Quando Luis Fernando Muriel decide di girarsi con un colpo di tacco e iniziare una delle sue solite azioni impossibili, non ha ancora superato la metà campo. Lo scenario è spaventosamente à la Muriel: è fuggito da Siviglia, da una situazione ormai logora, ha già giocato settanta minuti di fuoco all’esordio, e ha anche segnato un gol difficilissimo. Con il primo tocco lascia piantato sul posto Andersen, con il secondo brucia Murru e va a riprendere palla dalla parte opposta. Andrea Marinozzi, che commenta Fiorentina-Sampdoria per Sky, accompagna con la voce quel crescendo di potenza ed estro in campo aperto, fino al momento in cui il colombiano firma il quadro con un destro perfetto all’angolino. Al punto più alto del climax, il telecronista esclama “Campione!”. Evidentemente non riesce a trovare una soluzione meno impegnativa ed equivocabile, ma altrettanto efficace.
In questa scelta, c’è tutto il nostro schizofrenico rapporto con Luis Muriel, che a meno di due mesi dal suo ventottesimo compleanno è ancora imprigionato nella narrativa del bicchiere mezzo vuoto, un bicchiere che si riempie all’improvviso fino a strabordare tutte le volte che le sue giocate improvvise e meravigliose ci costringono a chiamarlo campione, ma per il resto sempre in difetto. L’unica cosa della sua carriera che siamo convinti di sapere – e che raccontiamo – è ciò che non è stata.
Un gol da vedere e rivedere
«Stavamo andando a giocare, dall’ascensore sbuca Ronaldo e io mi paralizzo per l’emozione. Cuadrado lo capisce e riesce a trascinarmi di fronte a lui, io mi vergognavo come un bambino. Arrivo lì e non spiccico parola, lui nel frattempo ci scatta una foto. Questo è l’unico ricordo che ho». Per sviare l’eterno paragone con il Fenomeno, Muriel racconta sempre il loro primo incontro, durante la Copa América 2015 in Cile. L’episodio dell’ascensore ci dà una traccia interessante da approfondire: per capire meglio la carriera di Luis Fernando Muriel, è necessario quantificare l’incidenza avuta dalla sua emotività.
La tenuta mentale è un intangible che spesso viene citato con superficialità, soprattutto quando si analizza la parabola di un giocatore che non riesce a compiersi in maniera proporzionale al suo talento: Muriel lo riconosce come il proprio limite più grande, però va anche oltre, riconduce altri suoi problemi a questo aspetto. Ad esempio, i guai fisici: «Ricordo tutti i miei infortuni, non sono stati neppure tantissimi», disse alla Gazzetta dello Sport nel novembre 2016. «Quasi tutti a Udine, lì mi facevo male sempre. Io mi infortuno quando sono stressato, quando non sto bene». E ancora: «Guidolin mi mise addosso una croce che non meritavo. Arrivai in ritiro con 83 kg, dovevo pesarne 81. […] Mi misi a posto, ero un ragazzino e non ho parlato, ma ho risposto con 11 gol in mezza stagione. Poi mi hanno chiesto di lavorare come Alexis Sánchez, rincorrendo gli avversari, ma io non sono quel tipo di giocatore. Iniziavo a non esserci più con la testa».
Muriel ai tempi dell’Udinese
La prima stagione all’Udinese, in termini di numeri, è ancora oggi la miglior della sua carriera, quella in cui ha dimostrato di saper piegare tutte le difficoltà che minavano il suo percorso, dal grave infortunio a un rapporto pieno di equivoci con l’allenatore. Nell’anno e mezzo successivo, il rendimento negativo, una relazione ormai logora con l’ambiente e lo svanire delle illusioni di giocare nell’immediato per un grande club lo avrebbero inghiottito completamente. La cessione alla Sampdoria è stata lo spartiacque tra il primo Muriel, il potenziale campione, e quello di oggi: il giocatore indecifrabile e incandescente a intermittenza, non più il soggetto di un futuro brillante tutto da scrivere, ma il protagonista di una mitologia minore e radicata, fondata sui suoi gol bellissimi e sulle sue fragilità.
