Il processo

Cosa sappiamo della positività di Chris Froome al salbutamolo: errore veniale, espediente tattico o tentativo di frode farmacologica?

Raccontare il ciclismo è un’esperienza che va al di là della stretta narrazione della competizione. Scrivendo di ciclismo di finisce quasi sempre per scrivere d’altro, di storia e geografia, di artisti, inventori e imperatori. Tuttavia la competizione non può rimanere solo un pretesto, anzi è essa stessa a indurre e in qualche modo a elevare la descrizione dei luoghi attraversati e la rievocazione delle storie ascoltate. Attraversati da una corsa di biciclette, borghi dimenticati e salite sconosciute smettono di essere soltanto luoghi in cui una volta è successo un fatto importante e diventano luoghi in cui adesso succede un fatto importante; succede che alcuni tra gli esseri umani più resistenti al mondo si confrontino tra loro, per spingere verso l’alto i limiti del loro corpo e della loro specie. Raccontare il ciclismo, quindi, significa – certo – raccontare gregari e sconfitti, ma non può prescindere dal racconto dei vincitori, perché sono i campioni a elevare la corsa da gara a evento universale.

Chris Froome è uno dei campioni più rappresentativi del ciclismo contemporaneo, il corridore da corse a tappe più forte di questi anni. Raccontare il ciclismo oggi significa scrivere anche delle imprese di Froome, provare ad avvicinarvisi e ad interpretarle. Da quando, la mattina dello scorso 13 dicembre, ho appreso della sua positività a un test anti-doping, ho cominciato a chiedermi cosa fosse successo, e perché. Se il grande campione avesse davvero barato per aiutarsi a vincere la sua prima Vuelta a España. Quello che segue è il tentativo di fare ordine tra quanto detto e scritto in queste settimane sulla vicenda-Froome, in un percorso che parte da una sintesi dei fatti e si avvia verso una riflessione più generale sui cortocircuiti etico-regolamentari dello sport.

Premessa: chi scrive non è un medico né un avvocato né un filosofo morale – ma per raccontare questa storia sarebbe stato utile essere almeno uno dei tre.

Cosa Sappiamo

PARIS, FRANCE - JULY 23: Chris Froome of Great Britain and Team Sky speaks to the media ahead of stage twenty one of Le Tour de France 2017 on July 23, 2017 in Paris, France. (Photo by Chris Graythen/Getty Images)

Sappiamo che lo scorso 20 settembre a Chris Froome è stato notificato un Adverse Analytical Finding (di seguito AAF), cioè il risultato positivo di un test di laboratorio che potrebbe indicare la violazione di una norma anti-doping da parte del corridore britannico. Il condizionale è dovuto al fatto che un AAF non implica di per sé la violazione di una norma, né la sospensione dell’atleta dalle gare (che è possibile, ma non automatica).

Si tratta in pratica di un campanello d’allarme, il segnale che qualcosa non torna e che è necessario approfondire certi risultati empirici. Sospensione e squalifica dalle competizioni si realizzano solo se, al termine di una serie di accertamenti, l’atleta si dimostra non in grado di chiarire i motivi che hanno causato la sua positività al test. In questa eventualità, e solo in questa, l’Adverse Analytical Finding si trasforma in Anti-Doping Rule Violation.

Attualmente l’indagine sull’AAF di Froome è in pieno svolgimento, il che significa che ad oggi Froome è schrodingerianamente sia colpevole che innocente. Il primo dei fattori che rendono la vicenda particolarmente spinosa è proprio il suo essere diventata di dominio pubblico in medias res, cioè in un momento in cui la sentenza finale appare tutt’altro che imminente.

L’Unione Ciclistica Internazionale e il Team Sky avrebbero preferito che gli accertamenti si fossero svolti nel silenzio mediatico, confidando nel fatto che, una volta dimostrata la completa innocenza dell’atleta, il caso non sarebbe mai divenuto pubblico. Non si tratta di un tentativo di insabbiare la storia, ma di una modalità di gestione della faccenda consentita dalle normative; un azzardo, forse, ma legittimo. Tuttavia quando è emerso che i giornalisti di The Guardian e Le Monde avevano saputo della storia ed erano pronti a pubblicarla, sia l’UCI che la Sky sono uscite allo scoperto, rendendo noto l’AAF di Froome.

