Jesús Gil, calcio e populismo

La docuserie El Pionero racconta la vita controversa dello storico presidente dell'Atlético Madrid.

Un’immagine in particolare aiuta a comprendere Jesús Gil, a restituire il senso del suo successo, giunto in quel momento nella sua fase culminante. Il vulcanico ex presidente dell’Atletico Madrid è a mollo in una Jacuzzi con cinque donne in bikini. È l’estate del 1991, Gil ha vinto da pochi mesi il primo trofeo da presidente dell’Atletico Madrid ed è stato eletto sindaco di Marbella. Con la pancia di fuori e in diretta dalla località della Costa del Sol di cui è diventato primo cittadino, sta conducendo il programma televisivo che Telecinco gli ha affidato per celebrarne la popolarità.

Si chiama Las Noches de Tal y Tal, il nome riprende una sua tipica espressione (qualcosa di simile a «eccetera, eccetera») ed è un manifesto della filosofia di vita di Jesús Gil, dunque anche il suo manifesto politico: ostentazione della ricchezza, aneddoti, perle di saggezza, risposte da guru alle domande della gente comune in adorazione. Dodici episodi da 95 minuti l’uno in cui si alternano monologhi, sketch satirici, musica e stacchetti in pieno stile Colpo Grosso. Puntate che otterranno percentuali d’ascolto incredibili: la prima raggiunge persino il 40% di share. Quando José María García, decano del giornalismo sportivo spagnolo e suo amico, gli chiederà «Jesús, cosa facevi in una Jacuzzi con cinque donne?», Gil gli risponde: «Vendo Marbella, amico mio». Per lui è un modo per dominare la scena pubblica, rivendicare il proprio successo e attrarre investimenti e investitori per un territorio in cui, sotto la sua amministrazione, i vincoli urbanistici per costruire vengono via via rimossi, le procedure sempre più agevolate.

La sua storia è stata di recente raccontata da una serie tv documentario, realizzata e trasmessa da Hbo Spagna, dal titolo El Pionero, scritta da Enrich Bach e Justin Webster. Quattro puntate, una a settimana per ogni domenica di luglio. La serie ricostruisce la vita di Gil a partire dalla sua infanzia nel piccolo paesino di Burgo de Osma, comunità autonoma di Castiglia e Leon, fino ad arrivare al 2004, anno della sua morte, 12 mesi dopo aver lasciato la presidenza dell’Atletico Madrid. Un pioniere, appunto, precursore di un certo tipo di leadership e comunicazione politica. Fonda un partito personale e lo chiama G.I.L., come il suo cognome, che incidentalmente è anche acronimo di Grupo Independiente Liberal. Nel suo pantheon politico annovera tre figure: «Francisco Franco, Gesù Cristo e Che Guevara», come era solito ripetere. Gil aveva iniziato a promuovere Marbella già da qualche mese prima del suo insediamento in Comune nel 1991, facendo stampare la scritta “Marbella” sulle magliette dell’Atletico Madrid. Una sponsorizzazione che sarà al centro della vicenda giudiziaria nota come Caso Camisetas e che anni più tardi gli costerà cara. Infatti nell’aprile 2002 il Tribunale Nazionale confermerà la condanna a sei mesi di carcere e 28 anni di interdizione dai pubblici incarichi per abuso d’ufficio e traffico d’influenze: 450 milioni di pesetas erano usciti irregolarmente dalle casse del Comune andaluso, tra il 1991 e il 1992, per finire in quelle dell’Atletico Madrid. La vicenda segnerà la fine della carriera politica di Jesús Gil, mentre resta al timone del club rojiblanco per un altro anno.

Controverso, istrionico, populista, politico e antipolitico, la narrazione del sé di Jesús Gil era incentrata sul pragmatismo, sull’essere un self made man, «non un salvatore, ma uno di voi». Discorsi semplici, che nel 1989 gli valgono l’assoluzione televisiva presso il Tribunal Popular, format televisivo in onda all’epoca su Tve, simile all’italiano Forum ma incentrato su temi e personaggi di attualità. Usa spesso la strategia retorica del vittimismo, sottolinea gli attacchi ricevuti per mostrarsi antisistema. Il successo negli affari, nel calcio, da esportare in politica, un mondo in cui decide di entrare perché i piani urbanistici a Marbella gli impediscono di costruire quanto e come vorrebbe. Ammette di aver pagato mazzette, ma «per avere ciò che mi spetta. Nessuna corruzione, anzi era un’estorsione ai miei danni» spiegherà anni dopo in un’intervista televisiva. Vuole creare ricchezza in una località di vacanza che vive una fase di decadenza, ma che aveva conosciuto il suo splendore negli anni ’60, quando, in quanto a lusso e vip in villeggiatura, competeva con Monte Carlo. La televisione ha dato grande popolarità a Jesús Gil, che ormai da qualche anno presenzia a molti programmi: piace alle persone, non parla come i politici di professione, appare come un vincente. E lui a Marbella stravince. Alle elezioni comunali del 1991, del 1995 e del 1999.

