Conoscere Lautaro Martínez

Tutto ciò che c'è da sapere sul nuovo attaccante dell'Inter.

Quando l’Afa, dopo un triennio di finali perse e illusioni svanite, decise di affidare la panchina della Selección a Jorge Sampaoli, una parte del tifo Albiceleste gli chiese un rinnovamento. Più per cancellare in fretta un passato recente fatto di sconfitte, che per perseguire un effettivo miglioramento tecnico: i vari Higuaín, Agüero e Di María, che costituiscono una delle generazioni più talentuose della storia del calcio argentino, sono tanto decisivi nei rispettivi club quanto tacciati dall’opinione pubblica argentina di non saper reggere il peso della maglia della Selección.

In cerca di nuove certezze caratteriali, il tifo ha individuato in Mauro Icardi e Paulo Dybala due possibili ancore di salvezza: entrambi classe ’93, entrambi decisivi in Serie A, ma soprattutto, entrambi non coinvolti nei tre anni emotivamente più devastanti della storia recente Albiceleste. Oggi, dopo un Mondiale che, con ogni probabilità, è stata l’ultima chance di riscatto per quella stessa generazione delle finali perse, il processo di integrazione degli attaccanti di Inter e Juventus con il vecchio nucleo non sembra arrivato al punto sperato: se Dybala, nonostante l’assenza in una delle ultime convocazioni, è riuscito a strappare un biglietto per la Russia, Icardi è stato tagliato dalla lista dei 35 pre-convocati, a ulteriore testimonianza di quanto la Selección sia un contesto governato da equilibri interni che anche il rendimento in campo fatica a infrangere. Paradossalmente, questo spreco di talento ha permesso a un altro attaccante argentino, reduce da una stagione di puro dominio tecnico in Sudamerica, di inserirsi in questa spaccatura e mettere in luce le proprie qualità.

Lautaro Martínez ha 21 anni, ha da poco esordito con la maglia della Selección e ha fatto parte della lista dei 35 preconvocati di Sampaoli a Russia 2018, insieme agli stessi Mauro Icardi e Paulo Dybala. In Argentina, l’entusiasmo intorno a questo nuovo sorprendente numero nove è palpabile e in molti hanno chiesto a gran voce la sua presenza in Russia, senza risultati; in Europa, però, ci arriverà ugualmente nel giro di pochissimo tempo, con la prospettiva di diventare il prossimo grande centravanti argentino.


Bahía Blanca

Bahía Blanca è la capitale del basket argentino. Una città mossa da una passione di cui sente di essere l’epicentro e che vive attraverso i miti di Manu Ginobili, dell’Estudiantes e della selezione bahiense che nel 1971 sconfisse i campioni del mondo della Jugoslavia. Qui, nel sud della provincia di Buenos Aires, dove il culto della pallacanestro convive con il calcio, è nato e cresciuto Lautaro Martínez. Fin da bambino, si appassiona a entrambi gli sport e li pratica fino all’età di quindici anni, quando decide di dedicarsi al calcio, entrando nelle inferiores del Club Liniers di Bahía Blanca. Una delle squadre in cui giocò suo padre Mario, ex calciatore con alle spalle una discreta carriera da esterno tra la seconda e la terza divisione argentina. La scelta della disciplina si rivelò azzeccata: l’anno seguente, dopo svariate partite vinte facendo ciò che ai suoi coetanei non riusciva, venne notato durante un allenamento con la selezione under-17 della città. Fabio Radaelli, allora coordinatore delle inferiores del Racing, non ebbe dubbi: «Mi sorpresero tre o quattro caratteristiche che, alla sua età, sono da giocatore superiore», raccontò poi al giornale bahiense La Nueva. «Sapevo che nei giorni seguenti avrebbe sostenuto un provino con Vélez e River, ma per me, dopo quel giorno, non era necessario vedere altro. Lo comprai direttamente». Possedeva già molte delle caratteristiche che, nel giro di quattro anni, lo avrebbero portato da segnare 53 gol in 64 partite di inferiores a dominare tecnicamente il campionato argentino. A renderlo un giocatore differente, però, fu tutto ciò che stava intorno al suo talento.

