Il Napoli ha smesso di segnare

Due gol nelle ultime quattro partite, e molta più fatica nello sviluppo del gioco offensivo: che succede alla squadra di Sarri?

Ci sono un paio di frasi, tra quelle pronunciate da Sarri nel postpartita di Napoli-Fiorentina, che meritano di essere tenute in particolare considerazione: «Il campionato è come la vita, prima o poi arriva il momento difficile. E i più forti sono quelli che riescono a superarlo». Un calo collettivo, quello dei partenopei, che il tecnico sembra voler ricondurre essenzialmente alla inevitabilità; opinione condivisibile se si pensa a quanto il campionato sia quest’anno più livellato, e a come, per conseguenza, mantenere un rendimento continuo sia complicato. Ma al contempo, se è vero che la fisiologia il suo ruolo nella vicenda lo ha, è altrettanto evidente che non sia da sola in grado di esaurire la questione. La squadra di Sarri non si è snaturata, né ha dato segni di cedimento sotto il profilo dell’identità. È piuttosto involuta in termini di rendimento, segna meno e tende a risultare più sterile.

Come pesano le assenze

È proprio dagli assenti, dagli infortunati, che serve partire per comprendere l’origine dei problemi del Napoli di oggi. Un Napoli che negli ultimi quaranta giorni ha giocato otto partite (tre vittorie, due pareggi e tre sconfitte), segnando appena un gol di media a partita a fronte di una media stagionale esattamente doppia. Che la rosa a disposizione di Sarri fosse già striminzita in partenza è cosa nota, ed è soprattutto conseguenza di una sua specifica volontà: quella di lavorare con un gruppo ristretto, inserendo i nuovi con criterio e pazienza. Contro Feyenoord e Fiorentina, oltre ai lungodegenti Milik e Ghoulam, ai box c’era anche Insigne, e Sarri è stato costretto a schierare Zielinski al fianco di Mertens. Una mezzala che come lui stesso ha ricordato «in carriera ha sempre fatto l’attaccante», ma che oggi è una mezzala e non un vice-Insigne se non in condizioni di emergenza. A sinistra giocava Mario Rui, uno che il campo ha iniziato a vederlo soltanto in virtù dell’assenza di Ghoulam, e che nelle gerarchie pre-autunnali è sempre stato ritenuto un corpo estraneo. Ed è evidente che dallo smembramento della pluripremiata catena di sinistra formata da Ghoulam, Hamsik ed Insigne siano crollate le certezze offensive del Napoli. Lo sviluppo della manovra è stato completamente rovesciato, e adesso si concentra sul lato destro con la stessa enorme frequenza con cui prima si concentrava su quello sinistro. Questione di necessità, naturalmente, ma le responsabilità offensive di Allan e Callejón sono storicamente opposte a quelle che sono costretti a caricarsi sulle spalle oggi. Privato della capacità di Insigne nel convergere dentro al campo e seguire il suo taglio, ad esempio, Callejón perde metà della sua efficacia in fase di possesso, e nello stesso Mertens si nota una certa difficoltà nel dialogare con i compagni con la stessa naturalezza con cui è solito farlo con Insigne. Sono dettagli, ma dettagli che pesano quando a contenerli è un sistema di gioco così stringente.

Qui Callejón, nella stessa azione, viene lanciato per due volte in profondità: nella prima è costretto a ripartire da dietro, nella seconda scodella un pallone in mezzo facile preda del portiere avversario. Allo spagnolo, però, non riesce aggredire lo spazio pericolosamente come suo solito

Il caso specifico di Ghoulam, che tra gli infortunati è anche quello che tornerà con maggior ritardo, merita un approfondimento a parte. Innanzitutto perché mai come quest’anno la sua incisività in fase di risalita del campo si è resa evidente (se Sarri lo avesse perso dodici mesi fa probabilmente la sua assenza sarebbe passata inosservata). Ma soprattutto perché senza di lui, e ancor di più con Insigne a mezzo servizio, il Napoli ha perso quasi del tutto la capacità di creare superiorità numerica sia in accentramento che sulla fascia sul lato sinistro. E, come se non bastasse, a rimetterci in termini di rendimento è un Hamsik che già in momenti in cui le condizioni del collettivo erano più radiose stava facendo fatica ad ingranare. Il gioco dello slovacco è leggermente mutato in alcuni aspetti rispetto alla scorsa stagione: da un lato ha aumentato la sua precisione nel gioco corto e tende a cercare la porta con più frequenza (anche se fin qui non è andato oltre al misero gol contro il Cagliari), dall’altro ha dimezzato la sua propensione al dribbling e la cifra relativa ai palloni lunghi giocati mediamente ogni novanta minuti. Il risultato, riportato al campo, ci presenta un giocatore sin qui meno esplosivo e carismatico nell’interpretazione della gara, ma che allo stesso tempo guarda la porta con continuità e sbaglia pochissimo quando la gara richiede semplicità. I problemi della catena di sinistra, che poi sono di fatto i suoi problemi, stanno condizionando il Napoli ben più di quanto non possa sembrare, e ad averli causati non sono state involuzioni dei singoli o incomprensioni di natura tattica. Molto più semplicemente: Ghoulam e Insigne sono indisponibili, e chi è chiamato a sostituirli non è in grado di ripercorrerne le orme.

