Lavorare senza frontiere

Le storie e le carriere di Hanane Mahgoun e Khubaib Maud dimostrano come oggi, per un’azienda come Eni, la multiculturalità sia una risorsa fondamentale per crescere nel mondo.
di Redazione Undici 12 Gennaio 2018 alle 13:09

Per un’azienda multinazionale è normale, scontato e automatico muoversi tra i continenti, attraversare confini, avere molte case e molte identità. Per farlo, tuttavia, occorrono le personalità giuste, il team migliore che sappia interpretare le sfide di una nuova realtà e che, soprattutto, a questa nuova realtà sappia adattarsi, in poco tempo e in modo naturale. Eni è presente in 73 Paesi, ognuno con le sue specificità culturali: per integrarsi al meglio – nel rispetto delle diversità, dell’ambiente, delle tradizioni – è necessario che siano “multinazionali” anche i partecipanti alle diverse “missioni”.

È difficile trovare allora una storia e un esempio migliori di quelli di Hanane Mahgoun e Khubaib Maud, lei algerina, lui pakistano, entrambi impegnati nell’ambito “finance” dell’azienda. Le loro strade partono da lontano e arrivano fino in Italia in modi molto diversi. Da qui, però, si srotolano di nuovo in giro per il mondo, per mari, altopiani, lungo migliaia di chilometri su cui sono seminate nazioni, lingue, culture. Sono storie di trasformazioni ma anche di coltivazione del talento.

Hanane nasce e cresce in Algeria, in un momento difficile, per il Paese, ma riesce a studiare senza farsi condizionare dalle paure dell’esterno. «Ogni mattina mio padre mi portava in stazione, per prendere il treno e andare all’università e ogni sera tornava a prendermi». È grazie alle carte dello stesso padre, Mahmoud, che Hanane si fa incuriosire dai numeri e dalla finanza, e ricorda come madeleine «i fogli gialli e profumati» su cui lavorava la sera, da casa, a mano.

Decisa a superare gli ostacoli Hanane riesce a entrare in un’università prestigiosa ad Algeri e poi continua gli studi con un Mba a Lione in Francia. Dopo avere maturato 3 anni d’esperienza lavorativa in Total, entra in Eni nel 2005 dove si occupa delle procedure Sarbanes-Oxley che stavano diventando sempre più importanti. Dall’Algeria viene trasferita in Italia nel ruolo di Joint Venture Auditor: «Una volta scoperto un giacimento, normalmente si portano avanti lo sviluppo e la produzione mediante una joint venture che implica delle partnership», spiega. «Queste partnership naturalmente hanno un aspetto finanziario, che è quello più critico dal punto di vista della compliance, ed è veramente importante avere massimo rispetto delle regole contrattuali e leggi del Paese ospitante. È una complessa struttura finanziaria che va studiata e verificata molto bene». Quello di auditor è un passaporto che la porterà in Libia, Congo, Angola, Pakistan, Tunisia e UK, mantenendo come base però sempre l’Italia. Ed è in Italia, anzi in Eni, che si imbatte in Khubaib. La storia di Khubaib prende le mosse e si sviluppa, almeno inizialmente, in modo diverso: dal Pakistan guadagna una borsa di studio per la Scuola Enrico Mattei, impara l’italiano – a Camerino, nelle Marche – «una full immersion nella cultura, nella lingua, nella cucina» –, e viene poi assunto in Eni come Accounting Systems Analyst. Come Hanane, inizia a viaggiare: Australia, poi Nigeria, poi di nuovo in Asia, e Africa ancora. «All’inizio era davvero divertente», ricorda lui, «ero un ragazzino, e certo, dovevo lavorare, ma era anche avventura e scoperta, nel senso che mi ha permesso di vedere posti che altrimenti non avrei mai visto». Poi la sua analisi si fa più profonda: «Ho visto realtà molto diverse da quelle spesso raccontate dalle news». Ecco un indizio del perché sia Hanane che Khubaib hanno una marcia in più: sono intrinsecamente multiculturali, cresciuti in un mondo a due direzioni, diverse ma unite: anglofono pakistano lui, francofono algerina lei. Hanane spiega: «Guardiamo il mondo con una lente differente, abbiamo una visione forse meno critica, con meno paure, rispetto a quella europea. E poi c’è il discorso della lingua: parlare la lingua del posto, che sia inglese o francese, ti dà una sicurezza in più. In un certo senso il nostro vissuto ci aveva già programmato a integrarci in altri tessuti esteri».

A Milano si conoscono, si sposano, e nasce Rayan, che oggi ha quasi 7 anni. Loro non si fermano, e continuano a viaggiare: di nuovo in Nigeria, poi in Congo. È raro che una coppia riesca a rimanere così unita, spostandosi insieme da un continente all’altro ma, grazie allo sforzo di Eni, Hanane e Khubaib ce la fanno. Il segreto del loro lavoro, che si svolge quasi sempre in contesti esteri e culturalmente non semplici, è quello che chiamano soft skills. «Senza soft skills», dice Hanane, «anche la persona più competente è persa». Integrarsi è sia una capacità che si apprende – con la pazienza, con l’ascolto – sia una dote innata, di nascita. La ricchezza culturale per Eni non è solo un fiore all’occhiello ma anche la migliore chiave di dialogo: «Essere cresciuto tra due culture, quella pakistana e quella di un’ex-colonia inglese», dice Khubaib, «è un vantaggio, perché quando incontri una cultura diversa, come è successo in Africa, hai in automatico più punti di vista e uno sguardo sempre aperto».

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