Meno di un anno fa, già elemento fondamentale del Racing, confessò in un’intervista a El Gráfico di guardare più volentieri partite di basket che di calcio: proprio per il fatto non essere mai entrato in contatto con la sua natura di atleta professionista, la pallacanestro è rimasta una passione pura, ma allo stesso tempo ha lasciato un’impronta indelebile nel suo modo di stare in campo. Fin dall’inizio della propria carriera, Lautaro ha infatti dimostrato una certa attitudine a leggere al meglio le situazioni di gioco, a percepire la propria posizione durante un’azione offensiva in relazione a quella di compagni e avversarsi e, soprattutto, a smarcarsi nelle zone calde in maniera letale: tutte abilità che uno sport con una componente così sviluppata di gioco senza palla come il basket, praticato fin da bambino, può solo implementare. Le stesse caratteristiche in cui eccelle, con sfumature diverse, Rodrigo Palacio, il più forte sportivo bahiense in attività tra i non cestisti, non a caso un attaccante cresciuto come Lautaro tra “cancha y parquet”.

Un altro filo che lega il calcio dell’attuale numero dieci del Racing alla pallacanestro è la capacità fuori dal comune di concentrarsi. La psicologa Cecilia Contarino organizza da otto anni un test di concentrazione per tutti i ragazzi delle inferiores de La Academia, che consiste nel trascrivere in ordine progressivo cento numeri assegnati in disordine, mentre si è sottoposti a varie distrazioni: non è casuale nemmeno che Lautaro Martínez abbia ottenuto i risultati migliori. Al contrario del calcio, in cui l’epicentro del gioco coinvolge molti meno elementi alla volta, il basket costringe i giocatori a pensare e mantenere un alto livello di concentrazione durante tutto l’arco della partita: un background che, vedendolo oggi in campo, sembra aver influito molto durante la sua formazione. Prospettive differenti creano giocatori differenti.

Mentalità

Chi ha conosciuto di persona Lautaro Martínez, prevede che nella sua carriera sarà la testa a fare la differenza. È descritto come un ragazzo intelligente, talmente votato all’autocritica da sfiorare l’eccesso. Come quando, alla sua terza partita da professionista contro l’Argentinos Juniors, rimediò da subentrato una doppia ammonizione nel giro di due minuti. Ogni giovane attaccante che ha avuto la fortuna di giocare nel Racing degli ultimi anni, ha avuto anche la sfortuna di doversi fare strada in uno dei reparti avanzati tradizionalmente più forniti del Sudamerica: Lautaro, al momento dell’espulsione, aveva davanti a sé nelle gerarchie Diego Milito, Lisandro López, Gustavo Bou e Roger Martínez. Tornando negli spogliatoi del Cilindro, in preda allo sconforto, portò con sé anche il rimorso di aver fallito un’occasione che probabilmente non si sarebbe più ripresentata.

Alla tendenza a chiedere sempre il meglio da sé stesso, ha sempre abbinato la consapevolezza di poterlo dare: «L’unico che poteva ribaltare quella situazione ero io» ha raccontato a El Gráfico lo stesso attaccante, che in quei giorni imparò a maneggiare uno dei lati peggiori della vita emotiva di un calciatore, la precarietà tra successo e fallimento. Non si fece scottare e reagì con equilibrio: «Mi scrissero di tutto su internet e decisi di chiudere ogni account social. La gente è così, se fai tre gol sei il migliore, se sbagli tre passaggi si chiedono come tu possa giocare nel Racing». Contrariamente a quanto temeva, la sua carriera ad Avellaneda era appena iniziata: Facundo Sava, dt al momento dell’espulsione, non gli diede chances da titolare, ma gli dimostrò la sua stima dedicandogli costanti attenzioni in allenamento e calciando personalmente decine di cross che il suo attaccante avrebbe dovuto trasformare in ogni sessione. Quando arrivò Ricardo Zielinski sulla panchina de La Academia, trovò in lui un giocatore più pronto, a cui potè affidare un maggior minutaggio e tutte le responsabilità che comporta essere una punta in un sistema poco elaborato offensivamente e molto resultadista come quello del Ruso. Fu nel 2017, sotto la guida di Diego Cocca, che i pianeti si allinearono per dare il via alla fase decisiva della sua crescita: a gennaio giocò a livelli altissimi il Sudamericano Sub-20 in Ecuador e a febbraio, dopo il duro infortunio al ginocchio subito da Lisandro López, ottenne stabilmente una maglia da titolare nel Racing. Alle nuove responsabilità rispose con cinque gol nelle prime sette partite giocate, le prime vere fiammate di un rendimento da tredici reti in Superliga e cinque gol in Copa Libertadores.