Di Arkadiusz Milik si tende a parlare meno, ed è comprensibile se si pensa che da quando è arrivato in Italia ha messo insieme appena un migliaio di minuti sul campo. Eppure la sua assenza è uno dei fattori che silenziosamente hanno creato più grattacapi a Sarri, che oggi è letteralmente costretto a schierare Mertens a prescindere dal fatto che il belga, come tutti, potrebbe aver bisogno di rifiatare («Che sia brillante o meno – ha detto in conferenza stampa – cambia poco: deve giocare lui»). Con i novanta minuti contro la Fiorentina ha toccato quota 70 alla voce partite giocate da agosto 2016, per un totale di oltre cinquemiladuecento minuti: come lui, tra i migliori marcatori del campionato, a livello di impiego c’è il solo Dybala. Un altro che (casualmente?) non sta vivendo il suo miglior periodo di forma da qualche settimana a questa parte. Se ad un Hamsik fuori giri, alle assenze di Ghoulam e Insigne e alle conseguenze riguardanti Callejón sul versante opposto, aggiungiamo anche un Mertens in crisi realizzativa (appena un gol segnato dall’inizio di novembre, quello contro lo Shakhtar) ne deriva buona parte delle difficoltà del Napoli.

L’unica rete segnata da Mertens in quaranta giorni: il gol del 3-0 allo Shakhtar

E il gioco? 

Scendere ancor più nel pratico e prendere in analisi l’ultimo mese o poco più è utile per comprendere un aspetto fondamentale del momento del Napoli: la crisi, se così si vuol chiamare, non è legata al sistema di gioco in sé, non dipende da difficoltà nel mantenere compattezza e solidità tramite i movimenti. La squadra di Sarri ha subìto appena sei reti nelle ultime otto gare (le stesse di cui sopra), e il dato di 0,75 in media a partita è perfettamente corrispondente agli standard stagionali. Anche prendendo in considerazione altri dati il discorso non cambia: il possesso palla è rimasto invariato negli ultimi quaranta giorni, e anche la precisione nei passaggi, al di là della leggera inflessione contro l’Udinese, è rimasta tale e quale a quella di inizio stagione. Il problema non sta dunque né nella struttura generale né nella fase difensiva, quanto nella capacità di creare (in parte) e concretizzare (soprattutto) occasioni da rete.

Nelle scorse settimane Sarri ha parlato di scarsa velocità, di uno-due eseguiti in ritardo, di carenza di movimenti senza palla. Tutte questioni estremamente concrete che fanno capo ad una questione estremamente astratta: la brillantezza. È un concetto che al pari di tutti i concetti astratti risulta difficile collocare come agente nelle dinamiche pratiche, ma è essenziale. Quei secondi di ritardo di cui parla Sarri derivano totalmente dalla pesantezza nelle gambe di alcuni dei suoi giocatori, così come i movimenti senza palla che oggi sono meno rispetto a due mesi fa non possono essere semplicisticamente ricondotti alla svogliatezza dei giocatori. La scarsa velocità, in unione agli altri due punti deficitari, fa sì che la squadra impieghi più del dovuto nel risalire in campo: lo fa con gli stessi princìpi di sempre, appoggiandosi alle combinazioni tra gli esterni e alla visione di gioco di Jorginho, alla qualità delle mezzali e agli spazi creati da Mertens, ma lo fa più lentamente. Contro la Juventus la squadra di Sarri è rimasta intrappolata alla soglia dell’area di rigore un’infinità di volte, costretta a ripiegare sulle fasce per mancanza di alternative. In condizioni diverse non sarebbe successo. A tutto questo va aggiunta la speculazione delle squadre che affrontano il Napoli consapevoli delle difficoltà che lo attanagliano. Hamsik e compagni sono vincolati ad un sistema di gioco che tende a rifiutare qualsiasi contaminazione, e che pertanto è conosciuto e studiato approfonditamente dagli avversari. Quindi giocare sulle debolezze del Napoli è ciò che ha fatto la Juventus, ma non solo: anche per le trasferte di Udine e Verona, che pur sono valse quattro punti, è valso un discorso molto simile.

