La storia tra Icardi e l’Inter è finita male

L'inevitabile separazione è una sconfitta per il giocatore, ma anche per l'Inter.

A 26 anni compiuti, Mauro Icardi avrebbe il diritto di essere considerato per il suo curriculum: e stato due volte capocannoniere della Serie A, tre volte sopra quota 20 gol in campionato ed è capitano dell’Inter da quattro anni; ha segnato 111 gol in Serie A e 4 reti in 6 partite di Champions League. Agli occhi dell’opinione pubblica, invece, Icardi diventa l’attaccante che non sa giocare con e per i compagni, quello che se la prende con i tifosi della sua squadra, quello rappresentato da una moglie/agente con cui è impossibile trattare. Uno che alla fine viene spogliato della fascia di capitano, che viene messo ai margini della rosa, che viene allontanato dal ritiro precampionato e viene messo sul mercato più volte, a mezzo stampa. Come un qualsiasi altro calciatore che non serve più alla squadra.

Una discrepanza che certamente è generata e alimentata da un racconto votato al gossip e al sensazionalismo più che all’analisi di campo: qualsiasi ritratto del personaggio sembra voler rimarcare gli aspetti negativi della sua vita – in particolare quelli extracalcistici, come le foto postate sui profili social e quel che ha scritto nell’autobiografia, giusto per fare due esempi – e nascondere quelli positivi. La costruzione del personaggio Icardi come «bad boy» del panorama calcistico, per usare le parole di James Horncastle su Espn, ha sicuramente una base di verità: «Lui è quello che ti ruba la ragazza e te lo fa notare. immaginare una serie tv con Maurito protagonista. The Icardis. Non una serie sul calcio, ma una sulla falsa riga de Gli Osbournes o Keeping up with Kardashians». Questa percezione di Icardi è la dimostrazione che oggi il suo personaggio finisce per fagocitare il giocatore, quasi che la vita fuori dal campo fosse più importante del rendimento sul campo.

Eppure nulla di tutto questo sembra aver mai intaccato il suo rendimento, tantomeno la sua leadership, esercitata più con il pallone tra i piedi che a parole. Anzi, Icardi negli ultimi anni ha provato a dare il buon esempio lavorando prima di tutto su se stesso, con professionalità. Nella stagione appena conclusa, prima di essere messo fuori squadra, Icardi aveva dimostrato di poter aggiungere una nuova dimensione al suo gioco. L’attaccante d’area minimalista e verticale ha creato creando nuove connessioni con i compagni, imparando a giocare di sponda, a riciclare il possesso e cercare nuove tracce per i centrocampisti che si inseriscono negli spazi che lui stesso crea.

Insomma, quel che gli era sempre mancato stava iniziando a manifestarsi con l’avvicinarsi di quello che dovrebbe essere il prime della sua carriera. Tutto secondo logica, insomma, se si guarda unicamente a quel che accade in un campo da calcio. E la sensazione è di non aver visto ancora tutto, cioè che il nuovo set di movimenti fosse ancora in una versione beta, in attesa di una miglior connessione con l’anima da centravanti che invece ha prevalso fin dai tempi delle giovanili, al Barça. Nella prima parte della stagione appena trascorsa, infatti, la media realizzativa di Icardi si era abbassata, con il girone d’andata chiuso ad 8 reti, meno della metà rispetto al campionato precedente. Ma con una disponibilità completamente diversa al sacrificio e al lavoro per i compagni, quindi per l’allenatore. Quindi per l’Inter, in generale. Un ambiente che lui stesso ormai considera casa sua: «Essere il capitano dell’Inter è la mia missione. E io sono orgoglioso di tutto questo. E soprattutto io sono interista», aveva detto a Undici in un’intervista dell’ottobre del 2017.