C’è chi ha paragonato Donald Trump proprio a Jesús Gil, provocatorio al limite del razzismo, accentratore, proveniente dal mondo dell’imprenditoria e poco avvezzo al politically correct. Enrich Bach, regista de El Pionero, in un’intervista al Pais offre uno spunto interessante in più cogliendo una possibile analogia: «Oggi Gil utilizzerebbe Twitter esattamente come Trump, senza filtri». La disintermediazione sarebbe stata un’ulteriore chance per lui. Le sue fortune politiche però non hanno mai raggiunto una dimensione nazionale. E questo lo distingue anche da Silvio Berlusconi, passato come Gil per i successi nel mondo sportivo per ottenere una legittimazione in più nel momento dell’approdo in politica. Più appropriato, forse, il paragone con il Comandante Achille Lauro, armatore, sindaco di Napoli dal 1952 al 1957 e presidente del Napoli a più riprese tra il 1936 e il 1967: l’acquisto, per la cifra record di 105 milioni, dello svedese Hasse Jeppson (che si guadagnerà per questo il soprannome di Banco ‘e Napule) dall’Atalanta viene annunciato in piena campagna elettorale per le elezioni comunali. Lauro ottiene 300 mila preferenze e gli si spalancano le porte di Palazzo San Giacomo, sede dell’amministrazione comunale napoletana.

Gil e Arrigo Sacchi, tecnico dell’Atlético Madrid, presentano il calciatore italiano Stefano Torrisi, acquistato nell’estate del 1998 (Dominique FagetAFP/Getty Images)

Il leader come rappresentante unico di una comunità, iper rappresentante di un corpo sociale difforme. Parla chiaro, senza giri di parole, attacca gli altri, le élite corrotte, ricorre spesso all’insulto. Nel documentario di Hbo, a definire Gil «populista» sono suo figlio Miguel Ángel – attuale amministratore delegato dell’Atletico Madrid – ma anche Enrique Sánchez de León Pérez, rivale alle elezioni per la presidenza del club nel 1987, candidato più realista e razionale, con un passato da ministro della Sanità e della Sicurezza Sociale, e meno  capace di scaldare i cuori di soci e tifosi. Gil ottiene il loro consenso presentando il precontratto d’acquisto del promettente attaccante portoghese Paulo Futre, appena laureatosi campione d’Europa con la maglia del Porto. Non bada a spese e a chi gli chiede conto delle coperture economiche dell’operazione risponde: «Prevedo il rientro con 30 mila abbonamenti. Se non dovessi rientrare del denaro speso non fa niente, perché sono soldi miei e faccio come mi pare». Viene eletto e dà il via a una nuova stagione per la storia dei colchoneros: nel ’91 e nel ’92 vincono la Coppa del Re, la seconda addirittura in finale al Bernabéu. contro il Real Madrid; nel ’96 arriva il doblete con Radomir Antic in panchina. La retrocessione del 2000, la seconda della storia del club, non scalfirà l’affetto della maggior parte dei tifosi: in 25 mila si presenteranno alla sua camera ardente quattro anni più tardi.

Sono anni in cui il legame tra calcio, politica e imprenditoria riesce a dare buoni risultati. Bernard Tapie, imprenditore francese sulla cresta dell’onda, precede Gil di un anno e nel 1986 diventa proprietario dell’Olympique Marsiglia. Nel 1990 Tapie acquista il 95% dell’Adidas e tre anni dopo deve cedere le sue azioni perché è diventato ministro delle Città in Francia. Il suo OM, fortissimo, vince la Champions League nel 1993 in finale contro il Milan a Monaco di Baviera con gol di Basile Boli. L’avventura calcistica di Tapie presidente si conclude nel 1994 a seguito dello scandalo Valenciennes: viene squalificato dalla Federazione francese e condannato a due anni di carcere per aver corrotto alcuni giocatori del Valenciennes affinché il Marsiglia potesse vincere la partita di campionato senza sprecare troppe forze in vista della finale contro il Milan.

