Giudicare Pellegri

Una scelta coraggiosa, quella di accettare il Monaco, che in termini pratici deve essere letta da più prospettive.

Esordire giovani è il più delle volte un segnale. Possiamo verificare questo assunto osservando i più apprezzati talenti italiani oggi, tutti accomunati da una certa precocità: Donnarumma ha esordito a 16 anni e 8 mesi, come Kean un anno dopo, Barella a 17 anni e 11 mesi, Chiesa a 18 anni e 10 mesi. In questa categoria si inserisce di diritto anche Pietro Pellegri, che ha messo piede su un campo di Serie A per la prima volta a 15 anni e 9 mesi. Tra il 22 dicembre 2016, data di quel Torino-Genoa, e il 27 gennaio 2018, corrispondente al giorno in cui è stato reso noto il suo trasferimento al Monaco, sono successe alcune cose. Innanzitutto Pellegri ha messo in fila una serie di risultati non indifferenti: è stato in ordine il più giovane esordiente italiano di sempre (a pari merito con Amedeo Amadei), il terzo marcatore più giovane della storia della Serie A (dopo Rivera e lo stesso Amadei) e il più giovane in assoluto ad aver realizzato una doppietta nella massima serie. Il livello di audience raggiunto negli scorsi mesi dalla sua vicenda ha toccato vette altissime, tanto che per celebrarne l’unicità si è scomodato persino il sito della Bbc con un longform a firma di James Horncastle. A essere descritta in quel caso era la storia di Pellegri, il rapporto con il padre che è anche parte dello staff, mentre passava in secondo piano l’analisi del calciatore, del Pellegri attaccante.

Di quella sfera conosciamo ciò che i suoi 350 minuti di professionismo ci hanno voluto dire. Poco in realtà, ma neanche pochissimo. Dieci presenze e tre gol nell’arco di un anno hanno suggerito che quello cui ci troviamo di fronte – e che il nostro campionato ha appena perso – è un calciatore dalle potenzialità straordinarie nel senso proprio del termine. Un ragazzo che è cresciuto in fretta (supera nettamente il metro e novanta) e che a 16 anni da compiere vantava già una coordinazione nettamente superiore a quella della media. È indubbiamente il classe 2001 più forte, almeno in Europa, e tra quelli più sondati in assoluto dai club di caratura internazionale.

Il primo gol di Pellegri in Serie A: detta il movimento in profondità a Lazovic, si lancia in avanti, sfida sul lungo uno specialista come Manolas. E indovinate chi la spunta?

Paragoni scomodi e poco veritieri a parte, come ad esempio quello proposto da Preziosi nel 2015 («il nuovo Messi lo ha il Genoa, ha 14 anni e si chiama Pietro Pellegri»), va detto che di giocatori del suo livello alla sua età se ne sono visti pochi. Ed è questa la ragione che ha spinto il Monaco a chiudere la trattativa il prima possibile, nonostante per portarlo nel Principato si sia reso necessario un esborso (pari ad oltre venti milioni di euro) da riconsiderare esclusivamente in prospettiva. L’investimento Pellegri visto più ad ampio raggio si inserisce in una politica in materia di player trading che il Monaco ha introdotto da circa quattro anni, il cui succo – piuttosto banale – è quello che segue: setacciare i mercati europei (con un occhio di riguardo per quello locale) e prendere tanti giocatori futuribili a dispetto di due/tre cessioni significative per sessione. Dalla sessione estiva del 2014 in avanti sono stati fatti investimenti su un’età media generale attorno ai 22 anni, e gli unici over 30 ingaggiati sono stati portieri come Stekelenburg, De Sanctis e Benaglio, peraltro a parametro zero. Poi Glik e Jovetic a 28 e 27 anni, dopodiché solo giovani semi-lanciati o in rampa di lancio. Pellegri fa naturalmente parte del secondo filone, e anche all’interno del secondo filone rappresenta un unicum, visto che anche tra i giovani e tra i giovanissimi lui resta sempre il più giovane in assoluto.

Nell’ottica di esprimere una valutazione sulla scelta di Pellegri è utile soffermarsi sulla differenza sostanziale che separa la Serie A dalla Ligue 1 francese: la fiducia riposta nel talento. Perché sì, è vero che scegliendo il Monaco Pellegri si condanna a mesi di duro apprendistato, ma ribaltando la questione viene da chiedersi: cosa sarebbe successo se fosse rimasto in Italia? Avrebbe trascorso altri sei mesi all’ombra di Pandev, di Lapadula, persino di Galabinov, che per varie ragioni gli sono stati preferiti sia da Juric che soprattutto da Ballardini (appena 21 minuti, è lo spazio che il nuovo allenatore gli ha concesso dall’inizio di novembre). Saltando da Genova al Principato cambia contesto in due sensi: da un lato riduce ancor di più le possibilità di trovare spazio (i francesi sono stati oltretutto eliminati dalle competizioni internazionali) nell’immediato o nel futuro prossimo, ma dall’altro va ad imparare il mestiere da Falcao in una squadra che lotta ai vertici del campionato da anni.

