Chi merita di vincere il Pallone d’Oro?

Cinque firme di Undici esprimono la loro preferenza.

Cristiano Ronaldo (Simone Torricini)

Si dice, e lo approvo, che la monotonia alla lunga appiattisca le cose. Il Pallone d’Oro è stato una di queste, almeno fino a dodici mesi fa. Oggi quel duopolio rischia seriamente di essere spezzato. Eppure se dipendesse da me finirebbe ancora nella bacheca di Cristiano. Le candidature di Griezmann e Mbappé sono forti: insieme hanno vinto il Mondiale (come Xavi e Iniesta nel 2010 o Neuer nel 2014), il primo ha portato a Madrid l’Europa League. E anche le stagioni di Varane e Modric, i due candidati di punta con il ventenne, sono state superlative tra Champions e Russia.

Ho però la sensazione che nomi nuovi siano graditi più perché nuovi che per un reale riconoscimento di superiorità. Di Cristiano invece vanno ricordate alcune cose: si è congedato dalla Spagna con quarantaquattro reti in altrettante partite, ha trascinato il Real alla terza Champions consecutiva e il Portogallo al risultato minimo in Russia. Dulcis in fundo, di tutti i candidati alla vittoria è l’unico che dopo il Mondiale non è calato. A trentatré anni. Cristiano non vincerà e forse è bene che si dia spazio ai nuovi. Ma che qualcuno meriti il Pallone d’Oro nettamente più di lui faccio davvero fatica a crederlo.

Luka Modric (Alfonso Fasano)

Forse è sbagliato considerare il Pallone d’Oro come un premio alla carriera, ma è bello pensare che proprio Luka Modric possa riscrivere questa convenzione. Che poi non si tratterebbe di una mera celebrazione del palmarès o della classe di un grande campione, almeno non solo: il premio di France Football certificherebbe l’impatto enorme di Modric sulla storia evolutiva del gioco, per cui il croato del Real Madrid è stato – ed è – il calciatore simbolo per la nascita di un nuovo prototipo di centrocampista.

Con Modric abbiamo scoperto cosa possono diventare i giocatori creativi, i fantasisti del passato; Luka ci ha mostrato come mettere il talento al servizio del sistema in un modo diverso rispetto ad un altro alieno come Iniesta, perché diverso è il loro contesto: se don Andrés già nel 2009 ci insegnava come il calcio potesse essere «una danza di passaggi in spazi brevissimi» (Simon Kuper su Financial Times), Modric ha esteso il concetto di regia a tutto campo, ha trasformato l’inventiva in un fatto dinamico, ha permesso a Zidane di costruire un gioco multiforme, corto e lungo, di possesso e in transizione, in grado di governare ogni pallone e quindi ogni momento di tutte le partite, di vincere contro qualsiasi avversario grazie alla forza stordente della qualità. Nell’anno solare 2018, oltre ad aver consolidato tutti questi aspetti del suo calcio, Modric ha vinto la Champions League (la quarta della sua carriera, la terza consecutiva) e ha trascinato di peso la sua Nazionale dal 20esimo posto del ranking Fifa alla finale dei Mondiali. That’s all, nel senso che almeno per me può bastare, deve bastare per consegnargli il Pallone d’Oro, per premiare proprio lui dopo l’assolutismo illuminato di Messi e Ronaldo.

Il gran gol del croato all’Argentina

Antoine Griezmann (Claudio Savelli)

Antoine Griezmann è incompreso. Lo è da sempre e lo sarà – forse – per sempre. Perché dipende dal suo contraddittorio modo di giocare e di essere che ha ingannato anche chi (non) lo ha votato per il trofeo: Griezmann è un fuoriclasse che però gioca da gregario; un solista che però rimane nell’ombra; uno da Real Madrid o Barcellona che però milita nell’Atlético; uno forte e bravo, però mai fortissimo e bravissimo; uno che è cresciuto, però non ancora del tutto. Tutti questi “però” sono un cliché. Chi non ne è vittima quest’anno ha osservato un Griezmann “definitivo”. Che non solo ha vinto l’Europa League con l’Atlético e il Mondiale con la Francia, ma lo ha fatto da uomo decisivo.

