“Il calcio mi ha salvato”

Grobbelaar ricorda il suo passato da soldato in guerra.

In occasione del lancio del suo libro “Life in a jungle”, l’ex portiere del Liverpool Bruce Grobbelaar ha rilasciato una lunga intervista al Guardian. Tra i vari temi trattati c’è il suo periodo nell’esercito dell’allora Rhodesia, oggi Zimbabwe, suo Paese nativo. Nel 1975 a 18 anni infatti Grobbelaar fu arruolato per combattere la guerra d’indipendenza che scoppiò in Zimbabwe; i racconti che Jungleman, questo il suo soprannome, rivela sono agghiaccianti. «C’era questo mio compagno, un soldato bianco, che tagliava un orecchio a ogni uomo che uccideva (soprattutto ribelli neri, ndr). Teneva le orecchie in un barattolo, e aveva parecchi barattoli. La sua famiglia era stata brutalizzata quindi voleva vendetta».

L’ex portiere, ora sessantenne, ha ammesso di non sapere bene quante persone abbia ucciso, ma di ricordarsi perfettamente la prima volta che l’ha fatto. «Era crepuscolo, quando il sole tramonta vedi solo ombre nei cespugli. Non riconosci tanto finché non vedi il bianco dei loro occhi. È tu o loro. Quindi spari e senti sparare intorno. Quando il conflitto a fuoco finisce, vedi corpi ovunque. La prima volta tutto quello che è nel tuo stomaco viene fuori dalla tua bocca». I postumi della guerra sono duri da affrontare: «Per questo ho sempre vissuto la mia vita giorno per giorno. Posso solo scusarmi per il passato, ma non posso cambiarlo. È stato il calcio a salvarmi, a tenermi lontano dai tristi ricordi della guerra». Jungleman racconta anche di due soldati che conosceva che, terminato il loro mandato, alla notizia di dover fare altri sei mesi in guerra, si sono tolti entrambi la vita simultaneamente.

Nell’intervista sono toccati altri temi complicati come la vicenda dell’Heysel del 1985. «Fu anche peggio della guerra. Lì sapevi sarebbe potuto succedere, mentre all’Heysel erano solo persone innocenti». O come l’accusa, poi smentita, rivoltagli nel 1994 dal Sun di aver combinato alcune partite. La vita da atleta di Grobbelaar non è stata sempre impeccabile. Lo zimbabwese ha raccontato di come nelle trasferte, in caso di vittoria, bevesse sempre tre birre, mentre quando la sua squadra perdeva arrivava anche a una dozzina di pinte, «per affogare il dolore». Nonostante ciò con quel Liverpool ha conquistato numerosi trofei nei suoi quattordici anni con i Reds, tra cui 6 campionati inglesi e una Coppa dei Campioni nella famosa finale di Roma, decisa ai calci di rigore. Jungleman è però il portiere dell’ultimo campionato vinto dal Liverpool. Per lui la colpa di questo lungo digiuno è da attribuire al «dottore-stregone arrivato ad Anfield. Questi mise della roba sulla mia porta, dicendo che senza Jungleman non avrebbero vinto mai più. Ed è andata così. Ora l’unico modo per sfatare questa maledizione è urinare nei 4 angoli; io l’ho fatto in due ma sono stato beccato nel 2014 quando il Liverpool arrivò secondo. Se non vinceremo il titolo quest’anno, andrò ad Anfield e completerò l’opera negli altri due angoli».