L’arrivo di Nahitan Nandez al Cagliari sembrava cosa fatta già lo scorso gennaio, dopo la sconfitta nel Superclasico che ha consegnato la più spettacolare Copa Libertadores della storia al River Plate. Gustavo Alfaro, l’allenatore che aveva appena preso in mano le ceneri emotive del Boca di Guillermo Barros Schelotto, commentò: «Sono felice che il Cagliari sia interessato a lui, ma mi stupisce che non sia un club come la Juventus ad acquistarlo». Il tempo della carriera di Nahitan Nandez scorre lento, forse più per necessità umane o per una grande cautela di fondo, che per un condizionamento rispetto alle sue possibilità tecniche: a quasi 24 anni, la sua storia non prevede ancora step vertiginosi, ma sembra svilupparsi fitta, sfumando da un passaggio intermedio all’altro. Non è mai stato un late bloomer, nemmeno per i parametri dei giovani sudamericani: a ventuno anni, tre dopo il suo debutto aurinegro e due dopo quello in Nazionale, era già capitano del Peñarol e guidava il gruppo di cui facevano parte referenti della Celeste come Guzmán Pereira e soprattutto Cristian “Cebolla” Rodríguez.
In un momento in cui il suo calcio probabilmente era già maturo per il salto in Europa, ha scelto di attraversare il Rio de la Plata e cimentarsi con l’ultimo avamposto di Sud America prima dell’Oceano, un Boca Juniors fuori scala per ambizioni, potere d’acquisto e possibilità di accumulare talento. Forse, il suo effettivo livello è stato leggermente offuscato da un set tecnico poco appariscente, oppure più semplicemente la forma cristallina di devozione che sembra trasudare dal suo modo aggressivo e dispendioso di giocare a pallone, quasi in perenne trance, si traduce anche fuori dal campo, nelle scelte professionali. D’altra parte, una volta chiuso l’affare che lo ha portato a Cagliari, Nandez ha potuto decidere se giocare o meno gli ottavi di finale di Copa Libertadores contro l’Athletico Paranaense: ha scelto di esserci, è stato il migliore della serie e ha lasciato la sua ex squadra un passo più vicina a quella Copa Libertadores che, in campo, è andato soltanto vicinissimo a vincere. Subito dopo la sua ultima partita, Alfaro ha raccontato come a Nandez, per sua stessa confessione, costi molto lasciare la sua squadra, a livello emotivo.
La Bombonera lo ha salutato con un’enorme ovazione, dopo due anni giocati ad altissimi livelli che hanno coinciso con il suo definitivo inserimento nell’undici titolare dell’Uruguay, ai Mondiali e in Copa América; nell’estate in cui il Boca ha perso un cannoniere implacabile, nonché dichiarato tifoso bostero come il Pipa Darío Benedetto, tutte le attenzioni e i rimpianti dei tifosi si sono rivolti a Nandez, che con il proprio calcio viscerale ha stabilito il legame più forte con la hinchada e con i topoi della retorica azul y oro, fatta di grinta, cuore e passione popolare. Gli stessi topoi con cui, secondo Andrea Cossu, Cagliari sarà conquistata dall’ultimo dei suoi uruguagi.
Il punto da cui è necessario partire per parlare di Nahitan Nandez sul campo da gioco è proprio quello più evidente: l’incontenibile foga agonistica. «Quando entrai nella cuarta división – il livello più alto delle inferiores sudamericane, per i giocatori sotto i vent’anni – del Peñarol, ero ancora un centrocampista di palleggio e non marcavo molto», ha raccontato a El Gráfico in un’intervista di due anni fa. «Álvaro Regueira, il mio allenatore, mi convinse a posizionarmi nel doble cinco». Nahitan era nato difensore centrale nel baby futbol, ma dai dodici anni in avanti aveva gradualmente guadagnato metri in campo, finendo addirittura a fare l’enganche. «All’inizio, davo scarpate a tutti, perché arrivavo tardi sul pallone, o proprio non ci arrivavo».