La seconda particolarità del caso deriva dalla diversità con cui i fatti stanno evolvendo in confronto ai casi di doping più eclatanti del passato recente, in cui a un test positivo faceva quasi automaticamente seguito lo stop al corridore, in alcuni casi persino il licenziamento in tronco da parte della sua squadra. Froome invece ha continuato a correre anche dopo la notifica della positività (ed è tuttora autorizzato a competere), e il Team Sky si è schierato dalla sua parte.

La mancata sospensione di Froome non è un trattamento di favore, però; la cautela con cui gli addetti ai lavori dotati di buon senso stanno misurando verbi e aggettivi non è ingiustificata. Il caso è realmente complesso, le sue implicazioni non banali. Anche dal punto di vista scientifico.

BLACK AND WHITE VERSION A hostess zips up the overall leader yellow jersey on Great Britain's Christopher Froome celebrating on the podium at the end of a 22,5 km individual time-trial, the twentieth stage of the 104th edition of the Tour de France cycling race on July 22, 2017 in and around Marseille, southern France. / AFP PHOTO / JEFF PACHOUD (Photo credit should read JEFF PACHOUD/AFP/Getty Images)

Alla base di questa complessità ci sono alcune caratteristiche della sostanza chimica oggetto del test positivo. Si tratta del salbutamolo, presente nel campione di Froome in una concentrazione di 2000 nanogrammi per millilitro, vale a dire una quantità doppia rispetto al limite entro il quale l’uso della sostanza è considerato legale. Il salbutamolo è comunemente utilizzato per contrastare le patologie asmatiche, e un’altra cosa che sappiamo con certezza è che Chris Froome soffre di asma. Numerosi ciclisti professionisti soffrono di asma, a dire il vero, e non si tratta né di una casualità né tantomeno di una copertura per garantirsi la possibilità di assumere sostanze proibite sfruttando una malattia immaginaria.

Nel ciclismo (così come anche nel nuoto, per esempio) esiste una percentuale di atleti asmatici molto più alta che in altri sport essenzialmente perché i corridori stressano al massimo il proprio apparato respiratorio, spingendolo in un territorio in cui è molto più probabile che si inceppi. In pratica, le estreme condizioni di sforzo e di ambiente che caratterizzano le corse in bicicletta (in particolar modo le corse a tappe) sono in grado di rendere asmatici dei soggetti che nella vita di tutti i giorni, o in un altro sport, non lo sarebbero.

Sappiamo che Froome è andato in difficoltà in salita il giorno prima del test positivo, cioè il 6 settembre. Si trattava della tappa della Vuelta con arrivo a Los Machucos, una frazione chiusa dal capitano della Sky con 42 secondi di ritardo rispetto a Vincenzo Nibali, suo avversario diretto per la classifica generale. La reporter spagnola Ainara Hernando ha riferito che la notte prima di Los Machucos la tosse di Froome era stata così fragorosa da impedire al compagno di squadra David López, che dormiva nella stanza accanto, di prendere sonno.

In una situazione di così intensa sofferenza, e con la vittoria della Vuelta messa a repentaglio da un attacco d’asma, Froome avrebbe potuto richiedere un’esenzione terapeutica (in gergo chiamata TUE) per curarsi con medicinali più potenti del Ventolin. Tuttavia per questioni di trasparenza Froome rinuncia a ricorrere a TUE dal 2014, e di conseguenza può contrastare la sua asma con l’unico strumento medico permesso senza autorizzazione: il salbutamolo – assunto attraverso nebulizzatore ed entro determinati limiti.

Sky's British cyclist Christopher Froome celebrates wearing the leader's red jersey on the podium after winning the 10th stage of the 72nd edition of "La Vuelta" Tour of Spain cycling race, a 164,8 km route between Caravaca to Alhama de Murcia, on August 29, 2017. / AFP PHOTO / JOSE JORDAN (Photo credit should read JOSE JORDAN/AFP/Getty Images)

Il salbutamolo è classificato dal regolamento anti-doping come “sostanza specificata”. Significa che qualsiasi violazione delle norme che ne regolano l’assunzione deve essere valutata dai giudici con particolare flessibilità, poiché può succedere che una concentrazione di salbutamolo oltre i limiti derivi in realtà da un’assunzione del tutto regolamentare della sostanza.

