eppure tra il luglio del 2004 e il marzo del 2016 ci sono dodici anni nei quali il mito di Masha si è creato e consolidato, nei quali il suo tennis ha distrutto molte avversarie e il suo conto in banca è lievitato a dismisura; dodici anni durante i quali la russa è diventata non solo una delle tenniste più forti del circuito, ma anche e soprattutto la più vendibile, un autentico brand. Sharapova è un business da centinaia di milioni di dollari, con una strategia comunicativa da star di Hollywood, che ha trasformato Masha nell’ideale ambasciatrice del tennis 2.0 con i suoi 15 milioni di seguaci su Facebook (più di Federer e Nadal, il triplo di Serena Williams). Il fiuto per gli affari l’ha portata a firmare contratti stellari (Nike, Head, Porsche, Tag Heuer, Sony, Evian sono tra i marchi che hanno pagato profumatamente il suo volto) ma anche a creare la propria linea di caramelle, Sugarpova (in occasione degli Us Open 2013, ha addirittura provato a cambiare nome in Maria Sugarpova per le due settimane del torneo a scopo pubblicitario). Dodici anni durante i quali è stata tanto adorata dal pubblico quanto detestata dalle colleghe, che nell’aprile di quest’anno, al rientro dopo la squalifica, si sono fatte sentire, soprattutto per le wild card che le sono state concesse (la più diretta è stata Eugenie Bouchard: «È un’imbrogliona, e chi imbroglia in qualsiasi sport non merita di tornare a praticarlo»; ma anche Caroline Wozniacki e Dominika Cibulkova non le hanno mandate a dire).

2014 French Open - Day Fourteen
Roland Garros, 2014

Eccezion fatta per il bilancio in rosso con Serena, a permetterle di superare numerosi infortuni e vincere 36 tornei Wta sono stati un tennis fatto di aggressività e solidi fondamentali da fondo campo e, soprattutto, una resilienza che difficilmente le fa perdere incontri che vanno al terzo set. Si tratta di una forza mentale manifestata sin dai tempi dell’Accademia Bollettieri, dove papà l’aveva portata a studiare da campionessa ad appena 8 anni, allontanandola dalla madre che riuscì a trasferirsi in Florida solo due anni più tardi. Il passaggio più struggente di Unstoppable è proprio quello che racconta di una bambina che impara a gestire silenziosamente il dolore («Se non hai una mamma con cui piangere, non piangi. Stai lì sapendo che prima o poi le cose cambieranno, che il dolore passerà. Più di ogni altra cosa, questo ha definito la mia carriera»), temprando così il carattere che l’ha resa per dodici anni la giocatrice più solida mentalmente. C’è una strana statistica che la riguarda, che rende bene l’idea delle doti caratteriali di Masha: quando la partita supera i trentacinque game, ovvero si complica terribilmente e può aprirsi a qualsiasi risultato, la russa non perde. In carriera ha giocato undici partite che si sono protratte fino a superare i trentacinque game. Le ha vinte tutte. Nessun’altra la eguaglia in questo record.

 

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