Cosa manca al Psg

L'eliminazione contro il Real Madrid, arrivata dopo una prestazione mediocre, dice molto delle difficoltà nel costruire una squadra in grado di vincere la Champions.

C’è una frase più simbolica delle altre, nella serata che estromette il Psg dalla Champions. La pronuncia Adrien Rabiot, che non è uno qualunque: ha vissuto da protagonista le ultime cinque stagioni dei parigini – e, si potrebbe dire, anche le ultime cinque eliminazioni dalla Champions, tre ai quarti e due agli ottavi. Rabiot, dicevamo, che tra l’altro aveva segnato il gol del provvisorio 1-0 contro il Real Madrid al Bernabéu, dice: «Oggi non ci siamo riusciti. Ma ci riusciremo un altro giorno». È in quell’altro giorno che vanno letti l’ambizione e, al tempo stesso, il fallimento del Psg. L’altro giorno poteva essere adesso: poteva essere con Neymar e Mbappé, poteva essere dopo un primo tempo giocato a testa alta al Bernabéu. Poteva essere anche tredici mesi fa, quando il Psg aveva annullato il Barcellona con un sonoro 4-0. Poteva essere, ma non è stato. Ed è sulla vicinanza temporale di quell’altro giorno, o peggio, sulla sua realizzabilità, che poggia la credibilità del progetto sportivo del Psg.

I soldi non comprano la Champions League, scrive Espn questa mattina. «Una volta che il Psg definirà l’acquisto di Kylian Mbappé dal Monaco», si legge, «il club francese avrà speso oltre un miliardo di euro in giocatori da quando si è insediata la proprietà qatariota, nel giugno del 2011. Ma – al di là di quattro Ligue 1, tre Coppe di Francia e quattro Coppe di Lega – il Psg è il grande incompiuto della Champions League e non è ancora riuscito a raggiungere la sua prima semifinale (ci riuscì nel 1995, ndr)». Ed è vero: i soldi non comprano la Champions League. Ma aiutano: aiutano a creare una squadra competitiva, che riesca – al di là del passaggio del turno o no – a giocarsela con le migliori del continente. Questo Psg non è stato in grado: per 140 minuti della doppia sfida contro il Real Madrid, almeno.

Il gol di Ronaldo

Si potrebbe dire, a ragione, che a questo Psg manchi un’identità, che Emery non sia riuscito a far rendere al meglio una squadra potenzialmente esplosiva, o che la troppa abbondanza in attacco lo abbia messo in difficoltà, anziché aiutato. È sicuramente vero, e la scialba prova contro il Real Madrid – che è stato tutto il contrario dei francesi: solido, intraprendente, pericoloso, con un assetto quasi inedito ma straordinariamente indovinato – lo ha dimostrato. Però il Psg non è così, non necessariamente: nella fase a gironi di Champions ha mostrato uno strapotere come nessun’altra delle trentadue partecipanti, togliendosi pure lo sfizio di strapazzare il Bayern Monaco – ok, forse non il miglior Bayern Monaco, ma pur sempre una superpotenza del calcio europeo. E nel primo tempo dell’andata contro il Real Madrid ha giocato con coraggio, da big consolidata, e senza il rigore trasformato da Ronaldo sarebbe andato all’intervallo in vantaggio. Al Bernabéu, contro i vincitori delle ultime due Champions.

È il dopo che ha azzerato il Psg. Un secondo tempo, a Madrid, di totale rinuncia, amplificato dalla sostituzione, dopo poco più di un’ora di gioco, di Cavani con Meunier. I francesi hanno finito per crollare psicologicamente, schiacciati dal sapere il traguardo vicino – un pari, con gol, fuori casa sarebbe stato un risultato eccellente in vista del ritorno – e perciò incapaci di arrivare fino in fondo. Nel finale di gara hanno subito due reti nel giro di pochi minuti, mancando di solidità mentale nel momento cruciale del match. La stessa che è mancata nella gara del Parco dei Principi, la stessa che è mancata nella spettacolare disfatta al Camp Nou, un anno fa, con il Psg clamorosamente fuori dalla coppa dopo aver battuto all’andata il Barcellona per 4-0.

I voti di Psg-Real Madrid dati dall’Équipe

Al Psg, perciò, manca ancora qualcosa che potremmo definire, sinteticamente, un dna: internazionale, vincente. È in questo senso che i soldi non possono comprare la Champions. Manca l’approdo a una dimensione superiore, in cui è contemplata l’abilità a giocare certe partite, a interpretarle al meglio, a saper soppesare attimi e svolte di un match da dentro/fuori. Quella che, per esempio, ha sciorinato il Real Madrid, pur in una delle stagioni più critiche della sua storia recente; quella che, per esempio, è mancata a un’altra squadra le cui ambizioni sono cresciute esponenzialmente a suon di petrodollari, il Manchester City, sei volte su sette fuori prima dei quarti di Champions nelle ultime edizioni. Il City, ora, ha intrapreso un percorso basato sulla costruzione di un’identità di gioco, insieme a quello che forse è il migliore allenatore possibile in un’ottica del genere. Il Psg, ora che è quasi certo che Emery saluterà a fine stagione, dovrà fare lo stesso. Perché arrivi quell’altro giorno, e potrebbe volerci più del previsto.