Una squadra con un progetto di autofinanziamento stabile, che sui giovani punta davvero. È rilevante in questo senso il tweet con cui il Monaco gli ha dato il benvenuto: «Pietro è un’ulteriore prova del fatto che il nostro lavoro […] sta attirando i più grandi talenti nel calcio europeo», ha detto il direttore generale del club Vadim Vasilyev. Pellegri non è un giovane da tutelare, ma un calciatore che al Principato sono fieri di aver acquistato. È anche nel coraggio di queste parole, oltre che nell’impegno economico dell’investimento, che emerge la distanza culturale con il modello delle squadre italiane. Una conseguenza non da poco a questo riguardo è la reazione del ragazzo al corteggiamento: ci sono Milan e Inter, c’è la Juventus, che però si mostrano titubanti, non sono convinte che sia il momento giusto per ricavare spazio a un 17enne; poi c’è il Monaco, che prepara il contratto, si accorda con la società e propone un percorso di crescita diverso. Tratta Pellegri come uomo, anche troppo in un certo senso, ma questo basta per convincerlo.

Accettare il corteggiamento del Monaco, partendo da Genova, significa di per sé fare un salto di dimensione per cui è richiesta una certa maturità; fare la stessa cosa all’età di Pellegri significa avere coraggio. E a pensarci bene, ad analizzare a mente fredda la sua scelta, è evidente che qualsiasi altra destinazione tra quelle plausibili sarebbe stata criticabile più di quanto non lo sia il Principato. Se avesse cambiato squadra rimanendo in Italia sarebbe stato confinato ad anni di rodaggio tra panchine e prestiti, avrebbe corso il rischio peggiore: quello di perdere la bussola. La Juventus di oggi non è un club coraggioso nel lanciare i giovani, né lo è l’Inter. È semmai uno scalino sopra il Milan, la cui situazione societaria rappresenta però un deterrente significativo. Oppure ancora: un trasferimento in Inghilterra, in pasto ad un livello di atletismo che salvo rari casi mette i bastoni tra le ruote di chiunque venga da fuori, avrebbe significato l’incremento all’ennesima potenza di quel rischio. Posta per ipotesi la necessità di cambiare aria, il Monaco, per i motivi già esposti, rappresentava tra tutte la scelta più equilibrata.

La prima (e unica) doppietta di Pellegri in Serie A: l’ingresso in campo alla mezz’ora, la deviazione fortunata sul primo gol, la zampata da attaccante vero sul secondo. È il saggio più eloquente che abbiamo di lui, sin qui

Certo, giudicare Pellegri significa anche voltare la medaglia, leggerne l’altra faccia. Una faccia dove viene ribadito a grandi lettere che Pietro da Genova non ha ancora 17 anni, che di certe cifre sarebbe meglio non parlare ancora per un po’, che un percorso di crescita serio dovrebbe seguire una certa linearità, una certa coerenza. Perché ciò che ha fatto Pellegri trasmette non solo coraggio e ambizione, ma anche grande sfrontatezza. Un tratto che non sembra suo, che non sembra appartenergli. Si lega a questo tema un video pubblicato circa una settimana fa sul sito ufficiale del Monaco, in cui a Pellegri è chiesto in sostanza di presentarsi. Parla ovviamente in italiano, ma il nocciolo della questione sta nel modo in cui scandisce le parole: innocente, ingenuo, incapace di fingere. È evidente che sta leggendo un testo scritto non da lui. Una sensazione più che legittima – e questa interpretazione del video lo dimostra parzialmente – è quella che vede Pellegri lanciato in una sfida ancora troppo grande per le sue dimensioni.

In casi come questi l’aurea mediocritas impone che la riflessione prenda le due direzioni e le congiunga l’una con l’altra. Pellegri ha optato per la scelta ambiziosa rifiutando a metà chi voleva imporgli il modello della pazienza, e per questo rifiuto ha voluto rischiare. Cambia paese, lingua, compagni, campionato, stile di vita. Persino gli amici, forse. E se parlare di adattamento solitamente pare banale, il suo caso rappresenta senza dubbio l’eccezione. La maturità e la sicurezza nei propri mezzi ostentate in questa scelta gli hanno aperto un portone: potrà arrivare ovunque prima degli altri. Allo stesso tempo, però, è ancora più ampio l’arco di tempo in cui dovrà scongiurare con il lavoro il pericolo del fallimento. Sarà interessante capire come si inserirà nel nuovo ambiente, e soprattutto quanto verrà considerato con i fatti oltre che con le parole. In molti erano pronti a scommettere su Pellegri, Pellegri ha scelto di scommettere su se stesso. E oggi, a partire dalla considerazione delle sue qualità, dei suoi margini di miglioramento e della sua personalità, fidarsi della sua scelta è il minimo che si possa fare.

 

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