Senza di lui, né l’una né l’altra squadra sarebbero arrivate a quell’altezza. E non perché Antoine ha firmato entrambe le finali (doppietta contro il Marsiglia, gol e assist contro la Croazia) ma per tutto il resto. Infatti il punto (della discordia) è che quando è decisivo, Griezmann non sembra esserlo, perché non lo è nel modo che ci si aspetta da un attaccante di qualità. Così il giudizio è distorto e Antoine viene relegato alla prigionia del “però”. Eppure è proprio questa natura interdetta a renderlo straordinario: Griezmann non sembra mai faticare, ma è colui che rende semplice la complessità, che migliora tutto ciò che ruota attorno a lui. Lo fa con naturalezza ed un’eleganza tali per cui il suo sembra un esercizio di stile fine a se stesso: invece è il suo modo di essere utile al gioco del club e della Nazionale. Anzi, essenziale. Griezmann unisce quindi l’utilità alla bellezza. Andrebbe riconosciuto questo, ad Antoine. E quel pallone dorato sarebbe il miglior modo per farlo.

Cristiano Ronaldo (Claudio Pellecchia)

45 gol e 11 assist in 46 partite nell’anno solare 2018, che ha portato con sé la quinta Champions – la terza consecutiva in maglia Real – da protagonista (15 reti), un Mondiale da vicecapocannoniere con tanto di tripletta alla Spagna, l’immediato impatto sulla recente svolta offensiva della Juventus. Pure al netto della volatilità dei criteri di assegnazione del premio più discusso del mondo, tanto più nell’anno della rassegna iridata, immaginarsi questo Cristiano Ronaldo non premiato darebbe parecchio da pensare. Perché, ad oggi, non esiste un giocatore più incisivo, determinante, condizionante del portoghese nell’economia della singola squadra. Basterebbe guardare non tanto alle statistiche o al momento attuale, quanto alle prospettive a medio termine di Juve e Real: zenit e nadir di un mondo che ha visto ribaltate percezioni e prospettive rispetto a quanto visto a Cardiff non più tardi di un anno e mezzo fa, solo perché CR7 ha deciso di mettersi alla prova, ancora una volta. E se il Pallone d’Oro va al più forte non vedo chi, oggi, possa essere più forte di lui.

Show del portoghese contro la Spagna, su punizione il terzo gol

Kylian Mbappé (Alessandro Cappelli)

Assegnerei il Pallone d’Oro al giocatore che ancora deve rivelare – a se stesso e a noi – la fetta più grossa del suo talento. È un paradosso perché un premio si dà per quel che si è fatto, non per ciò che si farà. Ma per detronizzare i due giocatori più forti dell’era moderna ci vuole un cambiamento radicale. E il cambiamento risponde al nome di Kylian Mbappé. L’unico ancora candidabile per il premio Golden Boy, che invece concorre “tra i grandi” per il titolo di migliore in assoluto. Il ragazzino che, nell’eventualità, vincerebbe il premio proprio a tre anni esatti dal suo esordio con il Monaco. L’unico, tra i candidati, per il quale i tre anni appena trascorsi sono meno importanti di quelli che stanno per cominciare.

Sarebbe anche il primo teenager a vincere il Pallone d’Oro, battendo il record di precocità del giocatore cui forse somiglia di più: quel Luís Nazário de Lima Ronaldo al quale sembra aver rubato il talento, con un’intuizione geniale. Perché il gioco di Mbappé non solo galleggia su standard qualitativi da top mondiale, ma è una finestra sul calcio di domani: è il prototipo del calciatore del futuro, un giocatore totale, con uno skillset in cui le doti atletiche sono predominanti rispetto a quelle tecniche. Ha le qualità per giocare un calcio veloce, di tocchi ravvicinati e delicati, ma la differenza la fa con il suo corpo, che lo rende un vero freak nel panorama calcistico mondiale.