Tre cose sulla decima giornata di Serie A

I "momenti Ronaldo", l'altalena Milan e la sorpresa Fabián Ruiz.
di Redazione Undici 29 Ottobre 2018 alle 13:22

I “momenti Ronaldo”

Gary Neville, poco più di un anno fa, diceva di Cristiano Ronaldo: «Allo United, tra il 2006 e il 2008, si è visto il miglior Ronaldo in termini di apporto nel corso dell’intera partita. Al Real Madrid ha influito in modo enorme ai successi di squadra, ma vivendo più di momenti che di un contributo costante nell’arco dei 90 minuti». Nella Juventus, il portoghese è più coinvolto nella manovra di squadra rispetto a quanto accadeva in Spagna – un dato su tutti, la media passaggi a partita: 37,9 in bianconero contro i 27,1 dell’ultima stagione madridista. Ma i “momenti” di cui Ronaldo vive, e nutre la sua squadra, non sono certo terminati, e la Juventus lo ha scoperto in un complicato, sicuramente più del previsto, pomeriggio a Empoli.
La doppietta di CR7 al Castellani – calcio di rigore più gran tiro dalla distanza – dimostra come il portoghese riesca a decidere le partite senza per forza appoggiarsi sulla qualità della squadra. La seconda rete, in particolare, è la riprova che Ronaldo può far male da ogni posizione, per quanto le statistiche, da anni, ci dicano che la stragrande maggioranza delle sue reti arrivi da dentro l’area di rigore. Più che i numeri, però, la capacità di Cristiano di indirizzare le partite sta nella sua “sensibilità agonistica”, in quei momenti, appunto, che ne dichiarano la grandezza. Tecnica, ma anche mentale: perché bisogna stare sempre dentro la partita, anche nelle fasi più confusionarie, più incerte. Già a Frosinone Ronaldo, sul finire della partita, aveva regalato tre punti pesanti alla Juventus con una giocata in mezzo al nulla – il momento, di nuovo – e Allegri, non a caso, ne aveva lodato la “forza mentale”. A Empoli, l’opera si ripete, e la Juve incassa un’altra fondamentale vittoria. Che marca, una volta di più, la differenza con tutto il resto del campionato.


La prodezza vincente di Empoli

Le altalene del Milan

Si diceva, un tempo, che allenare a Milano era più facile per via dell’ambiente, più rilassato rispetto a città come Roma, più paziente, unito, privo di isterismi. Gli ultimi anni, a Milano, hanno cambiato questo dato: Spalletti, nelle prime dieci giornate, ha oscillato tra il rischio del crollo totale e le speranze di “nuovo Triplete”: naturalmente, entrambi gli estremi erano e sono esagerazioni poco sagge. Anche per il Milan le cose sono andate similmente: dopo la sconfitta contro l’Inter ci si strappava i capelli e ci si batteva il petto per il dodicesimo posto, dopo la vittoria contro la Sampdoria si è tornati quinti, a sognare un potenziale posto Champions con un’eventuale vittoria sul Genoa, nel recupero di mercoledì 31 ottobre. Il Milan visto contro la Sampdoria ha dimostrato di saper attaccare bene sulle fasce, con Suso e Laxalt che trasformano il 442 in 424, e di saper filtrare meno bene al centro, dove Kessié e Biglia hanno lasciato troppo spesso troppo spazio alla Sampdoria. Higuaín si è mosso per tutto il campo scambiando con Cutrone o portando palla per andare al tiro da fuori area, mostrandosi a suo agio con un compagno d’attacco. Suso ha dimostrato di essere in una condizione di forma straordinaria – settimo assist in nove partite, solito bombardamento verso la porta avversaria, sempre meglio anche con il destro – e Laxalt, meno tecnico, ha agito bene anche difensivamente. Una soluzione che si potrebbe riprovare, soprattutto considerata la scarsa forma passata di Calhanoglu, ma che non rappresenta una svolta in una stagione che non era, nonostante sembrasse a molti, già disastrosa.

Prima Higuaín fa il “dieci” e costringe Audero alla parata in angolo, poi lo scambio Laxalt-Higuaín-Cutrone-Higuaín porta al pareggio del Milan

Il miglior acquisto del Napoli

Il pareggio tra Napoli e Roma va stretto ai partenopei, che ora vedono la Juve riallungare in classifica, mentre per la squadra di Di Francesco è un buon modo di ripartire in campionato, dopo lo 0-2 casalingo subito dalla Spal. In una partita maschia e sempre in bilico, tra i 22 in campo il migliore è stato Fabián Ruiz. Schierato sulla sinistra nel centrocampo a quattro di Ancelotti, nel quale ha ormai soppiantato Zielinski, lo spagnolo ha fornito un gran contributo ai suoi, confermandosi come l’uomo in più in questo momento per il Napoli. Dopo la prima rete in azzurro a Udine e un’ottima prestazione anche a Parigi, Ruiz è stato il catalizzatore del gioco napoletano, una sorta di regista allargato che ha propiziato le migliori occasioni avute contro la Roma. Fabián ha completato 71 passaggi su 77, crossato per cinque volte, recuperato quattro palloni e soprattutto creato otto occasioni. Ruiz, classe ’96, sta stupendo tanti. Si è dimostrato in breve tempo un giocatore con doti tecniche non comuni; con grande intelligenza tattica, riesce infatti spesso a trovare in campo la posizione più scomoda per gli avversari; nonché fisico (è alto un metro e ottantanove). Oltre alle sterzate e agli inserimenti palla al piede, la sua caratteristica più rimarchevole è la duttilità. Ancelotti lo ha infatti utilizzato come centrale di centrocampo, ala e seconda punta e lo spagnolo lo ha sempre ripagato con ottime prestazioni. «Ha tante qualità: è stato un grande acquisto di questa estate», le parole del tecnico emiliano su di lui suonano come un’investitura.

La serpentina dello spagnolo non sfruttata da Insigne
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