Come sono cambiate le autobiografie nel calcio

Da quando i libri che raccontano le vite dei calciatori sono diventati un genere così richiesto da pubblico ed editori?

Fino a qualche anno fa, molti giocatori storcevano il naso se veniva loro proposto di mettere a nudo la propria anima in un’autobiografia. Era, anzi, considerato inopportuno e di cattivo gusto mettersi così in mostra. All’inizio degli anni Novanta Nick Hornby con il suo Febbre a 90° e Simon Kuper con Il calcio contro il nemico danno però il fischio di inizio, inaugurando un filone letterario più elevato e incisivo che conquistò il mercato americano. Eppure, nell’immaginario collettivo, le autobiografie dei calciatori continuavano a essere ostinatamente noiose, circondate da cliché. La prospettiva che uno di loro potesse sfondare era nulla, a ogni latitudine. Poi, nel 1996, il giornalista Ian Ridley iniziò una collaborazione con il capitano dell’Arsenal, Tony Adams, per la stesura della sua autobiografia, Addicted, poco dopo che quest’ultimo aveva pubblicamente ammesso la sua dipendenza dall’alcool. Addicted ha allargato gli orizzonti, descrivendo nel dettaglio i peggiori eccessi dell’alcolismo («L’ultima cosa che ricordo è che mi sono svegliato – il letto era bagnato – in una stanza che non aveva più una porta. Solo dopo mi hanno raccontato che mentre ero ubriaco marcio mi ci sono buttato contro e l’ho sfondata»). Ridley spiega che «Tony voleva mettere a nudo la sua anima mettendo per iscritto la sua voglia di onestà. Sentivo di potergli porre le domande giuste, le domande che, forse, solo un ex alcolista (sono stato in terapia per otto anni) avrebbe potuto fargli».

Le vendite del libro schizzarono alle stelle. «Sono quasi vent’anni che è stato pubblicato e ha venduto circa 1,2 milioni di copie in tutto il mondo. È stato tradotto in più lingue e ora, grazie a Kindle, anche i lettori delle località più recondite della terra possono leggerlo senza pagare esorbitanti spese di spedizione. L’anno in cui è uscito si è piazzato al secondo posto nella classifica generale dei best seller, non solo nella classifica dei libri di sport. Credo che basti questo per capire quanto siano cambiati il calcio e i libri sul calcio. Il gioco del calcio e i libri sul calcio sono diventati un fenomeno veramente globale».

Il successo di Addicted, diventato un modello di genere e un parametro di qualità, ha alzato l’asticella, ma questo non ha portato automaticamente gli altri libri dello stesso genere a vendere migliaia di copie. Paul Kimmage, inizialmente, ha dovuto lottare con tutte le sue forze per trovare un editore che volesse pubblicare l’autobiografia dell’ex centrocampista irlandese Tony Cascarino, La Rivelazione di un perdente: la vita segreta di Tony Cascarino: «Avevo passato un sacco di tempo con Tony ed avevo già scritto quattro capitoli prima che Simon e Schuster decidessero di pubblicarlo», ha spiegato. Un editore disse: «Tony Cascarino? Non propriamente David Beckham mi sembra». «E li capivo», confessa Kimmage. «Tony non giocava più in Inghilterra da alcuni anni, ma io comunque sentivo che quel libro sarebbe stato un successo». La Rivelazione di un perdente si articola su due livelli. Da una parte abbiamo le storie al testosterone e le chiacchiere da spogliatoio, ricche di aneddoti su Jack Charlton e le sue parolacce, o sul dubbio senso dell’umorismo di Glenn Hoddle. Come in Addicted, la narrazione trascende il gioco del calcio. La separazione dolorosa tra Cascarino e la moglie e i figli è il fil rouge di tutta la storia. Poi c’è la voce interna, scettica, («Piantala Cas, col cazzo che segni. È un pezzo che ti sei fregato») che lo tortura ogni volta che scende a rete per segnare. «Tony non era costretto a confessare queste cose», ha spiegato Kimmage. «Lo scrittore è quello che schiaccia i tasti, ma è il giocatore che deve confessarsi».

L’inatteso successo globale dell’autobiografia di Cascarino ha portato alla ribalta con gran clamore le memorie di altri calciatori irlandesi. Il libro di Roy Keane uscì alla vigilia dell’episodio che gli costò la squalifica nel ritiro coreano di Seipan durante i Mondiali del 2002, il «puoi ficcartelo su per il culo» rivolto al ct Mick McCarthy.

Negli ultimi dieci anni, le vendite di libri dal profilo più elevato rivelano come sia cambiata la qualità letteraria. Le librerie dei supermercati e degli aeroporti ora espongono le autobiografie dei calciatori accanto a quelle di big del calibro di Sharon Osbourne e Simon Cowell. Il direttore editoriale non-fiction di Harper, Jonathan Taylor, spiega: «Le nostre scelte editoriali sono influenzate da ciò che i nostri principali rivenditori, inclusi i supermercati, pensano di poter vendere in grandi quantità. Il fatto che la Harper sia di proprietà della News Corporation offre alle nostre pubblicazioni una forte visibilità in pubblicazioni come The Sun, The Sunday Times e News Of The World, oltre a varie altre testate internazionali. La serializzazione, a volte, può provocare un fenomeno di sovraesposizione, quindi ora cerchiamo di essere un po’ più creativi e diversificare. Ad esempio, un giornale può pubblicare una serie di citazioni per stuzzicare la curiosità dei lettori, oppure un giocatore può twittare alcuni estratti o postare dei filmati in cui legge qualche brano».

