Per quanto negli ultimi la Liga sia stata affare di Real Madrid e Barcellona, è forse sbagliato parlare di duopolio in senso assoluto, visto che il calcio iberico ha attraversato fasi piuttosto diverse tra di loro. Per esempio, tra la fine degli anni Novanta e la prima metà dei Duemila è stato uno dei campionati più equilibrati d’Europa, con tanta alternanza al “potere”: una volta vinse il Deportivo, due il Valencia, mentre la Real Sociedad vide un titolo svanito solo al fotofinish. La quota scudetto era molto bassa in termini di punti: tutto il contrario di quello che divenne la Liga negli anni successivi, denominata “La Liga dei cento punti” proprio per la facilità con cui Real Madrid e Barcellona stroncavano la concorrenza.
Quest’anno, invece, qualcosa è cambiato. Le big del calcio spagnolo non hanno più vita facile e, anzi, il campionato si sta dimostrando molto più aperto che in passato. Un dato forse è il più esplicativo di tutti: alla tredicesima giornata il Siviglia era in testa con appena 26 punti, peggior leader dalla stagione 2001/02. Oltre alla classifica corta, fa specie vedere i continui passi falsi delle big anche contro avversari medio-bassi: con la singola partita ha un tasso di difficoltà molto più alto se confrontato con la Premier o la Serie A, dove le big sono praticamente a punteggio pieno contro le squadre della seconda metà di classifica. Il Leganés quintultimo ha sconfitto il Barcellona e costretto al pareggio l’Atlético, l’Athletic terzultimo ha pareggiato contro Real e Barcellona. Martin Laurence, sul Guardian, ha scritto così il 12 novembre in un articolo incentrato sul falso mito della “incertezza” della Premier: «La Liga in particolare è stata percepita da molti in Inghilterra per la sua mancanza di competitività, ma i tifosi spagnoli stanno vivendo una stagione imprevedibile e molto divertente. Ogni squadra della Liga ha perso almeno una volta in questa stagione».
Tornando al discorso principale, il dato di fatto più evidente è questo: rispetto alla “Liga dei cento punti” – in cui Madrid e Barcellona andavano avanti a suon di goleade –, ogni gara è molto più tirata e incerta, con la classe medio-bassa spagnola che è cresciuta parecchio. Alla base di questo, c’è un discorso economico troppo spesso sottovalutato. Fino alla stagione 2016/17, infatti, la Liga era l’unico campionato in cui avveniva una vendita individuale dei diritti televisivi, con Madrid e Barcellona che incassavano oltre il 40 per cento del totale, con un rapporto first to least (tra chi incassava di più e chi incassava di meno) di 8:1. Per fare un esempio concreto, nel 2014 blancos e blaugrana hanno incassato 160 milioni a testa, mentre l’Atlético campione di Spagna non superava i 45. Questa situazione stava diventando insostenibile: alcuni presidenti minacciavano di fermare il campionato.
Ora, con la ripartizione collettiva, i club di seconda fascia e terza fascia hanno aumentato a dismisura i ricavi, con alcune delle piccole che li hanno addirittura raddoppiati. Non ci sono più squadre sull’orlo del fallimento e costrette a fare salti mortali per poter acquistare giocatori di livello: ora tutte le società hanno le risorse per allestire rose competitive. Luis García, ex tecnico di Levante e Getafe (due club appunto minori), si è soffermato su questo per commentare la maggior competitività interna della Liga: «La stabilità economica porta più uguaglianza, ed è merito del nuovo contratto di vendita. Ora si sa quanto si può spendere e ci sono maggiori certezze, senza più problemi economici che provoca il dover dipendere dalla vendita dei calciatori per poter fare mercato».
Tuttavia, come insegna l’esperienza della Premier League, poter disporre di finanze importanti non vuole automaticamente dire ottenere risultati soddisfacenti. Alla base di questa crescita c’è un lavoro tecnico di assoluto livello, che in questi anni ha consentito di creare tanti modelli differenti e che ha consentito alla Liga di affermarsi come un laboratorio tattico senza eguali in Europa. Se in Inghilterra o Germania generalizzare può rivelarsi una sintesi soddisfacente, è invece difficile parlare di “squadre spagnole”, visto che ci sono tante filosofie differenti. Per quanto in generale la fase di possesso delle formazioni iberiche sia molto più fluida e imprevedibile, in Liga si può incontrare un po’ di tutto sia in alto che in basso alla classifica: si passa dall’estremo ordine tattico di Marcelino alle mediane super tecniche di Pablo Machín, si trovano squadre che gestiscono sempre il possesso come il Betis di Setién oppure formazioni conservative come l’Alavés di Abelardo.
In generale, non esiste quindi una chiave per affrontare le squadre della Liga, visto che si sta vedendo una flessibilità e una capacità di adattamento all’avversario che un po’ contrasta la percezione del passato, in cui si vedeva il calcio spagnolo come “estremista” e sbilanciato. Simeone crede che ci siano stati grandi miglioramenti difensivi: «Ora le squadre sanno che si può giocare in molte maniere diverse, nel calcio ci sono tanti stili, non ce n’è uno che ti faccia vincere. Questo ha aperto le possibilità anche dei club minori». Ne è un esempio il modo in cui molte formazioni hanno affrontato il Real Madrid, quando si sono rese conto delle difficoltà in avanti dei blancos. Il piano era adottare un baricentro basso per stroncare la pericolosità rivale, pur rinunciando a qualcosa in fase di transizione. In questo inizio di stagione, il Barcellona è stato messo tanto in difficoltà dai baricentri bassi di Atlético e Valencia quanto dal calcio del Betis, che al Camp Nou – oltre ad aver costantemente aggredito in avanti i blaugrana – ha gestito il possesso come una grande squadra. Effettuando un prolungato e paziente possesso basso per invitare il Barcellona in pressing, ha approfittato degli spazi che si venivano a creare, ribaltando il campo con velocità per tutto l’arco della gara.
Insomma, pur partendo dalla base tecnica migliore d’Europa (merito anche di una scuola che produce talenti a profusione) i club spagnoli creano proposte calcistiche interessanti e vincenti, che consentono anche ai piccoli club di giocarsela con le big, a maggior ragione se i top club si trovane in annate di transizione. La crescita delle piccole e le big che fanno meno punti lasciano suggerire che forse ci si trova in una nuova fase del calcio spagnolo, dove le grandi – pur continuando ad avere grandi vantaggi tecnici ed economici – non sembrano più in grado di dominare in modo incontrastato il campionato come nel decennio precedente.