Tre cose sulla tredicesima giornata di Serie A

Un Napoli non ancora pronto, Parma brutto ma efficace, Roma sperduta.

La Juventus scappa via

Dopo 13 giornate, la Juve tocca raggiunge i 37 punti, allargando così il record già precedentemente raggiunto del miglior avvio di sempre in Serie A. È un passo impossibile per chiunque: il Napoli, dopo il pareggio con il Chievo, è scivolato a -8, l’Inter è a -9. Le partite del fine settimana hanno ricordato qual è la differenza tra la Juve e le inseguitrici: la prima sa vincere risparmiando le energie, le seconde stanno imparando a farlo, ma non sempre ci riescono. È emblematico il match del San Paolo: il Napoli contro il Chievo ha giocato la gara come l’avrebbe giocata la squadra di Allegri, gestendo il pallone e gestendosi, con un occhio alla sfida di Champions con la Stella Rossa. Ha aspettato il momento per colpire, ma poi si è ritrovata nei minuti finali con il tabellino ancora immacolato. Non ha mai voluto forzare durante i novanta minuti, come per dimostrare all’avversario di aver pieni poteri sulla partita, di poterla decidere in ogni momento. Proprio come di solito fa la Juve. È però un dominio psicologico che solo la squadra di Allegri sa maneggiare con efficacia. Perché, anche giocando ad un ritmo blando, lo fa con più intensità nelle piccole cose, con un pizzico di consistenza in più nelle giocate, che poi in partite del genere fanno la differenza. È infatti ciò che, secondo Ancelotti, è mancato al Napoli: non il gioco né le occasioni, ma l’“intensità” in ogni gesto.

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L’efficacia della semplicità del Parma

Il Parma guadagna la zona europea battendo il Sassuolo in una sorta di contrappasso stilistico. La squadra di D’Aversa infatti è l’antitesi di quella di De Zerbi, dal punto di vista dell’idea di gioco. È la portavoce di un calcio semplice e tradizionale, antico e per certi versi anche banale. Ma è indubbiamente efficace perché è coerente con i giocatori che lo riproducono in campo. Il segreto del Parma sta in questa relazione. Il calcio di D’Aversa – basato su una difesa posizionale bassa, dove l’attenzione ai movimenti e alla copertura degli spazi è maniacale, e su ripartenze verticali e fulminee, sviluppate però con precisione – è perfetto per esaltare le doti dei migliori giocatori della rosa: quelle difensive e di leadership di Bruno Alves, che grazia alla linea difensiva bassissima può difendere in spazi ridotti ed evitare corse lunghe per coprire la profondità; quelle di proiezione verticale delle mezzali box-to-box come Rigoni o Barillà; quelle di corsa con il pallone tra i piedi in campo aperto di Gervinho, tornato vicino ai livelli della Roma; quelle di protezione del pallone, tempi di gioco e tecnica individuale di Inglese, indispensabile appoggio per una squadra che deve risalire sempre il campo, conquistando il pallone nelle retrovie. Finché continuerà ad applicarsi in questo modo, soprattutto in fase difensiva, il Parma sarà una mina vagante per tutte le avversarie, perché è una squadra che ha ben chiaro cosa deve fare in campo. Ha un’identità, e non era scontato vista la rosa costruita un po’ all’ultimo e il delicato salto dalla C alla A. Insomma, i 20 punti e il sesto posto non sono casuali, ma frutto di scelte finora coerenti ad ogni livello.

Non proprio un’azione manovrata e avvolgente, ma il Parma sa essere efficace così

Le incongruenze della Roma

Sabato, all’interno dell’area tecnica della Dacia Arena, Di Francesco non si è dato pace nemmeno per un secondo. Era stupito, quasi incredulo che la Roma di fronte ai suoi occhi non rispondesse ai suoi input. Il tecnico giallorosso ha ritrovato la squadra incomprensibilmente brutta già vista in campionato, dove la dinamica delle sconfitte – già 4 su 13 partite in A, quasi una ogni tre – è sempre la stessa: o si trova nei primi minuti, oppure la Roma non riesce a cambiare andazzo in corso d’opera. Più che una questione di gioco, quindi, parrebbe un problema di personalità. Non a caso i difetti emergono soprattutto nelle partite, sulla carta, abbordabili: la Roma infatti ha ottenuto solo 7 punti contro le ultime 6 in classifica. Forse l’errore è a monte, nella costruzione della rosa: i giocatori che l’anno scorso erano gli spigoli della squadra a cui i giovani potevano appendersi in caso di mareggiate, quest’anno non esistono più, vuoi perché sono stati ceduti sul mercato (vedi Alisson, Nainggolan e Strootman), vuoi perché i loro sostituiti non sembrano avere lo stesso carisma (vedi Nzonzi e Pastore). È un problema che si nota soprattutto in assenza di De Rossi, che ha giocato solo 43 minuti nelle ultime cinque partite di campionato in cui la Roma ha ottenuto soltanto 5 punti. In sottofondo rimane poi un’incongruenza tattica: i giocatori giallorossi sembrano poco adatti al gioco di Di Francesco. Gli esterni tendono a rimanere molto larghi ed isolati, non riescono a incidere tagliando verso il centro del campo come vorrebbe il tecnico, e i centrocampisti pensano lentamente, soprattutto Nzonzi e Cristante, inceppando tutta la manovra. Insomma, il primo avversario della Roma sembra essere la Roma stessa.

La difesa della Roma insegna come non difendere