Fernando Torres, vincente imperfetto

È stato uno dei migliori attaccanti della sua epoca, ma non ha ultimato la sua rivoluzione.

Quando c’è incertezza sul giudizio di un grande calciatore e della sua carriera, una frase che viene utilizzata per liquidare velocemente la questione è «ha vinto». Nel migliore dei casi, può diventare: «Ha vinto tutto». Poi ci sono situazioni particolari come quella di Fernando Torres, per cui neanche un approccio pragmatico come questo può chiudere il discorso che torna d’attualità oggi, nel giorno in cui l’attaccante spagnolo ha annunciato il suo ritiro dal calcio. Fernando Torres ha vinto tutto o quasi – il Mondiale, due Campionati Europei, la Champions, l’Europa League, curiosamente gli è mancato solo il successo in un campionato nazionale –, eppure oggi lascia il calcio e lascia anche una sensazione di leggera incompiutezza. Per quello che poteva fare e non ha fatto, se non in parte. Per quello che poteva essere e non è stato, se non in parte.

 

Il momento più oscuro della carriera di Fernando Torres è il passaggio al Milan, quando Mourinho e il Chelsea si decidono a disfarsi di lui e allora lo cedono in prestito. Siamo nel 2014, Torres ha solo trent’anni eppure è già considerato un giocatore senza futuro. Con i rossoneri segna un solo gol, alla prima da titolare, in casa dell’Empoli. È uno di quei momenti che ti fanno rabbia, perché ti dicono cosa sa fare Fernando Torres: galleggiare sulla linea difensiva avversaria, leggere con enorme anticipo le intenzioni del compagno, attaccare lo spazio in cui il pallone arriverà. Questa parte è quella del grande attaccante, che non è sempre un grande calciatore, nel senso che ci sono tanti, tantissimi attaccanti che leggono benissimo il gioco ma poi non hanno la giusta sensibilità tecnica nel tocco, nella conclusione. Fernando Torres no. Fernando Torres è anche un grande calciatore, soprattutto un grande calciatore: il colpo di testa è perfetto, e il movimento che fa con il collo spiega che ha voluto indirizzare il pallone esattamente lì, esattamente in quel modo, una palombella perfetta per superare Luigi Sepe nell’angolo opposto, che tutto sembra fatto in controtempo perché il portiere dell’Empoli sente mancare il terreno sotto i piedi, allora non abbozza nemmeno l’intervento. Torres è stato riscattato dal Milan a dicembre 2014 e poi rivenduto all’Atlético Madrid pochi giorni dopo. In cambio, dalla Spagna, è arrivato Alessio Cerci.

Il gol di Torres all’Empoli

Fernando Torres ha promesso una rivoluzione, ha promesso di poter essere un grande centravanti-calciatore prima di tanti altri, meglio di quei pochi altri che ci avevano già provato prima di lui. Nella stagione 2001/2002 gioca in Segunda División con l’Atlético Madrid, e segna 6 volte in 36 partite. Due marcature arrivano in casa del Levante, la prima con un malizioso tocco al volo di esterno destro dopo un rimpallo vinto; la seconda, ancora più della prima, restituisce l’esatta dimensione tecnico-creativa dell’attaccante di Fuenlabrada, una cittadina alle porte di Madrid in cui lo stadio si chiama “Fernando Torres”: Fernando viene a scambiare il pallone con un compagno e poi si lancia nello spazio, lo scambio di prima riesce, l’attaccante è solo davanti al portiere solo che il passaggio in profondità è stato un po’ lento, ci sarebbe lo spazio per il recupero dei difensori avversari. Per cancellare questa possibilità, Torres conclude di prima, tocco sotto, pallonetto perfetto, anche in questo caso il portiere non tenta la parata. Probabilmente, questo è un indicatore affidabile rispetto all’efficacia e alla qualità di Torres nel tiro in porta. Due tocchi – anche il primo passaggio avviene di prima intenzione – per un gol bellissimo. Quel giorno, Fernando Torres non ha ancora compiuto 18 anni.

