Un nuovo capitolo per Real-Barça

L'indipendenza della Catalogna e un rapporto di forze di nuovo a favore dei blaugrana. Il Clásico del 23 dicembre è molto speciale.

Se gli spalti del Camp Nou sono decorati dall’enorme scritta més que un club, quella che divide il Barcellona dal Real Madrid è più di una semplice rivalità, mai come stavolta così carica di significati. Politici, innanzitutto: il 23 dicembre, antivigilia di Natale, al Bernabéu la Spagna si regalerà il primo Clásico dopo il controverso referendum sull’indipendenza della Catalogna, per giunta all’indomani delle nuove elezioni nella comunità autonoma. Economici, perché far scendere in campo Messi e Cristiano Ronaldo all’ora di pranzo ha i crismi della strategia di marketing pensata, fuso orario alla mano, per i telespettatori asiatici. E certamente calcistici, perché il Barcellona è davanti a tutti con 11 punti di vantaggio (ma una partita in più) sul Real che si rituffa in campionato dopo il trionfo al Mondiale per club.

Paradossalmente, in una fase nella quale sta diventando un evento sportivo di portata sempre più globale come il Super Bowl o la finale di Wimbledon, lo scontro tra la capitale e la principale città catalana si rinfocola nel cortile di casa. Un antagonismo che viene fatto risalire, andando indietro di parecchi secoli, al matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia e alla presa di Barcellona da parte delle truppe borboniche di Filippo V: da allora i catalani manifestano a più riprese la loro insofferenza verso il governo centrale.

Nel Novecento il pallone ha funzionato da detonatore, soprattutto durante la guerra civile: i franchisti fucilarono il presidente blaugrana nonché deputato della sinistra repubblicana Josep Sunyol nel 1936 e in seguito trasformarono in deposito per carrarmati il vecchio Camp de Les Corts, lo stesso che il dittatore Primo de Rivera aveva fatto sprangare negli anni Venti dopo la pioggia di fischi sulla marcia reale spagnola in occasione di una partita. A quei tempi essere catalani era un’infamia paragonabile alla tessera del partito comunista e contestualmente nacque il mito del Real Madrid come la squadra prediletta di Franco che, secondo la vulgata, recitava a menadito l’undici titolare che dominò gli anni pionieristici della Coppa dei Campioni.

FBL-ESP-SUPERCUP-REALMADRID-BARCELONA

Non mancarono tentativi di smantellare il Barcellona o di cambiargli beffardamente nome in España: i fedeli di Franco ebbero però la possibilità di vigilare sulla nomina del presidente del club, eletto democraticamente dai soci solo a partire dal 1978. Negarono pure la suggestione d’intitolare il nuovo stadio a Joan Gamper, padre fondatore del Barcellona: nella cattolicissima Spagna era un’eresia pensare di onorare la memoria di uno svizzero protestante morto suicida. Non ci fu allora da meravigliarsi che, alla scomparsa del Generalísimo, le bandiere della Catalogna dell’indipendentismo catalano iniziarono a pavesare gli spalti del Camp Nou.

Quegli stessi vessilli sono tornati a sventolare in uno degli autunni più caldi della recente storia iberica: lo scorso 1 ottobre, mentre il Barcellona batteva il Las Palmas a porte chiuse, si è tenuto tra fortissime tensioni il referendum sulla separazione dal resto della Spagna. Al plebiscito finale (92% in favore del Sì) e alla dichiarazione d’indipendenza approvata dal Parlamento della Catalogna ha risposto Madrid con l’applicazione dell’articolo 155 che prevede la parziale sospensione dei poteri delle comunità autonome in caso di atti incostituzionali. Dopo la destituzione di Carles Puigdemont, l’ormai ex presidente della Generalitat rifugiatosi in Belgio per sfuggire a un mandato d’arresto in Spagna, e il conseguente commissariamento, sono state così indette nuove elezioni regionali per il 21 dicembre. Appena due giorni prima del Clásico.

Ma se mai la Catalogna riuscisse a diventare una repubblica a sé stante, difficilmente la Liga rinuncerebbe al suo piatto più succulento da propinare sul mercato. Barcellona-Real Madrid smuove ogni anno oltre mezzo miliardo di telespettatori, e non solo quelli: le due rivali hanno un brand value secondo solo al Manchester United tra le squadre di calcio (dati Forbes) e un vasto seguito di tifosi a ogni latitudine, tanto da contare più fan su Facebook di qualsiasi altra entità sportiva. Sono, per dirla con Manuel Vázquez Montalbán, «nemici necessari»: l’una non può prescindere dall’altra. Soprattutto il Barça, che ha sempre provato un odio viscerale per l’avversario: in caso di secessione si ritroverebbe in un campionato poco allettante per tv e sponsor e senza garanzie di qualificazione diretta ai gironi di Champions League, non fosse altro per l’eventuale iter di affiliazione alla Uefa della Federcalcio catalana. No, senza il Clásico verrebbe a mancare la sua stessa ragion d’essere.