Un po’ di gol e numeri del “Toro”

Così come nel momento più critico della sua carriera, anche oggi el Toro non si risparmia dall’autocritica. «Sono molto arrabbiato, non mi riescono più le cose che facevo» ha esagerato dopo quattro giornate senza segnare, con addosso la sensazione di essere sempre in difetto che è propria della narrativa dei fuoriclasse. Nella settimana seguente allo sfogo, ha messo a segno due gol in due partite tra campionato e coppa.

Diego Milito, che ha condiviso con Lautaro lo spogliatoio nei suoi ultimi mesi di attività, lo ha definito «un giocatore fantastico, con mentalità vincente e professionalità che potrebbero già essere decisive». Le stesse che lo hanno spinto, a soli vent’anni, a chiedere al proprio agente di trovargli un nutrizionista personale, per costruire un tempio intorno al proprio talento. Aver esteso la dimensione dell’allenamento a tutta la propria routine denota un’attitudine al miglioramento che forse, a livello mentale, è il ponte più importante per avvicinarsi al calcio europeo: «Continuerò per la stessa direzione: allenarmi, superarmi e imparare dai giocatori che avrò vicino» ha concluso Lautaro, nella sua seconda intervista a El Gráfico.

Istinto e completezza

Il primo incontro tra Lautaro Martínez e l’Europa è avvenuto nello scenario peggiore che si potesse immaginare: subentrato sul 4-1 contro una Spagna intenzionata a dilagare, stretto nella morsa difensiva di Piqué e Sergio Ramos. «Ho sentito la differenza con i giocatori d’élite» ha commentato severo dopo una mezz’ora frustrante, in cui è riuscito a toccare appena nove palloni, di cui soltanto uno nell’area di De Gea.  Lautaro è un centravanti dal fiuto per il gol innato e sa fendere le zone calde del campo con tagli decisi, come se l’equilibrio di una difesa schierata fosse una tela da lacerare. L’assortimento offensivo della rosa del Racing lo ha sempre costretto a giocare in un attacco a due, con un compagno di reparto molto più incline a riempire l’area in maniera stabile: questo sistema gli ha consentito di accentuare i suoi pregi come la bontà dei movimenti offensivi e la qualità nel giocare palloni anche lontano dalla porta, lasciandolo libero di coltivare la sua anomalia, la tendenza a non stazionare quasi mai in area. È un nove atipico, perché preferisce diventare letale quando è di passaggio, ma i suoi mostruosi fondamentali in smarcamento, tiro e colpo di testa hanno ugualmente spinto Sampaoli ad accostarlo alla tradizione del nove argentino in persona, Gabriel Omar Batistuta.

Contro il Boca segna uno dei gol più belli del campionato: dopo aver protetto con il fisico e distribuito di spalle un pallone al compagno, resta pronto a ricevere e si coordina meravigliosamente. Il suo tiro, che sia da media o lunga distanza, di prima intenzione e o da fermo, è devastante per potenza, precisione e rapidità di esecuzione. Pur avendo come raggio d’azione abituale tutto il fronte d’attacco, dimostra di dover ancora crescere dal punto di vista associativo, come confermano le statistiche: tra gli attaccanti del suo campionato, è infatti alla posizione numero 169 per numero di passaggi effettuati ogni novanta minuti (16.6, con una precisione di 69%). Valori bassi sia per quantità che per qualità, tenendo conto che il suo abituale compagno di reparto Lisandro López è alla posizione 33, con 31.3 passaggi a partita, di cui il 79% con esito positivo. Lautaro è figlio di un contesto in cui la fiducia nella giocata sopravvive ancora con particolare fierezza, ma la interpreta con l’intento di essere sempre concreto e determinante: in Superliga, nessuno ha tentato più tiri di lui (64), né ha centrato più volte la porta (35). La componente istintiva del suo gioco è probabilmente la sua dote più influente, sia in positivo che in negativo: oltre che nei tagli e nelle conclusioni a rete, emerge chiaramente nel dribbing, improvviso e insistente, spesso arricchito da sombreri, ruletas, tunnel e altri pezzi di bravura,: tra gli attaccanti centrali, solo Nacho Scocco del River Plate ha saltato l’uomo più volte di lui (38 contro 36). I momenti di trance agonistica in cui si immerge el Toro sembrano però diventare una questione di orgoglio quando preferisce andare fino in fondo a giocate complicate in mezzo a più avversari, anche lontano dalla porta, piuttosto che rifugiarsi in una scelta più semplice: se funziona, un utente di Twitter avrà una nuova gif da creare, se non funziona, sarà una palla persa. Quasi un riflesso condizionato. Come se il coefficiente di difficoltà di una giocata sia lo stimolo chiave che gliela fa eseguire con naturalezza.