L’Atlético Madrid in Segunda División sembra una cosa fuori dal tempo, eppure questo video è del 2002

In tutte le compilation dei gol segnati durante l’esperienza al Liverpool, si percepisce la solitudine di Fernando Torres. È una sensazione puramente tattica, intendiamoci: siamo tra il  2005 e il 2010, Rafa Benítez è uno dei primi allenatori a praticare il gioco di posizione – ovviamente una versione antica, quasi preistorica –, il suo Liverpool è una squadra pensata per accorciare il campo; solo che c’è anche Torres, che sa pensare e agire in maniera differente, allora molto spesso gioca in profondità, isolato rispetto ai compagni. Molte sue reti arrivano così, dopo azioni che sembrano e sono personali ma in realtà nascono da questo equivoco strategico, in cui Fernando si esalta, e infatti Torres non è mai stato – e non sarà mai più – forte e bello da vedere come negli anni passati ad Anfield. In un’intervista rilasciata a FourFourTwo nel 2010, l’attaccante spagnolo ha spiegato che «Benítez non è un semplice allenatore, quando l’ho incontrato ho capito cosa può essere e dare un coach a un giocatore. Mi ha reso uno degli attaccanti migliori al mondo».

Contro il Portsmouth, nel 2010, realizza un gol che racconta perfettamente la sua storia d’amore con i Reds e con Benítez: Torres riceve il pallone sul centrosinistra, è solo contro i due centrali e intanto stanno arrivando anche altri difensori, lo controlla toccandolo molte volte e intanto converge sul suo piede forte. È estremamente veloce, estremamente tecnico, appena intuisce che c’è uno spazio tira esattamente lì, col destro. È una conclusione fortissima, la palla entra sul primo palo, normalmente sarebbe colpa del portiere. Non in questo caso, perché è tutto merito di una prima punta che non ha rivali, per qualità e modernità ed efficacia sotto porta.

Liverpool-Tottenham, anno 21010

Quando Torres passa al Chelsea, a gennaio 2011, è un giocatore con dei problemi che andrebbero affrontati con un approccio olistico, perché le difficoltà fisiche influenzano la sua mente e viceversa. Nel 2010 si è operato due volte al ginocchio, da lì in poi non è quasi più riuscito a recuperare le sue migliori misure. Eppure il talento si è mostrato intatto in alcuni frangenti, certo un ambiente tendenzialmente schizofrenico come quello di Stamford Bridge non ha certamente creato il contesto migliore, ma al di là di gol importanti – contro il Barcellona nella semifinale di Champions 2012, contro il Benfica nella finale di Europa League 2013 – c’è una rete realizzata al Newcastle nel 2012 che chiude il cerchio della completezza formale e sostanziale di Torres. Il suo solito movimento a ritroso per giocare il pallone crea lo spazio per lo scambio con Eden Hazard, che chiude  il triangolo di tacco prima di un esterno destro sul primo palo che non lascia scampo al portiere.

La rete contro il Newcastle

Tutto è perfetto, dalla regia offensiva fino alla conclusione, ma c’è un movimento che fa la differenza: dopo aver toccato il pallone verso il compagno, Torres sembra volersi sovrapporre esternamente, va in quella direzione ma poi cambia idea, si sposta verso la sua sinistra e offre una linea interna, più stretta eppure efficace, ad Hazard. Che è un predestinato, lo vedi subito, perché legge ed esplora il corridoio offertogli da Torres; a sua volta, Fernando tira così forte e così bene perché può farlo, ha la qualità per farlo, avrebbe avuto la qualità per farlo sempre, eppure spesso non ci è riuscito. Torres ha segnato la storia, ma ha anche dato la sensazione di abbandonarsi via via dentro una carriera bellissima e trionfale, ma non abbastanza. Non quanto promettessero le sue doti, una rivoluzione c’è stata ma non così forte come avrebbe dovuto essere.