Il Racing in trionfo

Il club di Avellaneda ha vinto il campionato cinque anni dopo l'ultima volta.
di Antonio Moschella 05 Aprile 2019 alle 03:50

Domenica scorsa l’Obelisco di Buenos Aires, il punto nevralgico della capitale argentina, è stato invaso da migliaia di tifosi del Racing Club de Avellaneda, che aspettavano festanti l’arrivo in autobus della squadra diventata campione da poche ore. Due tra gli occupanti di quell’autobus erano Diego Milito e Lisandro López, rispettivamente direttore sportivo e capitano de La Academia, soprannome dato al Racing oltre cent’anni fa per la purezza del suo gioco. Entrambi hanno in comune il curriculum da centravanti, il pellegrinaggio in Europa e il ruolo di protagonista nelle ultime due vittorie del Racing, la squadra di cui sono tifosi fin dall’infanzia.

Milito e Lisandro López si erano dati il cambio nel 2016, quando il Principe si ritirò definitivamente dal calcio giocato per lasciare all’ex Porto il ruolo di centravanti e di totem della squadra. Lisandro López è stato l’emblema del sacrificio, ha giocato da solo in attacco per cinque mesi, fino all’arrivo di Cvitanich, le sue 17 reti sono valse il titolo di capocannoniere del campionato e hanno trascinato il Racing nei momenti più complicati. Nel derby contro l’Independiente, ad esempio, un suo rigore e una sua galoppata nel finale hanno dato ai biancoazzurri un successo fondamentale dal punto di vista psicologico e dei risultati. Oltre alla vittoria del torneo di Apertura nel dicembre 2014, con Milito sugli scudi, il successo del Racing riporta a un duro capitolo della storia sociale dell’Argentina, il cui spettro sta tornando ad aleggiare su Buenos Aires e su tutto il paese proprio in questo momento.

Il 1 dicembre 2001 il panico si impossessava delle strade del “Microcentro”, il quartiere affaristico della capitale argentina. I clienti delle banche avevano bloccato le strade con la loro presenza, rendendo impossibile il transito delle auto e finendo col paralizzare l’intera città. La scena è perfettamente rappresentata dal film Nueve Reinas, nelle scene finali un attonito Ricardo Darín – uno degli attori più famosi del Paese – scopre con disgusto che i suoi risparmi non valgono più niente. Era l’Argentina del “corralito”, la misura di austerity sul denaro contante imposta dall’allora presidente Fernando De La Rua – che pochi giorni dopo sarebbe fuggito dalla Casa Rosada con un elicottero pur di allontanarsi dai manifestanti inferociti. Era l’Argentina dei cinque presidenti in una settimana, una comunità che viveva la più grande crisi economica della sua storia: la recessione fu scatenata dalla falsa conversione del peso rispetto al dollaro con valore di 1 a 1, un provvedimento che originò lo sperpero di denaro da parte della classe media, ingannata da un sistema economico eccessivamente lassista e neoliberista.

Era, però, anche l’Argentina rappresentata dalla Selección di Marcelo Bielsa, una squadra che batteva ogni record nelle qualificazioni mondiali. Eppure, l’evento straordinario a livello calcistico sarebbe arrivato tre settimane dopo lo scoppio della bolla economica: il 27 dicembre il Racing Club Avellaneda tornava a vincere il campionato trentacinque anni dopo l’ultima volta. Uno dei cinque grandi club storici d’Argentina – insieme a River Plate, Boca Juniors, Independiente e San Lorenzo – aveva vissuto la sua epoca più oscura di sempre. Almeno fino a quando Reinaldo Merlo, detto Mostaza per il colore dei suoi capelli, non prese in mano un gruppo unito, nel quale giovani di belle speranze – come un giovanissimo Diego Milito, nato e cresciuto nel mito del Racing e all’epoca poco più che ventenne – si univano a giocatori esperti come il capitano Claudio Ubeda. 

Una delle tifoserie più calde del pianeta, il cui inno si basa sulla marcia peronista – si dice che l’ex presidente Juan Domingo Perón, che dà il nome allo stadio del Racing, fosse tifoso de La Academia – si prendeva una rivincita storica dopo oltre tre decenni di digiuno. Qualcosa di impensabile per una delle realtà più importanti del calcio sudamericano. Nel disagio generale, il Racing trovò la forza per imporsi sul più blasonato e solido River Plate, che dovette accontentarsi del secondo posto nonostante una differenza reti superiore di 18 gol. I Millionarios non riuscirono a frenare il gruppo di Merlo, che motivò tutti con la filosofia del “paso a paso”, che sarebbe poi stata d’ispirazione a Diego Simeone (anche lui tifosissimo del Racing) per il cammino vittorioso nella Liga 2013/14, sulla pabchina dell’Atlético Madrid.

Le scene di disperazione di tante famiglie, costretta ad abbandonare il Paese o rinunciare alle consuete feste di Natale, contrastavano con la felicità di una tifoseria troppo vessata in passato dalla sorte per non celebrare una rivincita attesa da anni, un trionfo mai vissuto da un’intera generazione di tifosi. Lo scrittore argentino Hernán Casciari, che all’epoca aveva trent’anni e visse il successo dei suoi da Barcellona, era uno di questi appassionati senza gloria. La sua passione per il Racing era nata grazie al nonno Pasquale, abruzzese arrivato quasi un secolo fa al porto della Boca con una folta chioma che gli impediva di trovare lavoro. Senza un peso in tasca, Pasquale cercò qualcuno che gli tagliasse i capelli “de onda”, ossia gratis, fino a quando non trovò un barbiere tifoso del Racing che accettò di curare la sua acconciatura in cambio alla sua conversione assoluta a tifoso della Academia.

Quella crisi, che oggi si avvia a compiere la maggiore età, è tornata a bussare alla porta della Casa Rosada. Quasi un anno fa il governo di Mauricio Macri, ex presidente del Boca Juniors, ha deciso di indebitarsi con il FMI. La misura ha provocato un aumento galoppante dell’inflazione, a pagare le conseguenze maggiori è stata ancora la classe media, che ha visto crescere il valore del dollaro dai 20 pesos di un anno fa ai 45 di oggi. Le coincidenze, così come i guai, non arrivano mai da sole: ecco che il Racing si proclama nuovamente campione d’Argentina in una condizione di difficoltà totale per il paese. Stavolta in panchina siede Eduardo Coudet, mentre Milito veste il completo da dirigente e ha cambiato le strategie del club, che ora fa investimenti mirati e cerca di sfruttare al massimo il settore giovanile. La vittoria del campionato arrivata lo scorso weekend è frutto di un lavoro importante da parte del tecnico e di una ritrovata connessione tra elementi esperti e giovani speranzosi. Uno di questi è Matías Zaracho, in lacrime dopo la vittoria di una squadra che aveva visto vincere quattro anni fa ma dagli spalti, come tifoso, mentre oggi ne è parte integrante.

Trentacinque anni di attesa prima del titolo del 2001, gli stessi di Diego Milito campione nel 2014, gli stessi di Lisandro López fino a un mese fa. Corsi e ricorsi storici, l’affermazione del Racing Club è figlia di una serie di circostanze spaventosamente uniche. Etichettata da molti come l’autentico gran sofferente del calcio argentino, la squadra che alza la testa nei momenti difficili vive la gloria come nessun altro. L’unico club argentino capace di vincere sette titoli nazionali di seguito – tra il 1913 e il 1919 – risorge oggi, nuovamente, dalle ceneri di una passione che non muore mai.

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