Quale futuro per Gonzalo Higuaín?

La fragilità mentale ha limitato la carriera del centravanti argentino.
di Alfonso Fasano 29 Luglio 2019 alle 03:37

Ho seguito la stagione del Napoli 2015/16 per lavoro e per passione, quindi posso dirlo con certezza: il miglior Gonzalo Higuaín è un attaccante formidabile, uno dei più completi al mondo, letale sotto porta, bravissimo a giocare con i compagni. Sono passati alcuni anni, per la ciclicità della vita e del calcio le qualità tecniche di Higuaín potranno essere e saranno rimaste inalterate, al massimo sono leggermente diminuite a causa dell’età. Però, ripeto: conosco Higuaín, e la sua condizione fisica dell’ultima stagione – al Milan e al Chelsea – non è molto lontana da quella mostrata durante l’annata perfetta dei 36 gol in 35 partite di Serie A. Del resto Gonzalo non ha mai avuto misure o portamento da atleta, anzi probabilmente la sua vera, grande forza stava nella stridente straordinarietà tra un meraviglioso bagaglio tecnico e una grande efficacia fisica – nella corsa, nello stacco, nel duello individuale contro i difensori avversari – rispetto a un corpo ordinario, non slanciato, non imponente, non muscoloso e nemmeno muscolare, forse anche sgraziato. Questa premessa è necessaria per chiarire come la grande differenza tra oggi e il passato, un passato che sembra preistoria ma che in realtà non è così lontano, risieda tutta nella testa di Gonzalo Higuaín. Laddove sono sempre stati tutti i suoi limiti.

La testa di Gonzalo Higuaín è un luogo strano da comprendere e governare: c’è bisogno di equilibrare ambizione e fiducia e responsabilità, ed è un discorso che riguarda la centralità tattica, la sfera emotiva, il rapporto triangolare con i risultati e i compagni di squadra. La gestione dell’uomo e del calciatore è sempre risultata complessa, ben oltre il puro rendimento numerico: da quando è in Italia il suo score è eccellente (un gol ogni 130 minuti di gioco), anzi era addirittura migliore fin quando Gonzalo non si è sentito un elemento di secondo piano, non fondamentale, prima alla Juventus (3 gol in 14 partite da marzo a maggio 2018) e poi al Milan (un gol ogni 213 minuti spalmati su 22 presenze ufficiali).

È evidente che Higuaín abbia bisogno di sentirsi protagonista per esprimersi al meglio come calciatore, ma a volte questo tipo di pressione può renderlo emotivamente instabile: ad aprile 2016, all’apice della sua migliore stagione, la responsabilità di dover trascinare il Napoli allo scudetto l’ha fatto esplodere in una vera e propria crisi isterica sul campo di Udine. Fu un momento di grande debolezza, umanamente non condannabile, ma molto significativo rispetto alla sua tenuta nervosa. Due anni e mezzo dopo, stessa storia al Milan: dopo un inizio comunque positivo (7 gol nelle prime 12 partite in tutte le competizioni), arriva la sfida contro la Juventus e si ripetono le stesse identiche scene di Udinese-Napoli, espulsione per proteste pochi minuti dopo un rigore sbagliato. Da quel momento, lui e il Milan hanno lasciato morire il loro rapporto, fino all’addio anticipato a gennaio 2019.

Questa innegabile fragilità, ripropostasi in maniera ciclica, ha limitato la carriera di Gonzalo Higuaín. Se il passaggio dal Napoli alla Juventus era stato uno step di crescita che a sua volta richiedeva/imponeva al calciatore una crescita dal punto di vista emotivo, non si può dire sia andata benissimo: la squadra bianconera l’ha messo da parte quando ha avuto l’occasione di acquistare Cristiano Ronaldo, un giocatore più forte, ma soprattutto più stabile dal punto di vista mentale. Anche oggi che è arrivato Maurizio Sarri, il tecnico che ha saputo offrire a Higuaín il miglior contesto in cui esprimersi, la scelta di cedere l’argentino non sembra essere in discussione.

Le valutazioni dei dirigenti juventini sono di tipo finanziario (l’impatto di Higuaín a bilancio è superiore ai 30 milioni di euro), ma dipendono direttamente da una precisa scelta tecnica e strategica: nonostante due stagioni comunque positive, non hanno che Higuaín potesse essere il giocatore di riferimento attorno cui costruire la squadra; poi nel frattempo è arrivato Ronaldo, e allora è diventato antieconomico tenere Higuaín in rosa accanto al portoghese – che a sua volta rappresenta un investimento di portata ancora maggiore per il bilancio del club.

Gonzalo Higuaín ha giocato 105 partite in due stagioni con la Juventus, segnando 55 gol (Filippo Monteforte/AFP/Getty Images)

La condizione di Higuaín non è molto diversa da quella di altri giocatori riconoscibili epurati dai loro club, per esempio Icardi, Nainggolan, Bale: tutti sono stati esclusi dai progetti dei loro nuovi allenatori e/o dai loro club nonostante credenziali tecniche di alto livello, verificate nei numeri, nel rendimento degli ultimi anni. Rispetto a tutti gli altri casi, però, la sensazione è che la scelta della Juventus non sia netta, improvvisa, basata su un solo aspetto disciplinare o tecnico-tattico, piuttosto sia il frutto di un ragionamento legato alla sostenibilità economica di un asset difficilmente gestibile, di un calciatore dal talento enorme eppure storicamente condizionato dalle sue insicurezze, dalle sue contraddizioni.

Alla fine, come succede sempre, è il mercato a dire la verità su come siano andate le cose. E se in questo momento Gonzalo Higuaín fatica a trovare una collocazione definitiva, è perché non è riuscito a essere all’altezza dell’investimento che la Juventus ha fatto su di lui. Non si può dire stato un errore della società bianconera: nell’estate 2016 l’attaccante argentino valeva i 90 milioni spesi per acquistarlo dal Napoli, per talento, forza effettiva e percepita, prospettive di rendimento nel breve e medio termine. Solo che poi sono successe molte cose, del resto il calcio non è una scienza esatta, e allora Gonzalo si è ritrovato a pagare la sua scarsa capacità di reazione alle avversità. Ancora una volta, evidentemente, non è riuscito ad andare oltre i suoi limiti.

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