Quando parla, infatti, Luis Fernando Muriel non mette molti filtri tra sé e chi lo ascolta, non ha paura a descriversi come pigro, goloso, discontinuo, umile fino a scoraggiarsi, troppo sensibile alla pressione e ai fattori esterni e più incline a gettare la spugna che a resistere. Quanto l’espressione del suo purissimo talento dipenda dalla serenità, lo ha spiegato lui stesso in due momenti diversi della sua carriera: «Giampaolo mi ha fatto sentire la sua fiducia, so che se sbaglio una giocata non succede nulla e avrò l’opportunità per riprovarci» disse alla Gazzetta durante il terzo anno alla Samp, in cui eguagliò il proprio record di gol in Serie A dopo un calo che gli era costato il posto. «Con altri allenatori entravo in campo con la fissa di dover far bene, che se no non avrei più giocato. E perdevo sicurezza». Un anno fa, invece, raccontava a Fox Sports le difficoltà ad ambientarsi a Siviglia: «All’inizio mi è pesato un po’ essere l’acquisto più costoso della storia del club. Volevo dimostrare tutto e subito, questo mi ha condizionato e portato a commettere errori che normalmente non faccio». Sempre nell’intervista rilasciata alla Gazzetta, Muriel sbatte contro la sua stessa narrativa: «Sono stanco di sentirmi dire “sei forte ma…”. Voglio cancellare tutto e far parlare di me in modo diverso». A più di due anni da questa promessa, la Fiorentina è un’altra occasione per non perdersi nel vuoto.
Luis Fernando Muriel tende da sempre a segnare gol straordinari. Anche quando non trova capolavori come le due reti all’esordio in maglia viola, o quando non segna affatto, nel suo modo di giocare a calcio c’è sempre un dettaglio, una cifra stilistica particolare che lo distingue. Da quando è a Firenze, la Viola ha visto terminare all’istante la sua crisi offensiva, trovando numeri sorprendenti: 12 gol nelle 4 partite di campionato dal suo arrivo (in tutto il campionato ne hanno realizzati 37), senza contare il 7-1 di Coppa Italia contro la Roma. È un Muriel lucido e affamato, che – oltre ad aver segnato tre reti in cinque presenze in Serie A – ha dato un nuovo respiro all’attacco della Fiorentina: fin dalla partita d’esordio, in cui è stato schierato ala sinistra nel 4-3-3, con Simeone e Chiesa a completare il tridente, ha messo in luce la propria duttilità. È sempre stato un attaccante atipico, si muove su tutto il fronte offensivo, riceve palla lontano dalla porta; interpreta il ruolo di esterno con l’attitudine della seconda punta, quando non è impegnato in prima persona in conduzione, converge spesso al centro dell’area, offrendo una soluzione di passaggio in più rispetto al solo centravanti, oppure si scambia di ruolo per non dare punti di riferimento. Questo meccanismo funziona bene su una fascia atleticamente forte come quella formata da Biraghi e Veretout, che sgravano senza problemi Muriel da dispendiosi compiti di ripiegamento. La ricerca della giocata, in questo modo, può essere l’unica priorità. Un’altra soluzione adottata da Pioli, contro Napoli e Spal, è stata quella di schierare Muriel al centro del tridente.
Indipendentemente dalla posizione in campo, il Muriel di questo primo periodo a Firenze è un giocatore in grado di infiammare le partite con vorticose progressioni, di legarsi al meglio con il resto del tridente grazie a doti associative forse sottovalutate. Soprattutto, è un atleta in piena forma: al netto di un campione limitato di partita cui fare riferimento, oggi Muriel risulta il secondo giocatore per media di dribbling riusciti a partita in Serie A. Per un giocatore che vive di fiammate, è una riprova del fatto che è in ottime condizioni e in fiducia. Mentre continuiamo a credere in Luis Fernando Muriel, possiamo vedere il bicchiere mezzo pieno e riconoscere in lui un giocatore in grado di cambiare in corsa il peso di una squadra, aggiungendo quel dettaglio, quella cifra stilistica e quell’efficacia che lo rendono unico. Altrimenti, se non dovesse esserlo abbastanza, ci penseranno i suoi gol meravigliosi a riempirlo.