Perché Giampaolo è la scelta giusta per il Milan

Una profonda identità tattica che esalta il talento dei giocatori.

Pochi giorni dopo la certezza della mancata partecipazione del Milan alla Champions League 2019/20, l’ad rossonero Ivan Gazidis ha spiegato in un lunga intervista alla Gazzetta dello Sport quale sarebbe stata la linea aziendale per il futuro. Gazidis si è soffermato sulla disastrosa situazione debitoria, e sulla necessità di creare un club economicamente sostenibile nel lungo periodo: «La nostra strategia non è investire in giocatori top o che lo sono già stati, ma in chi può diventarlo con la nostra maglia. Non bruceremo i nostri fondi per una sola stagione nel presente, ma vogliamo costruirci il futuro». Di conseguenza, per la panchina andava ricercato un profilo che rispondesse al meglio a tali esigenze societarie. Dopo l’interessamento per Simone Inzaghi, la scelta è ricaduta su Marco Giampaolo.

Forse Giampaolo è il tecnico tatticamente più proattivo della Serie A: segue determinate idee e impone princìpi chiari dall’inizio alla fine della stagione, attuando meno accorgimenti possibili sull’avversario di turno. Questo può essere uno dei motivi per cui le sue squadre peccano di discontinuità, oscillando tra picchi elevati e brutte batoste. La sua rigidità è spesso finita sotto accusa, con critiche focalizzate su una disposizione tattica (il rombo di centrocampo del 4-3-1-2) molto ambiziosa da realizzare e con evidenti scompensi strutturali, che richiedono una perfetta applicazione soprattutto nella copertura dell’ampiezza. Nonostante questa radicalità sia da molti percepita come un difetto, una delle cose che ha portato la Sampdoria a sciogliersi sul più bello, ogni volta in cui c’era l’opportunità di lottare per l’Europa, paradossalmente è una delle ragioni per cui Giampaolo è arrivato alla guida del Milan. Di questo Milan. La grande convinzione sulla bontà del proprio metodo di lavoro e il riuscire a portare avanti un progetto tattico senza tentennamenti sono esattamente ciò di cui ha bisogno il club rossonero in questo ciclo di ricostruzione.

Ancor prima dei risultati ottenuti a Genova – ottimi ma non eccezionali in termini di punti – è soprattutto il suo approccio, basato su un calcio propositivo e di dominio del pallone, ad avere convinto il Milan. Anche in fase di non possesso, però, i blucerchiati si sono rivelati molto ambiziosi, il loro gioco si è basato sulla ricerca di un pressing ultra-offensivo con forte orientamento sull’uomo. Non a caso, la sua Sampdoria faceva estremamente bene contro le squadre della seconda metà della classifica, però faticava contro le squadre di fascia più alta (soprattutto in trasferta). Può essere il proverbiale rovescio della medaglia di chi cerca sempre di fare la partita e ha un approccio proattivo con la palla, anche contro avversari molto più forti.

La fiducia nelle proprie idee è un tema caro al Marco Giampaolo comunicatore, che non si stanca mai di rimarcarlo anche nelle sue interviste: «A Genova mi danno del talebano perché non cambio sistema di gioco. Ma dietro ad un sistema di gioco c’è un mondo di lavoro, cambiare modulo manda i giocatori in confusione. Se non li avessi allenati sul metodo ci starebbe cambiare, perché non avresti fissato un principio». Per quanto riguarda la capacità di valorizzazione del talento (un aspetto su cui il Milan non potrà permettersi errori), lo storico di Marco Giampaolo offre garanzie assolute alla società rossonera. Nonostante i continui stravolgimenti estivi, l’allenatore abruzzese è sempre riuscito a trovare una quadra con i giovani arrivati dal mercato. Oltre al felice periodo a Empoli, basti pensare a come sia riuscito a sopperire alle partenze di elementi come Škriniar, Torreira, Zapata. Giampaolo si è saputo arrangiare esaltando sia giovani (Andersen, Schick, Vieira)  che profili che sembravano di seconda fascia (Ekdal).

