C’è una frase che rimane impressa, e non necessariamente perché è quella che chiude il libro: «Ogni volta che un bambino sventola una bandiera allo stadio, lì rinasce il Commando Ultrà». È una frase di Roberto Stracca, giornalista del Corriere della Sera scomparso nel 2010, calco della celebre massima di Borges. Pierluigi Spagnolo, autore de I ribelli degli stadi, per edizioni Odoya, probabilmente non la sceglie per caso: è forte, carica, ricorda quanto l’aspetto del tifo, quello organizzato, sia una componente fondamentale nel calcio. Il libro di Spagnolo, giornalista della Gazzetta dello Sport, arriva nel weekend a Book Pride: appuntamento a Milano, a Base in via Bergognone 34 venerdì 23 alle ore 18.
Spagnolo, barese, ha frequentato per anni le curve. «È un tema che mi appassiona da sempre. Per me il calcio è la dimensione socializzante e popolare del tifo. Ho tentato di ricostruire cinquant’anni di mondo ultras italiano, con equilibrio e precisione come nel nostro mestiere, ma allo stesso tempo dando sfogo a questa passione». Il libro di Spagnolo è un’accurata storia del movimento ultras italiano: le origini, gli anni d’oro, fino a quelli attuali. Ma non solo: è una riflessione sul senso, anche sociale, degli ultras, e anche un modo per restituire un’immagine scevra di pregiudizi di chi popola la curva. «L’approccio dominante della società, se c’è un episodio di violenza, o un caso di razzismo, è: chiudiamo le curve. Questo è un modo di affrontare la violenza che non ha nessun senso. Se a scuola c’è un bullo, non viene punita tutta la classe. Allo stesso modo, se in cento fanno buu razzisti, perché chiudere tutto lo stadio? Questo fa capire quanta generalizzazione e approssimazione ci sia sul tema».
È un punto di vista comprensibile, e condivisibile, a chiunque abbia vissuto la realtà delle curve, anche non attivamente. All’inizio del suo libro, non a caso, Spagnolo puntualizza: «Gli ultras degli stadi non sono né dei santi, né dei criminali. Né buoni e belli, né sempre e solo dei teppisti. L’analisi del fenomeno è ben più complessa e non può ridursi a una semplice generalizzazione». Ma il libro non vuole essere una strenua difesa degli ultras: vengono ricordate anche le storture, gli episodi di violenza, i morti, soprattutto. Piuttosto, I ribelli degli stadi è un appassionato viaggio nella storia dei gruppi di tifo organizzato, da Nord a Sud: la Fossa dei Leoni del Milan, i Boys dell’Inter, fino alle realtà provinciali ma non per questo meno significative. Una lettura che entusiasma per le chicche che si ritrovano, e da cui si impara anche molto.
Certo, molti dei “protagonisti” del libro oggi non ci sono più: gruppi storici come la Fossa dei Leoni milanista o le Brigate veronesi o gli Ucn baresi si sono sciolti negli anni passati. La fase d’oro del tifo organizzato, dice Spagnolo, è coincisa con la fase d’oro del calcio italiano, a cavallo tra anni Ottanta e Novanta. Due gli eventi, su tutti, hanno determinato il declino, o comunque una fase diversa: l’avvento della pay tv, nel 1993, e la morte del tifoso genoano Vincenzo Spagnolo, due anni dopo. Ma il ruolo sociale – come accennavamo prima – degli ultras non è cambiato. «Ancora oggi la curva resta la più forte aggregazione giovanile italiana», dice Spagnolo. «È una sottocultura a tutti gli effetti, perché si fonda su valori riconosciuti da chi fa parte di quel movimento. Ed è anche la più longeva. Faccio un esempio. Nel 1977, a Parma, quando sono nati i Boys, le occasioni di aggregazione erano i partiti politici dell’epoca, come Dc e Pci, le parrocchie, certi sindacati, certi cinema, certe discoteche. Oggi, di tutto quello non vi è più traccia. L’unica cosa immutata è la Curva Nord».
Ed è per questo che, continua Spagnolo, gli ultras continueranno a esistere: «Perché continuerà a esistere la tendenza ad aggregarsi attorno a una passione popolare. Chi dice “sciogliamo gli ultras” non ha capito cosa sono gli ultras. Se sciogli quel gruppo domani ne nascerà un altro con un altro nome. Se impedisci alla gente di andare in curva inizieranno a tifare dalla tribuna. Come se uno dicesse: dobbiamo vietare la movida. Ma se la vieti alle Colonne di San Lorenzo, la gente allora andrà all’Arco della Pace». E inoltre: «La curva è il luogo più trasversale che esista, l’unico dove possono convivere l’operaio e il notaio. In quello il suo significato, luogo di aggregazione ieri, luogo di aggregazione oggi, non è cambiato».