La mole di passaggi del Napoli nella partita contro la Juventus
La mole di passaggi del Napoli nella partita contro la Juventus

Per arricchire il discorso sulla situazione può essere chiamata in causa la statistica degli expected goals: il Napoli è, dopo la Roma, la squadra con il rapporto tra gol segnati e gol previsti più vicino all’unità, il che significa che la produzione offensiva dei partenopei li premia più o meno esattamente per quello che creano. Gli altri club di vertice, come Inter e Lazio ma soprattutto come la Juventus, hanno segnato gol in quantità ben superiore rispetto a quelli previsti dal modello degli xG. Se questo andamento dovesse proseguire per il Napoli non sarebbe un buon segno, ma se viceversa l’over-performing delle altre big dovesse interrompersi la squadra di Sarri ne gioverebbe senz’altro. Tema questo che è estendibile anche al rapporto tra Mertens e la classifica marcatori. Il belga registra un 9,68 alla voce xG e sin qui ne ha segnati 10, mentre tutti gli attaccanti della top six vantano almeno due reti segnate in più rispetto a quelle previste. Il dato, in questo caso negativo per il Napoli, evidenzia come Mertens sia il meno efficace tra i suoi colleghi in termini di finalizzazione.

La sfiducia verso le alternative

È assodato: le prime scelte sono poco brillanti, e sono poco brillanti mentalmente e fisicamente nelle stesse percentuali. Quindi è inevitabile chiedersi per quale motivo Sarri (che comunque tende a mettere in secondo piano il discorso sul calo fisico) persista in una politica di immobilismo che non può che logorare ancor di più chi sta resistendo – lo stesso Mertens su tutti. Perché se da un lato è vero che la rosa del Napoli non è particolarmente ricca, è scorretto fingere che di alternative non ce ne siano. L’esempio di Rog è forse il più calzante in questo senso, visto e considerato che dal giorno del suo primo incontro con Sarri sono trascorsi oltre sedici mesi. Il croato, che per caratteristiche tecniche può essere un più che valido sostituto di Hamsik, ha messo insieme ben diciotto presenze in stagione, ma non è mai rimasto in campo per oltre mezz’ora – e anzi, la sua media in minutaggio per gara non tocca il quarto d’ora. Una situazione poco comprensibile, e che non è affatto limitata al suo caso. In panchina con il croato c’erano anche Maksimovic e Chiriches, due che insieme non hanno raccolto neppure settecento minuti di gioco, e per i quali nel giro di due anni sono stati investiti quasi trenta milioni di euro. Albiol e Koulibaly, in sostanza, hanno giocato sempre. È naturale che prima o poi possano presentare il conto del logoramento fisico (e anzi, lo spagnolo ha già dato avvisaglie in questo senso a Rotterdam).

NAPLES, ITALY - DECEMBER 10: A melee in the SSC Napoli penalty area during the Serie A match between SSC Napoli and ACF Fiorentina at Stadio San Paolo on December 10, 2017 in Naples, Italy. (Photo by Francesco Pecoraro/Getty Images)
NAPLES, ITALY – DECEMBER 10: A melee in the SSC Napoli penalty area during the Serie A match between SSC Napoli and ACF Fiorentina at Stadio San Paolo on December 10, 2017 in Naples, Italy. (Photo by Francesco Pecoraro/Getty Images)

Il caso di Ounas è più complesso, ed effettivamente parlare di sfiducia nel suo caso non rispecchia il vero. L’algerino, oltre ad avere caratteristiche particolari, è cresciuto in un campionato diverso e in un contesto competitivo non paragonabile, e Sarri lo sta trattando con le stesse modalità con cui ha sempre trattato i nuovi. In ogni caso, quando dice che ad Ounas «mancano applicazione tattica e continuità» fa filtrare una sensazione ben precisa, ossia che prima di vederlo protagonista delle gerarchie del Napoli, anche come subentrato, dovrà passare ancora del tempo. È una posizione indubbiamente logica, certamente lanciare un ventenne allo sbaraglio al San Paolo sarebbe avventato in condizioni standard. Però in una situazione di emergenza non sarebbe insensato provare a responsabilizzarlo, far riposare Mertens e sperimentare un 4-3-3 con princìpi diversi e – ipotesi – Zielinski schierato da finto centravanti. Ma conosciamo Sarri, ed è evidente come progetti di questo tipo siano destinati a rimanere tali. Un altro che potrebbe rivelarsi utile, e che invece non ha ancora trovato che ritagli a fine gara, è Emanuele Giaccherini. Non un fenomeno, non un ala funambolica o dotata fisicamente, ma un giocatore intelligente e recettivo che ha sempre garantito affidabilità. Sarri non lo vede e avrà indubbiamente delle ottime ragioni per tenerlo ai margini, ma quel che è certo è che per trovare una soluzione al calo dovrà prendere in considerazione le seconde file. Perché è vero, i problemi del suo Napoli sono principalmente fisiologici e legati alle assenze, ma ci sono e devono essere affrontati. Anche perché, molto banalmente, chi oggi è indisponibile lo sarà ancora per molto.