Il suo calcio, inizialmente basato sulla proprietà tecnica, si contaminò facilmente del suo temperamento: «Leonardo Ramos, il mio allenatore nel 2016, diceva che correvo molto, ma ero disordinato», ha aggiunto, «poi mi ha messo esterno destro in un centrocampo a quattro e con il tempo feci sempre meglio, dando solidità alla squadra«. Da quel momento in avanti, la sua evoluzione tattica non si è più fermata, ma nemmeno cristallizzata: tra Peñarol, Boca Juniors e Uruguay è sempre indistintamente passato dal ruolo di mediano a due a quello di interno a tre, fino alla posizione che negli ultimi tempi ha occupato più spesso, quella di esterno destro di centrocampo. A prescindere dalla porzione di campo in cui è chiamato ad agire, Nandez presenta un profilo tecnico piuttosto chiaro: quello di un centrocampista completo, che però esprime la parte migliore del suo gioco in fase difensiva. Lo confermano le statistiche: nell’ultima edizione di Superliga è andato a contrasto in media 4 volte ogni 90 minuti, facendosi superare in dribbling soltanto 0.9 volte per match.
La cifra stilistica che lo contraddistingue è il profondo tackle scivolato con cui si avventa su tutti i palloni a metà strada tra lui e l’avversario. Il modo in cui alza l’intensità di un duello, in un campionato famoso proprio per gli uno contro uno, si è fatto sentire sia in campo che a referto: pur senza essere mai stato espulso con la maglia azul y oro, da quando è approdato in Argentina ha ricevuto la media di un giallo ogni tre partite. Il suo contributo difensivo, oltre che per le sue spettacolari fiammate d’istinto, passa anche per un utilizzo intelligente e funzionale del proprio fisico compatto (172 cm x 70 kg) a contrasto, per riconquistare o proteggere un pallone rubato e costringere all’irregolarità l’avversario. Il campionario di scaltrezze con cui si pone tra palla e uomo è una dote confermata anche dai numeri: lo scorso campionato, infatti, ha commesso in media meno falli di quanti ne abbia subiti (1.3 contro 1.5).
L’altra grande caratteristica su cui poggia il profilo di Nahitan Nandez è l’irrefrenabile dinamismo, che gli permette di esercitare con insistenza il pressing, come di sviluppare la propria fase offensiva – specie quando parte da esterno. Lo scorso campionato ha tentato il dribbling 1.7 volte ogni 90 minuti, con un’efficacia di poco superiore al 50%; non è un giocatore tecnicamente elegante, ma nei suoi uno contro uno non rinuncia a nascondere la palla con piccole sterzate, aiutandosi con il fisico e gli strappi in corsa. L’apporto offensivo di Nandez passa però principalmente per il contributo che dà alla manovra: la sua tecnica di base non è appariscente e talvolta cade in sbavature, ma è solida e difficilmente viene utilizzata per tentare giocate banali. Pur senza essere limpido e illuminante, ricerca non appena possibile la verticalità e la trova sotto forma di passaggi chiave (quasi uno ogni novanta minuti); pur non palleggiando come il suo compagno di Nazionale Rodrigo Bentancur, è estremamente efficace e associativo con i compagni; pur non essendo un giocatore costruito per attaccare la linea di fondo, lascia partire dalla sua fascia palloni morbidi verso il secondo palo, pericolosi specialmente se in area c’è una minaccia aerea come Leonardo Pavoletti.
Un’altra freccia tecnica al suo arco, invece, l’ha sviluppata durante il primo anno al Boca, sotto la guida di Guillermo Barros Schelotto: partendo da una posizione più centrale – quella che, nel complesso, valorizza al meglio le sue caratteristiche – riesce a vestire con disinvoltura i panni del centrocampista box-to-box, facendosi trovare spesso in area con inserimenti efficaci, ma ancora non accompagnati da un’adeguata freddezza sotto porta. Migliorare i numeri in zona gol sarà una delle sfide che forse gli riserverà la sua prima avventura europea. Una tappa che, dopo aver dominato il proprio contesto di origine, Nandez non poteva più posticipare.
Il Cagliari e la Serie A, da quest’anno, potranno godersi un centrocampista versatile e completo, tecnico e solido in possesso e abile senza palla, in grado di emergere indistintamente in un gioco ad alta intensità, fatto di pressing alto, e transizioni verticali e velocissime, come di attivare la modalità assedio e impiegare le sue qualità difensive in situazioni d’attesa (probabilmente, il contesto che incontrerà nella squadra di Maran). L’unica certezza è che Nahitan Nandez è in Europa, e ci rimarrà finché non avrà dato tutto.