Negli ultimi mesi, però, tutti gli attori intorno a Mauro Icardi hanno piegato la realtà a logiche impensabili, fino a far sembrare la rottura tra società e giocatore scontata e irrimediabile. Il comportamento Wanda Nara, che rappresenta il giocatore, non è stato dei più accomodanti: «Se mi chiedete di scegliere tra il rinnovo e l’arrivo di uno che gli mette cinque palloni buoni, forse preferisco che Mauro abbia un aiuto in più», ha dichiarato durante una sua ospitata in tv. Non proprio la più pacifica delle dichiarazioni pubbliche. Piuttosto, una di quelle frasi che solitamente rimane nel sommerso di una trattativa per il rinnovo contrattuale, quindi nel confidenziale tra club e giocatore (e il suo entourage). L’Inter, per tutta risposta ha deciso di mostrarsi forte, intransigente, e di voler punire – se così si può dire – il calciatore privandolo della fascia di capitano, prima, allontanandolo dal ritiro della prima squadra, poi.

Con la maglia dell’Inter, Mauro Icardi ha giocato 219 partite in 6 stagioni, con 124 gol segnati in tutte le competizioni. (Emilio Andreoli/Getty Images)

La conseguenza più evidente di questa rottura è che entrambe le parti sembrano destinate a perdere. Icardi rischia di trasferirsi in una squadra che gli riconoscerebbe uno stipendio a cifre più basse rispetto a quello cui aspira un giocatore con il suo status, o comunque più basse rispetto a quello che avrebbe potuto richiedere in un’altra situazione. In più entrerebbe in un nuovo spogliatoio con la reputazione di chi l’ultima volta è andato via sbattendo la porta ­– ma poi sul lungo periodo la sua professionalità di calciatore dovrebbe venir fuori.

Rischia di rimetterci ancor di più l’Inter. Per motivi economici, prima di tutto. È chiaro che la cessione, a qualsiasi cifra, sarebbe un bene per le casse della società, perché l’acquisto di Icardi è stato pienamente ammortizzato, e il suo contratto uscirebbe dalle spese del club. Quindi qualunque sia la cifra incassata porterà un segno più sul bilancio (si parla di un range ampio, che oscilla tra i 45 e i 60 milioni di euro). Ma in ogni caso resisterà la consapevolezza di aver incassato una cifra comunque troppo bassa, molto più bassa di quella che sarebbe arrivata se il rapporto non si fosse deteriorato fino a questo punto. E se questo contrasto fosse stato gestito diversamente, senza sbandierarlo al pubblico.

Icardi è stato capocannoniere della Serie A in due stagioni: nel 2014/15, in coabitazione con Luca Toni (22 gol), e nel 2017/18 (29 gol, come Ciro Immobile) (Gabriele Maltinti/Getty Images)

Ma per l’Inter è soprattutto è un malus tecnico. Cedere Icardi significa perdere una fetta importante del patrimonio della società. Un giocatore che entra nella fase migliore della carriera, protagonista assoluto della storia recente del club, il giocatore più riconoscibile e forte della squadra. Quello che metteva l’Inter in una luce diversa, agli occhi degli avversari. Inoltre il suo addio dovrebbe essere equilibrato dall’acquisto di un giocatore pari ruolo, non necessariamente con caratteristiche simili, ma che comunque possa raccoglierne l’eredità in termini di minuti, gol, personalità. Non è una missione impossibile. Ma le voci su chi sarà il prossimo numero 9 danno indicazioni importanti: potrebbe essere un giocatore con status simile, come Lukaku, ma il belga avrebbe un costo enorme – si parla di 80 milioni di euro, ed è in questa cifra che si legge meglio la perdita economica dell’Inter.

Un’alternativa potrebbe essere Dzeko, attraverso un’operazione economicamente vantaggiosa ma con meno prospettiva sul lungo periodo. In virtù di tutte queste valutazioni, forse l’Inter avrebbe potuto provare a ricucire lo strappo in questa fase preparatoria della stagione. Invece, tutto lascia pensare che Icardi dovrà ripartire altrove, al termine di una storia finita davvero male.