Xavi ha cambiato il calcio

Il suo ritiro mette fine a un'era segnata dal suo passaggio.
di Alfonso Fasano 03 Maggio 2019 alle 16:55

Il ritiro di Xavi è una notizia che riguarda tutti. È un impatto sportivo che diventa impatto culturale: il centrocampista catalano ha cambiato il calcio, è stato il centro tecnico ed emotivo della rivoluzione che ha modificato irreparabilmente il modo di esprimere, vedere, giudicare il gioco. Per capire questo concetto, basta rivedere una qualsiasi partita, di una qualsiasi competizione ad alto livello, della stagione 1998/99 – la prima di Xavi con la prima squadra del Barcellona. Ne verremmo fuori un po’ confusi, un po’ straniti, perché vedremmo scorrere le immagini di un gioco che sembra svolgersi su un campo più grande, oppure con meno uomini per squadra, tanto sono ampie le distanze tra i reparti, tanto sono lunghi i passaggi che cercano di azionare gli attaccanti. Oggi il calcio è uno sport che parla un altro linguaggio, non è questione di essere più organizzato, più bello, più brutto, quanto di essere diverso. Profondamente diverso. Un’evoluzione inevitabile, che ha molti riferimenti storiografici, ma che si può raccontare solo partendo da Xavi, dal suo gioco, dall’importanza della sua figura.

Xavi è venuto prima di Mourinho, prima della sua rivoluzione periodica degli allenamenti; Xavi ha vinto prima di Guardiola, prima che Pep teorizzasse e attuasse la versione più moderna, efficace, vincente del gioco di posizione; Xavi ha vinto prima e oltre Messi, quasi come a voler imporre un marchio differente rispetto a quello del fuoriclasse argentino come uomo-simbolo del calcio contemporaneo. In riferimento a quest’ultimo punto, una delle riflessioni più suggestive – e giuste – è stata fatta da Eric Batts, su Slate: «La presenza di Xavi sul campo non era additiva, ma moltiplicativa. Il suo gioco realizzava uno dei luoghi comuni più sacri e utilizzati: ha reso migliori i suoi compagni di squadra». In effetti, non è eccessivo pensare e scrivere che l’attuale dominio di Messi sul calcio mondiale sia dovuto anche al percorso di crescita e sviluppo vissuto all’interno del pianeta Barcellona. Leo non ha dovuto imparare a giocare a pallone, però ha dovuto razionalizzare il suo modo di giocare a calcio. L’ha fatto con Xavi, Puyol, Iniesta, e non è una cosa da poco. Anzi, pare proprio evidente.

Abbiamo iniziato a scrivere di Xavi e poi ci siamo ritrovati a scrivere di altri, di altro, di Mourinho, di Guardiola, di Messi, di calcio in generale. È l’identificazione assoluta di un calciatore con la sua era, come se Xavi avesse influenzato tutti gli aspetti degli ultimi vent’anni di questo sport. Forse è un’esagerazione, ma proprio qualche settimana fa l’International Board ha ufficializzato un cambio di regolamento per cui, dalla prossima stagione, i portieri potranno battere un rinvio dal fondo e servire un loro compagno all’interno dell’area di rigore. Fino al 2019 non era mai stato consentito. Ecco, se Xavi e Busquets – dopo Xavi – non avessero esasperato il movimento in mezzo ai centrali per costruire l’azione dal basso, il calcio avrebbe sentito il bisogno di modificare parte del suo codice storico?

Quando Xavi lascia il Barcellona nel 2015, il Telegraph scrive: «È la fine di un’era. Il Camp Nou saluta il direttore d’orchestra del club, il maestro burattinaio, il simbolo del Tiqui-Taca». Non c’è iperbole, non c’è forzatura: la Spagna aveva perso il Mondiale 2014 come avrebbe perso i successivi Europei (2016) e Mondiali (2018), aggrappata a una rivoluzione sorpassata dall’evoluzione, rimasta senza guida, perché il tempo era passato, e Xavi aveva iniziato a perdere efficacia – tanto che il primo Barcellona di Luis Enrique aveva già iniziato a rinunciare a lui per praticare un altro calcio, e oggi continua a vincere con un gioco meno radicale. Anche questo, se vogliamo, racconta e quantifica l’impatto assoluto di Xavi: è stato talmente rappresentativo della sua era e di un certo sistema calcistico che questo sistema non è riuscito a esistere fuori di lui, o comunque ha dovuto adattarsi, rimodularsi in alcuni punti.

Non si sono ancora visti dei calciatori in grado di prendere il suo posto, e questa probabilmente è la parte che descrive la vera forza di Xavi: l’unicità nel tempo, la difficoltà nel riprodurre tutto ciò che è stato, e che ha significato. Xavi risulterà essere un giocatore diversamente eterno, ha avuto caratteristiche fisiche e tecniche adatte solo alla propria era, per esempio le qualità di Nedved o di Kakà li renderebbero funzionali per qualsiasi tipo di gioco contemporaneo, mentre invece possiamo immaginare Xavi in un unico contesto: il suo, quello in cui si è imposto. E che lui stesso ha imposto alla sua era calcistica, almeno fino a quando è riuscito a farlo. Il tempo di Xavi è probabilmente finito con lui, e questo rende la sua storia ancora più grande, ancora più preziosa.

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