Diego Simeone ha vestito la maglia dell’Atlético Madrid durante la presidenza Gil. Dal 1994 al 1997, il centrocampista argentino ha disputato 123 partite con i Colchoneros, segnando 28 gol, e vincendo la Liga e la Copa del Rey (entrambe nel 1996)

 

Nel 1995 è la volta del futuro presidente argentino Mauricio Macri: vince le elezioni per diventare presidente del Boca Juniors e in 12 anni la squadra conquista 17 trofei, tra cui la Copa Libertadores quattro volte e la Coppa Intercontinentale in due occasioni. Lascia il calcio nel 2008 quando già da un anno è capo del governo della città di Buenos Aires. Dopo un secondo mandato da amministratore, si candida alle elezioni presidenziali che nel 2015 vincerà al ballottaggio con il candidato giustizialista Daniel Scioli, diventando così il primo presidente argentino conservatore dopo 12 anni di governo della sinistra populista. Il prossimo 27 ottobre in Argentina si vota e Macri è dato in rimonta dai recenti sondaggi.

Il calcio è il veicolo per il consenso popolare e, una volta entrato in politica, Jesús Gil non sacrifica nessuno dei suoi due incarichi. L’Atletico e Marbella sono due sue creature. Un episodio esemplificativo avviene l’8 marzo 1996, quando a margine di una riunione in Lega Calcio a Madrid discute animatamente con l’allora presidente del Compostela José María Caneda e il direttore generale del club galiziano José Gonzalez Fidalgo. Caneda, giorni prima aveva, definito “stupidi” gli abitanti di Marbella per averlo votato ed eletto sindaco. Gil glielo fa notare («Nomina un’altra volta Marbella e ti stacco la testa»), volano insulti reciproci, e alla fine un pugno raggiunge Fidalgo.

Gil deve molto al calcio perché gli ha permesso di tornare in auge dopo che la sua reputazione sembrava compromessa definitivamente. A fine anni Sessanta aveva conosciuto un momento di grande popolarità con la costruzione della zona residenziale di lusso Los Angeles de San Rafael. La sua idea era quella di creare una città da 20mila abitanti a 20 chilometri da Segovia. Un posto di vacanza «che unisse il mare alla montagna». Qualcosa va storto il 15 luglio del 1968 quando Gil affitta un ristorante per un evento riservato ai dipendenti della catena di supermercati Spar. La struttura crolla e muoiono 58 persone. Si scoprirà poi che i lavori di una delle sale non erano stati ultimati, che non c’erano le condizioni sufficienti di sicurezza per ospitare 150 persone e che Gil forzò la mano per non perdere la cifra considerevole messa sul piatto da Spar. Verrà condannato a cinque anni per omicidio involontario e poi graziato dal governo di Franco dopo 18 mesi di carcere. Grazia che riceverà nuovamente nel 1994 a seguito di una condanna per truffa: stavolta a concedergliela è un governo socialista. Negli anni erano passate in ritiro per Los Angeles de San Rafael molte squadre di Primera División. Così Gil riesce a conoscere Vicente Calderón, storico presidente dell’Atletico Madrid, che morirà nel 1987. Nel 1979 Gil entra nel club in qualità di socio, tre anni dopo diventa consigliere. Con Calderón i rapporti si guasta e dopo qualche mese lascia per poi diventarne il successore.

Molti i cliché del presidente ricco e impulsivo che Gil ha saputo fare suoi e sintetizzare in sedici anni di gestione. Basti pensare alla sua fama di mangia allenatori (29 in tutta la sua era e solo nella stagione 1993/94 se ne avvicendano 6), alle polemiche sollevate («C’è una mafia tra gli arbitri, la competizione è alterata e prostituita» al termine di un derby perso 4-2 nel novembre ’94), alle liti e alle frasi storiche («Il mio errore è stato quello di trattare i giocatori come persone» dopo una sconfitta). Quasi a voler condensare in un unico personaggio, e in un’unica storia, alcune vicende che hanno caratterizzato gli ultimi trent’anni anche del calcio italiano. Ascese, successi sportivi, notorietà vicende giudiziarie e cadute, anche rovinose. Quello de El Pionero è un racconto che unisce i punti, che ricostruisce a mente fredda un’epoca certamente conclusa, ma che continua a essere fonte d’ispirazione.