Con una tecnica di base così sviluppata, un fisico compatto (1.74 m x 81 kg) e un’enorme velocità di esecuzione, Lautaro, con la palla tra i piedi, è stato a lunghi tratti incontenibile. Pur essendo il settimo attaccante del campionato argentino per palloni persi, il suo stile di gioco ha finora portato più benefici che rischi, ma in Europa, con più qualità e un modo completamente differente di occupare gli spazi in fase difensiva, sarà sicuramente più difficile ottenere gli stessi con questa soluzione. Non ha invece controindicazioni l’altro tratto fondamentale del suo profilo tecnico, la completezza: dei diciotto gol realizzati in stagione, dieci li ha segnati di destro, quattro di sinistro e altri quattro di testa. Nonostante la media statura, ha saputo rendere il gioco aereo un’arma importantissima, sia nell’elevazione che nei tempi con cui arriva a impattare il pallone. Forse, grazie al suo passato cestistico, o più semplicemente emulando il suo punto di riferimento, un maestro in questo fondamentale come Radamel Falcao.

La differenza tra Lautaro Martínez e la maggior parte degli altri attaccanti l’ha teorizzata proprio Fabio Radaelli, descrivendo le prime impressioni che ebbe sul campo del Club Liniers vedendolo giocare: «Era come se ci fossero due giocatori in uno». Oggi come allora è sorprendente, oltre che incredibilmente moderna, la facilità con cui Lautaro riesce a passare da un registro del proprio gioco all’altro, alternando colpi che solo un giocatore con eccellenti doti tecniche può permettersi, a un lavoro dispendioso senza palla: con una grinta fuori dal comune, pressa sempre il primo portatore avversario e, dopo aver perso un pallone, non lascia mai un recupero intentato. Non a caso, è il secondo attaccante del suo campionato per falli commessi. Abbinata alla capacità di servirsi al meglio della propria fisicità, questa intensità lo completa e gli permette di sviluppare il proprio gioco su più linguaggi.

Contro il Rosario Central usa il fisico per recuperare palla a metà campo, salta un uomo in progressione e si inventa una scivolata per incrociare sul secondo palo. Grinta, tecnica e fiuto del gol: tutto Lautaro Martínez in un’azione. Lautaro Martínez è indubbiamente il giocatore sudamericano più pronto a confrontarsi con l’universo calcistico europeo, sia per la sua solidità mentale che per la vastità di soluzioni tecniche che offrirà ai suoi futuri allenatori. In Argentina, sono quasi tutti d’accordo sul suo conto: Sergio Agüero, poche settimane fa, trovava scandaloso che giocasse ancora in Superliga, Diego Latorre, il commentatore tecnico più influente d’America Latina, lo ha definito «il miglior giocatore del calcio nazionale», Osvaldo Ardiles lo ritiene «il più entusiasmante» e lo avrebbe voluto vedere al Mondiale, così come Ricardo Bochini.

In un dibattito calcistico inevitabilmente contaminato dagli entusiasmi, Gabriel Omar Batistuta, prima delle convocazioni definitive, ha letto con più lucidità di tutti l’inizio di carriera di Lautaro. «È come un’auto nuova, ha grande potenza ma è necessario vederla su 2000 o 3000 chilometri. Ora ha davanti attaccanti attaccanti più esperti e rodati, che non valgono meno di lui» ha detto Batigol. «Gli consiglio di estraniarsi dalla polemica sulla sua presenza in Russia. Deve continuare così e aspettare la sua opportunità». Un consiglio valido anche oggi, che il nome di Lautaro Martínez non appare nel gruppo dei 23, ma il suo futuro passerà ugualmente per mentalità e duro lavoro, ed è tutto nelle sue mani.