Il Brasile ha battuto l’Argentina prima di iniziare a giocare

Tite sta portando avanti un progetto. La Selección di Scaloni, invece, non è mai stata una vera squadra.

La partita di questa notte tra Brasile e Argentina è finita 2-0 per la squadra di Tite, ma in realtà il successo della Seleçao è molto più vasto e significativo, si perde indietro nel tempo, va oltre i 2 gol segnati e i 90 minuti dello stadio Mineirão di Belo Horizonte. Semplicemente, è la vittoria di una squadra costruita con una logica progettuale, con un indirizzo chiaro e preciso. Dopo il fallimento della (seconda) gestione Dunga, a Tite è stata affidata una missione difficile ma stimolante: trasformare una nuova generazione di campioni in un collettivo funzionale alla ricerca del risultato, magari rispettando l’impostazione tradizionale del calcio brasiliano – tecnica, fantasia, stile offensivo. La risposta di Tite è stata perfettamente in linea con quanto richiesto, anzi forse l’ex tecnico del Corinthians ha fatto anche di più: il Brasile visto in questa Copa América non è privo di difetti, tutt’altro, ma dà la sensazione di essere il miglior Brasile possibile in questo momento storico. Sfrutta le caratteristiche dei suoi calciatori, le esalta con un gioco aggressivo, ambizioso, anche rischioso in certi frangenti; attacca e difende interpretando principi di gioco studiati a tavolino, inculcati ai giocatori. È una squadra. Nel senso più profondo del termine.

L’Argentina, invece, non lo è. Le carenze politico-progettuali della federazione e la – conseguente – crisi generazionale di talento, soprattutto dal centrocampo in giù, non hanno imposto o anche solo suggerito un cambiamento ai dirigenti, ai ct che si sono avvicendati nel tempo. La Seleccón è andata avanti per inerzia, senza un progetto, senza una visione rispetto a quello che andava fatto. Messi al centro del progetto, gli altri giocatori intorno a Messi, gli allenatori che costruiscono l’intero contesto – tecnico, relazionale, mediatico – sulla leadership di Messi: una strategia improvvisata che funziona fino a un certo punto, fino a che il livello non si alza, fino a quando non arriva un avversario più talentuoso, più stabile e strutturato. In una parola: più forte. L’Argentina ha raggiunto e superato la fase a gironi dei Mondiali 2018, e poi quella della Copa América 2019, grazie a una manciata di partite buone ma estemporanee. Dopo ha perso contro Francia e Brasile, più o meno nettamente. Però la sensazione è che abbia perso meritatamente in entrambe le occasioni. Come se non ci fosse alternativa rispetto all’eliminazione. In realtà è proprio così: quando una Nazionale (non) viene costruita in questo modo, la sconfitta è praticamente inevitabile. Anche se magari la prestazione non è stata così negativa.

Questo humus ha caratterizzato pure la partita di Belo Horizonte: in realtà il Brasile ha rischiato più volte di subire un gol dall’Argentina, Agüero e Messi hanno colpito i legni della porta di Alisson, ci sono state altre occasioni abbastanza importanti per i giocatori di Scaloni, ad esempio lo splendido tiro di Paredes dopo pochi minuti di gioco. Solo che la differenza sta nei numeri: se l’Argentina avesse realizzato una rete, sarebbe stato la prima subita da Alisson in questa Copa América. Sarebbe stata un evento casuale, per la Seleçao come per la Selección. Che, invece, ha perso contro la Colombia, ha pareggiato contro il Paraguay, ha risolto solo all’ultimo il match decisivo contro il Qatar.

Certo, il calcio è fatto anche di risultati imprevedibili e imprevisti, ma a volte anche certi ribaltoni non riescono a cancellare la percezione del reale. L’esempio più calzante è proprio quello del Brasile: la squadra di Tite è stata eliminata dal Belgio agli ultimi Mondiali al termine di una partita aperta e bellissima, eppure il commissario tecnico non è stato sostituito. Non è stato un fallimento, ma una semplice sconfitta – meritata ma casuale, per quanto dolorosa. Il progetto è proseguito perché c’erano delle basi solide, rese ancora più solide dai risultati: un anno fa, quella contro De Bruyne e Lukaku in Russia è stata la seconda sconfitta di Tite nelle prime 26 partite alla guida del Brasile. La prima in una partita ufficiale. Ancora oggi, è l’ultima in assoluto per la Seleçao.

I gol realizzati stanotte da Gabriel Jesus (su assist di Firmino) e da Firmino (su assist di Gabriel Jesus) non sono stati due momenti estranei a questo percorso tecnico e mentale. Anzi, sono stati il meritato coronamento a un certo lavoro di testa e di campo, perfettibile come tutte le cose umane, ma pensato e attuato con la massima serietà e la giusta lungimiranza. Brasile-Argentina non è stata una partita molto diversa da Belgio-Brasile di un anno fa, solo che la Selección non ha un progetto chiaro da coltivare ancora, da cui poter ripartire.

Messi lascia a testa bassa il campo del Mineirão. Non ha mai vinto un titolo con la Nazionale maggiore (Bruna Prado/Getty Images)

Ieri notte Scaloni ha schierato De Paul, Messi, Agüero e Lautaro Martínez titolari dal primo minuto, due trequartisti centrali e due punte, senza esterni di ruolo. Una formula tattica non impossibile in senso assoluto, ma frutto di un compromesso trovato strada facendo. Attuata senza principi base a cui far riferimento, senza un valore cui aggrapparsi che non fosse il talento di Messi. Un surplus che il Barcellona prova a esaltare con un progetto lineare e coerente, e molto spesso neanche questo tipo di approccio basta per vincere tutto. Figurarsi quando il progetto è improvvisato, slegato, per non dire assente. E allora l’Argentina deve prepararsi a una nuova rivoluzione dopo l’ennesima sconfitta. Come se fosse una cosa normale, giusta, inevitabile. Anche se meno meritata, questa volta.