Per scrivere di una partita di Leo Messi, di un suo match vissuto dal vivo, è obbligatorio fare i conti con un’esigenza primaria: individuare, quantificare e provare a restituire l’impatto di Leo Messi sui contesti che lo circondano. Poche ore fa stavo assistendo a Valencia-Barcellona, il Mestalla era rumoroso, caldo, colorato, si respirava l’orgoglio di essere del Valencia; Messi ha giocato una partita normale, umana, mi viene da dire addirittura negativa rispetto a ciò che mi sarei aspettato da lui. Paradossalmente, però, non mi sono sentito tradito o deluso dagli eventi, da una prestazione al di sotto delle aspettative. Sono stato addirittura felice, perché ho capito che la costruzione di un racconto breve su Messi – come il resoconto di una sua partita – può partire da suggestioni diverse, può prescindere dall’espressione migliore del suo gioco.
Ad esempio, una delle cose che mi ha colpito di più è stata la percezione condivisa del Valencia-squadra e di tutto l’ambiente-Valencia rispetto alla presenza di Messi. È un gioco di contro-osservazione, che consiste nel guardare gli altri mentre gli altri guardano e affrontano Messi: si parte dal campo, dall’analisi tattica, e si finisce per registrare atteggiamenti e reazioni particolari del pubblico, dei giornalisti, dei cameraman. Per quanto riguarda il primo aspetto, Messi è determinante perché modifica la strategia degli avversari, cancella idee e background dei tecnici che sfidano il Barcellona: il Valencia di Marcelino, un sistema pensato e costruito per difendere orientandosi sul pallone, ha accorciato in maniera diversa su di lui, spostando uno o due uomini per chiudere i suoi movimenti anarchici, ripetuti eppure non intellegibili, che spesso restringono i reparti e a volte esplorano la profondità. Ieri sera è stato bellissimo osservare come i calciatori Taronges fossero programmati, dal punto di vista tattico ed emotivo, per affrontare due avversari nella stessa serata: il Barcellona, e Leo Messi. O meglio: Leo Messi, e il Barcellona.
La stessa sensazione di inquietudine ha accomunato tutto il resto dell’ecosistema calcistico valenciano, prima, durante, dopo la partita: le inquadrature strette durante il riscaldamento sono state soprattutto per Messi, i tifosi ululavano a ogni sua caduta, a prescindere dal fatto che si trattasse di un fallo o di una sua simulazione. Uno dei giornalisti accanto a me ha tolto il cappello di lana per ogni punizione dal limite, nonostante facesse molto freddo, evidentemente voleva mettersi le mani nei capelli già prima della conclusione di Messi. Prima di ogni conclusione di Messi. Per me, questa è stata la raffigurazione perfetta della paura. Anzi, della rassegnazione alla paura. Poco distante da me c’era anche Héctor Esteban, caporedattore sportivo del quotidiano Las Provincias. Ieri, il giornale è uscito con una doppia pagina che ritraeva Messi nei panni di Gulliver, secondo la famosa illustrazione del gigante trainato dai lillipuziani. Oggi, invece, il pezzo d’apertura inizia così: «El camino del Valencia en la Copa murió en las botas de Leo Messi». Héctor ha iniziato a scrivere il suo articolo al 75esimo minuto di gioco, sul risultato di 1-0 per il Barcellona. Al 75esimo Messi non aveva segnato né fornito assist, e non aveva giocato benissimo. Le evidenze statistiche e il giudizio sulla sua prestazione non sono cambiati a fine partita. Eppure, la sconfitta per 2-0 del Valencia porta il suo nome, il suo cognome, indossa i suoi scarpini.
Valencia-Barcellona, gli highlights personali di Lionel Messi
Individuare e raccontare l’impatto di Leo Messi sul modello tattico del Barcellona di Valverde significa fare una rilevazione di carattere culturale politico, storico. Più che di un’influenza, si può parlare tranquillamente di corrispondenza. Di un’assoluta, totale corrispondenza. Tutti i movimenti e le scelte di Messi, con e senza palla, hanno un solo obiettivo: la creazione di una superiorità numerica e/o posizionale, quindi vogliono smarcare letteralmente un compagno o aprire un lato debole nella difesa avversaria. È la riproduzione continua dei principi di gioco del Barça, dei dettami del Juego de Posición. La definizione del ruolo di Messi, in un contesto del genere, diventa una questione laterale. A prescindere dalla posizione (ieri sera, nel 4-4-2 asimmetrico di Valverde, Messi ha agito come seconda punta con libertà di sbilanciarsi sulla fascia destra), la tendenza dell’argentino è quella di chiedere e ricevere la palla in tutte le zone del campo, per costruire il gioco offensivo. Come un playmaker del basket, che ha il compito di iniziare tutti i giochi d’attacco: la quota di 125 palloni giocati ieri sera (seconda tra gli uomini di Valverde dopo Busquets) restituisce parte dell’incidenza di Messi, ma il discorso va oltre.
Il Barcellona non solo gioca come Messi, ma anche al ritmo di Messi. L’intensità degli azulgrana è compassata, spesso la corsa minima e il calcio in surplace di Messi alimentano l’immagine indolente di una squadra in attesa, che tende a raffreddare la temperatura della partita attraverso il possesso palla. Ieri sera contro il Valencia, così come in altre partite di questa stagione, è stata chiara la volontà di gestire le energie e il risultato, secondo un’interpretazione utilitaristica della superiorità tecnica e del gioco. Durante la partita del Mestalla, questa sensazione è stata accentuata – soprattutto nel primo tempo – dalla certezza del risultato: il match d’andata al Camp Nou si era concluso con il risultato di 1-0, il Barcellona e Messi non dovevano accelerare, non c’erano urgenze.
Nel 2018, a 31 anni da compiere, Messi può permettersi questo tipo di approccio al gioco. Può controllarsi, può ridurre sé stesso e poi esplodere all’improvviso, tagliando il campo in due, creando gli spazi per le azioni più pericolose. L’impressione conclusiva rispetto all’esperienza di una sua partita sta nel concetto di riproducibilità possibile dell’episodio: anche ieri sera, pur nello scenario di una prestazione negativa, Messi ha creato almeno almeno tre occasioni potenziali per la conclusione vincente o per l’assist decisivo. Nel primo tempo, è andato vicinissimo al gol personale con un tiro a girare, da fuori area. Il Mestalla è ammutolito per un attimo, mentre il pallone sfiorava il palo. Qualora fosse entrato, avremmo parlato dell’ennesimo capolavoro di una carriera irripetibile. E io avrei visto un suo gol, dal vivo. In ogni caso, non credo avrei cambiato una sola parte di questo resoconto, non ce ne sarebbe stato bisogno. Perché la grandezza del dominio di Messi sta nella sua condizione privilegiata, per cui pochi centimetri fanno la differenza – come per gli altri calciatori – ma la qualità e l’identificazione con la sua squadra sono talmente elevate – e percettibili – che la costruzione mentale del gioco è quasi sempre perfetta, è continuamente perfetta, esattamente come la giocata conclusiva. Ho capito tutto questo dopo dopo aver visto Messi al di sotto delle sue possibilità. Un peccato, o forse no.