Spesso gli allenatori tatticamente più rigidi vengono accusati di anteporre i propri schemi alla vena creativa dei giocatori, ingabbiandoli in sistemi predefiniti. Giampaolo è però molto bravo a far coesistere i due aspetti mettendo in condizione i propri calciatori di esprimersi nel migliore dei modi, anche in una struttura tattica complessa. D’altronde l’ex Siena ha spiegato come il compito principale di un allenatore sia quello di consentire al talento di venire a galla: «Il talento soffocato da allenatori troppo maniacali? È il talento che valorizza la partita: non sono io a dire a Quagliarella di fare gol di tacco o a Defrel di tirare all’incrocio. Messi e Ronaldo fanno la differenza, l’allenatore dà una logica».

Nelle scelte del Milan, quindi, la spiccata capacità di Giampaolo di assecondare il player trading con il lavoro sul campo ha prevalso sulle incognite legate alla continuità tipica delle sue squadre. Oltretutto, le convinzioni tattiche di un allenatore di questo tipo facilitano parecchio il lavoro dei direttori sportivi in sede di mercato, perché si conosce già il modulo di riferimento su cui va costruita e plasmata la rosa (l’arrivo di Krunić va letto proprio in quest’ottica). C’è quindi un certo grado di informazione e sicurezza in più nell’acquisto dei giocatori, perché si ha la consapevolezza degli identikit funzionali per il rombo di Giampaolo. Per fare esempi, l’allenatore ha sempre valorizzato alla grande le punte mobili (Schick e Quagliarella), così come le mezzali dalle importanti doti atletiche  in grado di muoversi internamente come esternamente (Praet).

Con Maurizio Sarri nel 2016 al San Paolo (Carlo Hermann/Afp/Getty Images)

Al netto delle molte imperfezioni tattiche di Gattuso – tra cui una fase di possesso spesso piatta e prevedibile – il Milan dello scorso anno era una squadra con un avvio di azione pulito e elaborato, che cercava sempre di gestire il possesso del pallone. Giampaolo quindi non dovrà partire totalmente da zero, anzi troverà diversi giocatori integrabili fin da subito nel suo modello tattico, soprattutto in difesa. Romagnoli, per esempio, è molto preciso in fase di impostazione, in particolare nel saper trovare i compagni alle spalle delle linee di pressione avversarie. Inoltre, sia Rodríguez che Calabria sono terzini che partono bassi nell’avvio di azione e aiutano la squadra nel palleggio arretrato, una tendenza che Giampaolo ha sempre apprezzato nei suoi laterali bassi. Pare scontata la necessità di acquistare una punta mobile da affiancare a Piątek, mentre sarà interessante vedere il modo in cui sarà utilizzato Paquetà, candidato a occupare lo slot di mezzala oppure quello di trequartista. L’incognita maggiore riguarda forse Suso, visto che la tendenza dello spagnolo a ricevere palla in una posizione molto defilata a destra sembra sposarsi male con l’impostazione tattica dell’allenatore.

Quando disse addio al Brescia nel 2013, la carriera ad alto livello di Marco Giampaolo sembrava essere ormai compromessa, tant’è che ripartì dalla Serie C1, a Cremona. Non molti anni dopo, si ritrova a guidare la ricostruzione di uno dei più importanti e prestigiosi club di tutta Europa. Anche se allenerà una squadra che non avrà certo l’obbligo di vincere nel breve periodo, si tratta comunque del Milan. La difficoltà principale sarà proprio far coesistere i due aspetti: il compito di dirigere un percorso di crescita e il peso di essere alla guida di un grande club, in cui la discontinuità non può essere tollerata come a Genova. Giampaolo si è affermato come uno dei tecnici più identitari della Serie A, ora dovrà dimostrare che la sua rigidità tattica (con i rischi che ne derivano) è in grado di portare risultati sportivi anche ad un livello più alto.  Di certo, alla luce del periodo storico del Milan e degli obiettivi che dovranno essere raggiunti attraverso il player trading, pochi profili sembrano più adatti di Giampaolo per guidare i rossoneri il prossimo anno.

 

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