Un nuovo spettacolo al Tour de France

Nel 2019 il Tour cambia: l’epoca delle grandi gesta epiche è tramontata.

L’edizione numero 106 del Tour de France, che il 6 luglio partirà da Bruxelles, sarà la prima della storia con tre arrivi in salita sopra i 2000 metri, e la prima con 30 Gran Premi della Montagna. È questo l’ennesimo tentativo di Christian Prudhomme, il direttore della Grande Boucle, per rinnovare una competizione che da qualche anno a molti è apparsa noiosa e scontata, prigioniera della sua grandezza. Come è noto, infatti, negli ultimi 7 anni il Tour de France è stato vinto per 6 volte dalla stessa squadra, il Team Sky, da poco acquisita dal gruppo Ineos.

Ciò che ha comportato questo dominio assoluto, interrotto solamente da Vincenzo Nibali nel 2014, è una trasformazione radicale del modo di intendere lo sport. Le componenti decisive che hanno reso possibile i successi del Team Sky sono da ricercare, oltre che nel cospicuo budget, in una maggiore scientificità della preparazione, nella comprensione dell’importanza del gioco di squadra, nella cura estrema per il dettaglio, nella convinzione che tanti piccoli accorgimenti, se sommati, possono determinare la differenza tra vittoria e sconfitta.

Quel che è certo è che il percorso del Tour 2019 accontenterà quella parte di appassionati che auspicava meno chilometri a cronometro e più strade verticali, quelle che sarebbero uno stimolo imprescindibile per il tanto desiderato “spettacolo”, un modo per interrompere il dominio totale del team britannico. Ma dopo diversi anni è forse giunto il momento di porsi una domanda: siamo sicuri che il modus operandi del Team Sky non sia stato l’effetto quasi inevitabile di un processo più ampio che ha equilibrato la competizione?

Le considerazioni da fare sarebbero molteplici. Una su tutte (senza intraprendere un discorso sui progressi dell’antidoping) è che nel ciclismo, come in molti altri sport, stiamo probabilmente assistendo a una saturazione delle prestazioni fisiche: i miglioramenti nelle prestazioni individuali sono sempre più piccoli e le differenze tra atleti sempre più sottili. Il Team Sky ha forse compreso, prima di altri, che il livello individuale generale si stava appiattendo e ha individuato un metodo efficace per fare la differenza.

Un’altra considerazione non da poco è chiarire una volta per tutte cosa si intenda per “spettacolo”. Il Tour che ci apprestiamo a guardare sarà una delle competizioni sportive più incerte e tirate dell’anno. Con grande probabilità, in continuità con le edizioni precedenti, non vedremo enormi distacchi ed epiche imprese di manifesta superiorità. Quel che è lecito aspettarsi, però, è un’altra forma di spettacolo, forse meno appariscente, ma non per questo meno interessante.

Geraint Thomas, vincitore del Tour 2018, sfila in maglia gialla a Parigi, a pochi metri dall’Arco di Trionfo Marco Bertorello/AFP/Getty Images)

A leggere la startlist, nonostante le pesantissime assenze di Froome e Dumoulin, al Tour 2019 saranno presenti quasi tutti i migliori ciclisti al mondo. Ci sarà Geraint Thomas, il vincitore uscente. Ci sarà Quintana, a suo agio sulle vette più alte. Ci saranno Bernal, Adam Yates, Kruijswijk, Nibali, Porte, e i due francesi Pinot e Bardet. Ci saranno insomma gli esseri umani più adatti a correre in bicicletta. Molto probabilmente sarà una questione di dettagli e astuzia, di sguardi e tattiche intricate, di attesa e pazienza, di nervi e logoramento. Un conflitto spietato per la sopravvivenza. Qualcosa di simile ad una lotta tra pari. Forse è questa la rappresentazione più alta di competizione sportiva.

 

Dal numero 28 di Undici