Il fatto è che nel passaggio tra quantità di salbutamolo assunta (input) e quantità di sostanza rilevata dal test anti-doping (output) possono interferire una serie di variabili (uno su tutti il livello di disidratazione del soggetto) che rendano l’output straordinariamente alto rispetto all’input. In determinate condizioni, insomma, a un input entro i limiti può naturalmente corrispondere un output fuori dai limiti. Per questo l’UCI non sospende automaticamente un atleta positivo al salbutamolo; prima vuole vederci più chiaro, vuole capire se il risultato derivi da una semplice bizzarria metabolica o da altro.

Su cosa possa essere questo altro è oggettivamente difficile dire qualcosa. La certezza è che una concentrazione di salbutamolo superiore a 1000 ng/mL non ha molto senso dal punto di vista terapeutico, ed è anzi dannosa per la salute del soggetto. Alcuni studi scientifici mostrano inoltre che effetti diretti della sostanza sul miglioramento delle prestazioni esistono (favorirebbero il recupero del tono muscolare), ma sono quantitativamente trascurabili. Un eventuale utilizzo del salbutamolo quale sostanza coprente, infine, è considerato allo stato dei fatti pura fantascienza.

Cosa non sappiamo

PARIS, FRANCE - JULY 23: Chris Froome of Great Britain and Team Sky speaks to the media ahead of stage twenty one of Le Tour de France 2017 on July 23, 2017 in Paris, France. (Photo by Chris Graythen/Getty Images)

La prima cosa che non sappiamo – nonché la meno interessante per uno che non sia appassionato di spionaggio sportivo – è come sia possibile che la delicata notizia dell’AAF di Froome sia trapelata. Alcuni hanno suggerito un possibile legame con la transizione ai vertici dell’UCI, che ha cambiato presidente (dall’inglese Cookson al francese Lappartient) proprio nei giorni in cui l’esito positivo del test del 7 settembre veniva reso noto ai diretti interessati. Qualcuno ha voluto mettere i bastoni tra le gambe della nuova presidenza? È un passaggio che probabilmente non conosceremo mai con chiarezza.

Un’altra cosa che non conosciamo, ben più rilevante della precedente, è l’effettiva dose di salbutamolo che Froome ha inalato il 7 settembre, cioè quella quantità che abbiamo definito input. Il test effettuato a fine tappa non consente di risalire a questo dato, che se conosciuto sgombrerebbe il campo da ogni dubbio. Sta al corridore, di conseguenza, documentare in modo credibile il suo aver rispettato le regole, e il suo essere “vittima” di una reazione anomala tra la sostanza e il proprio organismo. Secondo alcuni esperti è impossibile che un atleta che si attenga alle regole possa oltrepassare il limite di 1000 nanogrammi per millilitro, ma Froome sostiene il contrario. Come vedremo più avanti, è esattamente questo che dovrà provare a dimostrare nelle prossime settimane.

Altro dato fondamentale che non ci è dato di conoscere è la serie storica dei valori di salbutamolo presenti nelle urine di Froome al termine di una competizione: non sappiamo, cioè, se il corridore sia periodicamente soggetto a situazioni di concentrazione anomala della sostanza. Froome è ciclista professionista da 10 anni, ed è sempre stato asmatico, quindi sarebbe statisticamente sorprendente se, dopo tutti i test cui è stato sottoposto negli anni, la reazione anomala tra il suo metabolismo e il salbutamolo si fosse manifestata per la prima volta solo lo scorso settembre. Non si può quindi escludere che già in passato Froome si sia avvicinato al limite di 1000 ng/mL, o che l’abbia superato.

D’altra parte pure quest’eventualità ha un elemento di debolezza: se Froome fosse stato in grado in passato di provare brillantemente questa sua anomalia, non ci si spiega perché questa volta, a 3 mesi di distanza dal test positivo, la sua posizione resti ancora in sospeso; esistesse un pregresso a suo favore, non dovrebbe essere complicato scagionarlo, e in fretta, anche questa volta. La sensazione, in definitiva, è che quella in corso sia una situazione senza precedenti sia per Froome che per le autorità giudicanti.