Piuttosto la domanda è: oggi come oggi, in un’era di calciatori multimilionari, questi protagonisti sentono veramente il bisogno di pubblicare un’autobiografia dando sfogo (se possibile) al libero flusso dei loro pensieri, e quindi aprire il proprio cuore esponendosi a un severo giudizio? Gli anticipi sono, per gli standard di noi mortali, esorbitanti. David Beckham ha ricevuto circa 2 milioni di sterline per il suo My Side, e siamo più o meno sugli stessi livelli per i libri di Zlatan Ibrahimovic e Andrea Pirlo, che hanno scritto rispettivamente Io Ibra e Penso quindi gioco. Jonathan Taylor spiega: «È vero che nel grande schema delle cose un anticipo a sei zeri non cambia la vita di questi giocatori. Ma quello che li attira piuttosto è una certa gloria che può derivare dalla pubblicazione di un libro. Si tratta in pratica di una forma di estensione del marchio. Hai un contratto per vendere stivali, vestiti, forse anche gel per capelli, allora perché non completare il pacchetto con un contratto editoriale?».

I tomi vergati da Pirlo e Ibrahimovic – star e icone a livello galattico, che contano ognuno oltre 2 milioni di follower su Twitter – sono esempi emblematici di questa “terza ondata” di autobiografie di calciatori destinate sin dall’inizio a travalicare i confini. Entrambi i libri, che hanno superato il milione di copie vendute e che sono stati tradotti in diverse lingue, complici il soggiorno di Pirlo a New York e il trasferimento di Zlatan ai Los Angeles Galaxy, hanno giovato alla rapida espansione delle vendite sul mercato statunitense, notoriamente ipersensibile.

Le autobiografie scritte da questi campioni e dai loro doppi, i ghostwriter, possono rappresentare un’esperienza veramente illuminante e occasionalmente frustrante, anche per uno scrittore navigato come Hunter Davies, che si è occupato delle biografie di Paul Gascoigne, Dwight Yorke e Wayne Rooney. Ricorda: «Quando ho conosciuto Gazza, sono stato diretto e gli ho chiesto: “Perché vuoi fare questo libro? Avrai abbastanza tempo da dedicargli? Mi racconterai la verità?” Gazza non ha lesinato sul tempo, ma dopo appena un’ora che lo conoscevo mi stava già raccontando delle storie così disgustose e scioccanti sulle scorribande con il suo amico Jimmy Cinquepance che gli ho detto: “No, Paul, è orribile, non possiamo usare questa roba. È terribile”. Gazza era felice di raccontarmi tutto anche se spesso mi diceva “Mi hai veramente rotto i coglioni!”».

A volte i ghostwriter possono trovarsi in difficoltà, come è successo a David Lagercrantz, il co-autore di Zlatan. «Lo so: se vuoi trovare qualcosa che sembri veramente autentico, devi assolutamente evitare il virgolettato. Penso di non aver neanche una sua citazione (di Ibrahimovic, ndr). Ho provato a creare un’illusione per cercare di scoprire la sua storia. Ho tentato di scoprire Ibrahimovic, attraverso una sorta di ricerca letteraria. La prima cosa che mi disse dopo aver letto il manoscritto fu: “Che cazzo è questa roba? Io non l’ho mai detto!” Ma dopo un po’ penso che abbia capito cosa stavo cerando di fare e ora pensa che sia questa la sua vera storia».

Data l’attuale situazione economica, può essere alquanto rischioso per gli editori distribuire grossi anticipi. Per rientrare di un anticipo da un milione di sterline, in genere, la regola vuole che si vendano almeno 330mila copie di libri con copertina rigida a 20 sterline l’uno. Jonathan Taylor sostiene che «il successo o il fallimento di un’autobiografia sono relativi. Se un giocatore riceve un anticipo di 5000 sterline, o anche meno, e il libro vende oltre 6000 copie, allora è andata bene. Protagonista assoluto di questo mercato è Amazon e la sua onda lunga: basta schiacciare un tasto e puoi comprarti tutte le biografie di calciatori che vuoi. La potenza di Internet è enorme, sotto tutti i punti di vista, può spingere e pubblicizzare molti titoli alternativi. C’è un mercato per ogni tipo di autobiografia di calciatori».

Come per tutti i settori dell’economia globale, anche l’editoria sta vivendo un momento di crisi. Eppure la domanda di autobiografie di giocatori non dà segni di cedimento, anzi rimane ancora un’attività lucrativa. Gli editori continuano a elargire forti somme di denaro ai giocatori che hanno voglia di mettere a nudo sulla carta stampata almeno una parte delle loro anime. E chi non vorrebbe leggere le riflessioni di Zlatan sulla sua travagliata carriera nel Barcellona: «Quando compri me, compri una Ferrari. Se guidi una Ferrari, fai il pieno con la super, imbocchi l’autostrada e parti a manetta. Guardiola ha riempito il serbatoio col diesel e ha imboccato un sentiero di campagna. Avrebbe dovuto comprare una Fiat».

Che queste siano proprio le parole uscite dalla sua bocca è irrilevante. Il fatto che però siano state lette in tutta Europa e che abbiano anche attraversato l’Atlantico è la prova non solo che il calcio è un fenomeno veramente globale, ma lo è anche il business di commercializzare le autobiografie delle star del Ventunesimo secolo.

 

Dal numero 22 di Undici