Real Madrid v FC Barcelona - Supercopa de Espana: 2nd Leg

Barcellona-Real è dunque una sorta di bipartitismo perfetto, anche se ormai di spagnolo sembra conservare poco: l’uno ha un argentino come stella indiscussa (e capitano), l’altro un portoghese che quanto a popolarità non ha rivali. E sulle maglie campeggiano i nomi di una compagnia aerea degli Emirati Arabi e di un colosso giapponese dell’elettronica, già prima storica azienda a finire sulle canottiere di una franchigia Nba. A proposito: l’idea del calcio d’inizio all’una del pomeriggio, quando in Spagna non ci si è ancora seduti a tavola per il pranzo, sembra aver tratto ispirazione dal campionato di basket d’oltreoceano: da due anni a questa parte il calendario mette di fronte Cleveland Cavaliers e Golden State Warriors il giorno di Natale, in un orario fruibile anche e soprattutto lontano dall’America. Messi-Ronaldo come Steve Curry-LeBron James? Sì, mettiamola pure in questi termini.

Nelle settimane addietro Javier Tebas, il chiacchierato numero uno della Liga, si era limitato ad annunciare l’orario della sfida del Bernabéu senza addentrarsi nelle motivazioni della scelta. Eppure non è assurdo pensare che l’imminente Clásico sia soprattutto uno spot per il mercato asiatico, dove le due rivali vantano parecchi interessi.

Dopo la partnership con il Guangzhou Evergrande, il Real Madrid ha siglato un accordo con il gruppo Lai Sun per il progetto di un parco tematico a Hengqin, la “Orlando cinese”, e inaugurato il suo negozio virtuale sulla piattaforma di compravendite online Alibaba. Una delegazione composta dal direttore generale José Ángel Sánchez e dagli ex giocatori Emilio Butragueño e Ronaldo è poi volata a Pechino per diffondere ulteriormente il verbo delle merengues: stando a quanto detto dal presidente Florentino Pérez, in Asia risiede il 44% degli oltre 600 milioni di tifosi madridisti sparpagliati nel mondo.

Barcelona v Real Madrid - Super Cup

Non è da meno il Barcellona, seguito da più di 5,7 milioni di utenti su Sina Weibo, il social cinese a metà tra Facebook e Twitter. I catalani hanno da quattro anni una sede operativa a Hong Kong, oltre che uno store esclusivamente per l’Estremo Oriente, e puntano ad aprire a Haikou la loro prima scuola calcio al di fuori della Spagna: dopotutto, ben 14 tra le aziende che li sponsorizzano sono asiatiche. L’orizzonte si è spostato a est, tanto da far concludere a Francesco Caremani su Il Foglio che il club «in questi ultimi vent’anni ha guardato più alla crescita economica che a rafforzare l’identità catalana, nonostante a parole sembri il contrario». E già una ventina d’anni fa il giornalista Jimmy Burns Marañón osservò che il Barcellona è «il sogno di un popolo frustrato» che «resiste all’idea di accettare che trasformino quel sogno in una semplice mercanzia».

Ma Real Madrid-Barcellona è anche e soprattutto una partita di calcio e pure qui non mancano gli spunti. È il quarto Clásico da luglio a oggi: l’amichevole estiva di lusso a Miami coincise con l’ultima apparizione di Neymar prima della fuga verso Parigi, poi fu la volta del doppio confronto nella Supercoppa di Spagna in cui la squadra allenata da Zinedine Zidane schiantò i rivali. Da allora Ernesto Valverde è stato abilissimo a ricreare armonia in un gruppo arrivato logoro alla fine del ciclo di Luis Enrique: se Messi, Iniesta e Suárez continuano a fabbricare gol ed emozioni, la vera sorpresa viene semmai dalle retrovie, dove la difesa ha concesso sette gol in Liga e addirittura uno soltanto nell’intera fase a gironi della Champions League. Di più: qualche volta Messi è perfino partito dalla panchina senza proferire parola e, dopo lo scivolone del Manchester City contro lo Shakhtar Donetsk, il Barcellona è rimasto l’unica squadra ancora imbattuta sia in patria che nelle coppe europee.

Real Madrid v Barcelona - Copa del Rey Final

Chi deve provare a cancellare quello zero è il Real, accusato di aver perso un po’ d’appetito dopo l’abbuffata di trofei nella breve ma già gloriosa era Zidane: pur con una partita da recuperare, c’è il rischio di aprire una voragine in classifica se non arrivasse una vittoria e il Barcellona mantenesse questa costanza di risultati. Manco a dirlo, l’onere graverà sulle spalle di Cristiano Ronaldo, l’uomo bionico che continua a frantumare record di reti in ogni competizione ma che in Liga sta avendo numeri da centrocampista. L’eterno dualismo con Messi è già partito, tra frecciatine – l’argentino ha sfoggiato al Camp Nou la Scarpa d’Oro appena vinta, rispondendo così a Ronaldo che davanti ai propri tifosi aveva esibito il suo quinto Pallone d’Oro in carriera – e capricci – secondo “Marca”, il portoghese vorrebbe un ritocco dell’ingaggio dopo il faraonico rinnovo di contratto firmato dall’altro -, ma alla fine conterà quello che succede sull’erba del Bernabéu nei prossimi novanta minuti.

E allora la relazione conflittuale tra Real e Barcellona ricorda tanto la legge della conservazione della massa di Lavoisier: citando ancora Vázquez Montalbán, «non si crea né si distrugge, semplicemente si adatta alle nuove situazioni e si trasforma».