Qualora il corridore non fosse in grado di dimostrare la natura anomala di tutta la vicenda, resterebbe un’ultima, gigantesca variabile ignota. Per quale motivo un atleta della sua esperienza e ragionevolezza avrebbe dovuto, in un momento-chiave della sua carriera, eccedere nel dosaggio di una sostanza per la quale sapeva benissimo sarebbe stato testato a fine corsa, e che oltretutto produce miglioramenti prestazionali trascurabili? Il futuro del corridore da corse a tappe più forte della sua generazione dipende dalle risposte che darà a questa domanda e, soprattutto, dalla misura in cui gli organi giudicanti le riterranno verosimili.

Cosa succede adesso

BLACK AND WHITE VERSION Great Britain's Christopher Froome (C) wearing the overall leader's yellow jersey flashes victory signs next to Spain's Mikel Landa during the 103 km twenty-first and last stage of the 104th edition of the Tour de France cycling race on July 23, 2017 between Montgeron and Paris Champs-Elysees. / AFP PHOTO / JEFF PACHOUD (Photo credit should read JEFF PACHOUD/AFP/Getty Images)

Guardando al futuro prossimo l’opzione più auspicabile per tutte le parti in causa (Froome, la Sky, l’UCI, gli altri ciclisti, gli appassionati e i tifosi) è la seguente:

1. Froome non ha colpe. Come accennato, Froome proverà in prima analisi a dimostrare la sua completa buonafede. Il passaggio decisivo sarà un test controllato, definito farmaco-cinetico, cui il britannico sarà sottoposto nelle prossime settimane. Verranno ricreate in laboratorio condizioni similari a quelle in cui ha corso il 7 settembre (giorno del test positivo), con lo scopo di verificare, al termine della prova, se la concentrazione di salbutamolo nelle urine dell’atleta è effettivamente compatibile con quella incriminata. Funzionasse, l’esperimento scagionerebbe Froome, che manterrebbe la vittoria finale della Vuelta e non subirebbe alcuna squalifica; soprattutto, vedrebbe la sua immagine pubblica considerevolmente riabilitata.

In passato, oggetto di test farmaco-cinetico è stato Diego Ulissi, positivo al salbutamolo nel 2014. Non convinta dal risultato del test, la giuria decise di squalificarlo, tuttavia – constatata l’ammissione di colpevolezza da parte del corridore toscano, che riconobbe di essere stato negligente nell’assunzione di salbutamolo pur senza alcuna intenzione di migliorare le proprie performance – la sua sospensione fu limitata: 9 mesi.

In caso di mancata riuscita del suo esperimento, Froome potrebbe subire una sanzione maggiore. «Potrebbero dargli fino a due anni», ha detto Rocco Taminelli, l’avvocato che rappresentò Ulissi tre anni fa. «Froome è convinto di poter dimostrare di aver assunto la sostanza nelle quantità consentite, ma sta percorrendo una via molto rischiosa». Una specie di tutto o niente, per usare le parole di Velonews. 

Superfluo sottolineare che una squalifica per doping (perché questo sarebbe, tecnicamente), oltre a privarlo del titolo della Vuelta 2017 e della possibilità di competere nelle ultime stagioni buone della sua carriera sportiva, avrebbe un effetto devastante sul lascito del campione britannico.

Riassumendo: l’unica possibilità che ha Chris Froome di divincolarsi in modo indolore da questo garbuglio è convincere pienamente i giudici grazie al test in laboratorio e a eventuali documentazioni aggiuntive in suo possesso. Nelle dichiarazioni e nei tweet dei giorni seguenti la notizia della sua positività, Froome si è detto estremamente ottimista a riguardo. Non ci riuscisse, sarebbe considerato colpevole di violazione di una norma anti-doping, un’eventualità che marcherebbe per sempre la sua carriera e segnerebbe verosimilmente la fine del Team Sky.

A puro titolo speculativo, proviamo ora a differenziare ulteriormente le eventuali colpe di Froome:

2. Froome ha una colpa piccola. Esiste la possibilità che il test positivo del 7 settembre sia stato il risultato di assunzione di salbutamolo avvenuta nella finestra temporale tra il termine della tappa e la raccolta del campione di urine – cioè a competizione terminata.

