La Champions delle rimonte

È finita l'epoca dei pronostici scontati.

«Avrò anche il dna del Manchester United, ma bisogna essere realisti. Ho solo lo 0,00001 per cento di possibilità di diventare il loro allenatore». Ole Gunnar Solskjaer ancora non lo sapeva, nel 2016, di essere un abile manipolatore di calcoli di probabilità. Poteva immaginarlo – quando ha vinto la Champions del 1999, in finale contro il Bayern, segnando il secondo dei due gol in extra time dei Red Devils. Ora, però, sta diventando un’abitudine: nessuno, nella storia della maggior competizione europea, era riuscito a ribaltare uno 0-2 dell’andata. Anche in questo caso c’era lo 0,00001 per cento di possibilità – contro un Psg che a Old Trafford aveva dimostrato una solidità di squadra nemmeno avvicinata negli anni precedenti di proprietà qatariota.

A dargli una mano sono stati gli errori di Kehrer e Buffon nel primo tempo, il Var nel momento clou e in generale un po’ di fortuna, ma lo United che vince 3-1 al Parco dei Principi e prenota un posto nei quarti di finale – a distanza di quattro anni – è l’esempio perfetto di una Champions League dai pronostici friabili. La prima tornata di ottavi ha detto che in tre casi su quattro c’è stata una rimonta – oltre gli inglesi, l’Ajax che ne fa quattro al Bernabéu dopo aver perso 2-1 in casa contro il Real, e il Porto che ribalta l’1-2 dell’andata per eliminare la Roma ai supplementari. Più in generale, anche la fase a gironi della Champions aveva tracciato il trend: non esistono più partite scontate, e allora capita che i campioni in carica del Real Madrid perdano due volte contro il Cska Mosca, il ricchissimo Manchester City venga battuto in casa dal giovanissimo Lione, che il Liverpool cada sotto i colpi della Stella Rossa.

Il valore della Champions League va oltre l’aspetto puramente economico – con i quasi due miliardi di euro redistribuiti annualmente tra le varie squadre – e sconfina direttamente sul terreno di gioco: la competitività, l’equilibrio in campo, l’incertezza. È un valore che nessun campionato nazionale è in grado di garantire: anzi, in certi tornei, come la nostra Serie A o la Ligue 1, si assiste a una prevedibilità che diventa regola generale. Spesso si parla di tornei “non allenanti”, e non c’è dubbio che questo concetto abbia un fondo di verità: il Psg in campo contro lo United, pur con tutti gli errori difensivi e le occasioni mancate, non avrebbe mai perso nel contesto nazionale. Perché tra il livello della squadra di Tuchel e quello di qualsiasi altra squadra francese il divario è troppo largo. Un Nantes o un Bordeaux non hanno il Lukaku di turno capace di approfittare della minima disattenzione avversaria, per fare un esempio.

La Champions, perciò, gode di una sua invidiabilissima peculiarità, e non dovremmo ricondurne il fascino a una ristretta cerchia di squadre. Dobbiamo abituarci, invece, a considerare ogni partecipante con una propria identità, con una propria organizzazione, con dei propri valori tali da mettere in difficoltà qualsiasi avversario. Alla vigilia degli ottavi, molti incroci sembravano definiti, indirizzati verso un pronostico a senso unico, e non è stato così. Il Barcellona non è andato oltre lo 0-0 a Lione, il City contro uno Schalke in piena crisi ha segnato due gol negli ultimi cinque minuti, dopo aver passato quasi tutto il secondo tempo in svantaggio. E il ritorno non sarà una formalità. In un’intervista a Undici, Fabio Capello aveva espresso così il concetto: «Credo che il livello si sia alzato da parte delle squadre più deboli, che vogliono giocarsela e non recitare la parte delle vittime sacrificali. E se la giocano: questa è la cosa importante, non stanno lì ad aspettare».

L’Ajax visto nel doppio confronto contro il Real Madrid è la squadra che più aderisce al ragionamento. La squadra olandese non ha mai abbandonato il proprio credo tattico: se l’è giocata a viso aperto, facendo leva sui propri punti di forza anziché provando a otturare quelli avversari. Persino un aspetto determinante come quello dell’esperienza è venuto meno: i giovani dell’Ajax – la formazione con l’età media più bassa tra le 16 arrivate alla fase a eliminazione diretta – hanno mandato in confusione una squadra rodata e capace di superare anche le più grandi avversità come il Real Madrid. Perché, ormai, non ci sono più squadre di Champions di Serie A o di Serie B: i valori sono più vicini che mai, e se in ambito economico le battistrada tendono ad ampliare sempre più il divario, ci saranno sempre le idee tattiche, o la qualità dello scouting, a impedire che si crei un solco tra big e outsider.

E questo ci porta a un’ultima osservazione. Contrariamente a quanto si possa pensare, questa in corso non è una Champions più facile del solito – solo perché Real e Psg sono già fuori, ai quarti sono arrivate formazioni tutt’altro che favorite come Ajax o Porto o Tottenham, e all’orizzonte non si vede una squadra più forte delle altre. La Champions è terreno scivoloso oggi come in qualsiasi edizione, anche per la più attrezzata delle partecipanti: qualsiasi avversario pretende la giusta concentrazione, il corretto atteggiamento, un’impeccabile interpretazione della partita. Ed è esattamente in questa caratterizzazione che sta la specificità, e la bellezza, della sfida europea.