Questo lo scenario: Froome a fine tappa è sofferente e decide di calmare la sua tosse con alcuni spruzzi di Ventolin, anche e soprattutto per non mostrare a televisioni e avversari il suo stato di difficoltà fisica e, quindi, di attaccabilità. I giornalisti a seguito della Vuelta ricordano come in quei giorni Froome ci tenesse a ribadire continuamente di “sentirsi bene”. Se questa ipotesi corrispondesse al vero, la colpa di Froome sarebbe tutto sommato veniale, il suo eccesso di salbutamolo frutto di un espediente tattico avventato, più che di un tentativo di frode farmacologica.

3. Froome ha una colpa più grande. Questo il caso peggiore di tutti, giacché implica da parte del corridore la deliberata assunzione di una maggiore quantità di salbutamolo con l’obiettivo di ottenere vantaggi prestazionali, per quanto piccoli.

Scenario: Froome, nel panico per via della crisi del giorno precedente e della recrudescenza dei suoi problemi respiratori, il 7 settembre esagera con il Ventolin, nella speranza/consapevolezza di ricavarne un beneficio maggiore. La sua colpa qui sarebbe più importante, in quanto, avendo egli scelto una strategia difensiva che sembra non contemplare l’ipotesi della semplice negligenza, alla base dell’infrazione della norma resterebbe la volontà di avvantaggiarsi illegalmente. Quindi, in qualche modo, di barare.

Cosa dobbiamo prensare di Froome

BLACK AND WHITE VERSION Great Britain's Christopher Froome attends the signature ceremony prior to the 189,5 km fifteenth stage of the 104th edition of the Tour de France cycling race on July 16, 2017 between Laissac-Severac l'Eglise and Le Puy-en-Velay. / AFP PHOTO / LIONEL BONAVENTURE (Photo credit should read LIONEL BONAVENTURE/AFP/Getty Images)

A questo punto della disamina, tra tutte le specifiche e le subordinate, dovrebbe essere emersa con chiarezza almeno una cosa: siamo di fronte a una situazione in cui ogni semplificazione è inadeguata.

Eppure, è esattamente quello che è successo nelle ore e nei giorni successivi alla diffusione della notizia. I media generalisti non si sono fatti troppi problemi a sostenere da subito l’ipotesi numero 3 del paragrafo precedente. Froome colpevole, Froome aveva sempre destato sospetti, Froome come Armstrong, il ciclismo non è mai cambiato. Non è così: anche qualora la colpa di Froome fosse la maggiore tra quelle indicate, non c’è alcun elemento per pensare di essere di fronte a un ritorno del doping diffuso e sistematico, né con riferimento a Froome né con riferimento al mondo del ciclismo in generale.

Per esprimere un giudizio il più possibile circostanziato sulla vicenda e sul suo protagonista il buonsenso suggerirebbe di attendere che gli accertamenti rivelino qualcosa in più sulle responsabilità specifiche di Froome, in modo da poter effettivamente decidere se apporre o meno un asterisco a margine del suo palmarès.

C’è però un aspetto di tutta questa storia rispetto al quale è possibile esprimersi compiutamente sin d’ora, e qualcuno l’ha fatto. Il giornalista irlandese del Times David Walsh, colui che con il suo lavoro di approfondimento giornalistico ha contribuito in modo decisivo alla capitolazione del sistema-Armstrong, ha suggerito che Froome avrebbe fatto meglio a rivelare subito, e pubblicamente, l’esistenza dell’AAF a suo carico – nonostante il regolamento non obbligasse né lui né la sua squadra ad uscire allo scoperto. Sarebbe stato opportuno, da parte sua, fermarsi e riconoscere l’esistenza del problema, ed evitare di lanciarsi in proclami e annunci di roboanti progetti futuri.

In questo modo avrebbe lanciato un ulteriore segnale di trasparenza, in linea con la posizione fortemente anti-doping che si è autoassegnato da quando, dopo aver vinto il suo primo Tour de France, ha sottolineato che quella sua vittoria avrebbe aperto una nuova epoca per il ciclismo, che i suoi risultati avrebbero resistito al tempo; qualche mese dopo quelle dichiarazioni si è anche sottoposto volontariamente a una serie di analisi per provare quanto i suoi valori di potenza fossero riproducibili e realistici. Delle rinunce alle esenzioni terapeutiche abbiamo già detto.

Invece la gestione complessiva della storia (che non manca di concedere spiragli ai dubbiosi) e l’intransigenza dell’approccio difensivo scelto (che si presta a trasformarsi in un boomerang) potrebbero finire, a prescindere da quali saranno gli esiti ufficiali degli accertamenti, con l’offuscare irrimediabilmente l’immagine di Froome, proprio nel momento in cui egli avrebbe voluto consolidare il suo posto di assoluto rilievo nella storia del ciclismo.

Cosa dobbiamo pensare dello sport

BLACK AND WHITE VERSION Great Britain's Christopher Froome, wearing the overall leader's yellow jersey, rides during the 183 km seventeenth stage of the 104th edition of the Tour de France cycling race on July 19, 2017 between Le La Mure and Serre-Chevalier, French Alps. / AFP PHOTO / LIONEL BONAVENTURE (Photo credit should read LIONEL BONAVENTURE/AFP/Getty Images)

Oltre a tutto questo, il caso-Froome è anche un amplificatore di questioni più profonde, che toccano da vicino l’etica e la stessa definizione di sport. Nel ciclismo – e nello sport professionistico in generale – esistono consistenti aree grigie in cui giusto e sbagliato confinano, spesso si confondono. L’uso di una sostanza come il salbutamolo, per esempio, è consentito non perché atleti asmatici acquistino un vantaggio rispetto ai colleghi non-asmatici, ma perché vengano messi nelle condizioni di essere competitivi nonostante il loro difetto. Per semplificare, il ricorso al salbutamolo è paragonabile a quello alle lenti a contatto: nessuno si scandalizza del fatto che uno sportivo possa usarle per migliorare la propria vista altrimenti non ottimale.

Alla base di tutto ciò c’è la ragionevole idea che lo sport non debba essere trattato né come una lotteria di corredi genetici (in questo caso ogni tipo di aiuto esterno dovrebbe essere bandito) né come una pura esibizione di ingegneria biomedica (in questo caso tutti gli aiuti esterni sarebbero consentiti). Lo sport sta nel mezzo, premia chi unisce efficienza fisica e conoscenze tecniche.

Per essere sostenibile, questa natura ibrida dello sport deve prevedere dei limiti oltre i quali il ricorso ad aiuti esterni venga considerato illegale. Si tratta di confini convenzionali (come ad esempio i 1000 ng/mL del salbutamolo) stabiliti da medici ed esperti; soglie che non possono essere superate, ma possono essere avvicinate.

Ora, un atleta orientato a ottenere il massimo risultato possibile dal proprio corpo deve avvicinarsi ai limiti; sono le imprese degli atleti che si avvicinano ai limiti ad esaltare chi applaude. E i limiti che possono essere avvicinati sono plurimi, sicché spingersi al limite significa, ad esempio, perdere peso fin quasi a scomparire per andare più forte in salita; significa imparare a proiettare il proprio corpo in avanti per andare più forte in discesa. Spingersi al limite significa anche contrastare le proprie difficoltà respiratorie assumendo la massima quantità di salbutamolo consentita, al punto da correre persino dei rischi per la propria salute. Spingersi al limite significa avventurarsi su un terreno cedevole e contraddittorio, dove rimanere un passo al di qua è sicuro e in qualche modo auspicabile, ma finire un passo al di là è estremamente pericoloso.

Pochi, nel ciclismo contemporaneo, hanno una tensione verso il limite più spiccata di quella di Chris Froome. Froome è metodico, maniacale, ossessivo; è mosso da un’ambizione quasi insana. È capitano e simbolo di una squadra che è diventata il riferimento del ciclismo mondiale proprio per via della sua estrema cura dei dettagli – i celebri “marginal gains”.

È emblematico, e tristemente ironico, che la carriera di Froome si sia trovata appesa a un filo nel momento in cui la ricerca dell’ennesimo guadagno marginale l’ha spinto nella nebulosa strettoia in cui la sua ammirevole voglia di migliorarsi rischia di tramutarsi in un’imperdonabile contravvenzione.