Come i prestiti hanno cambiato il calciomercato, e viceversa

Per aggirare il Fair Play Finanziario, le formule di trasferimenti sono sempre più creative.

Nel giorno della sua presentazione come nuovo giocatore del Bayern Monaco, Philippe Coutinho ha rilasciato una dichiarazione di quelle generiche, preconfezionate: «Voglio restare qui per molti anni». In realtà, l’accordo trovato tra il suo nuovo club e il Barcellona prevede che Coutinho resti in prestito al Bayern Monaco solo fino a giugno 2020; prima di questa scadenza, il Bayern ha però la facoltà di rilevare la proprietà del cartellino di Coutinho versando 120 milioni di euro alla società catalana. Una frase di circostanza evidentemente sbagliata del giocatore brasiliano non solo è passata inosservata, ma addirittura risulta esatta nelle convenzioni e nel funzionamento del calciomercato contemporaneo: sempre più operazioni a titolo definitivo sono camuffate da prestito, almeno inizialmente.

Sul portale Transfermarkt c’è una pagina che permette di monitorare tutti i prestiti attivi in questo momento nei vari campionati europei. Il Bayern occupa il primo posto di una graduatoria molto particolare, quella relativa al valore di mercato dei giocatori acquisiti a titolo temporaneo: oltre a Coutinho (valutato 90 milioni di euro), anche Ivan Perisic (30 milioni) si è trasferito in Baviera in prestito dall’Inter. Proprio i nerazzurri sono secondi in questa speciale classifica, in virtù degli accordi di prestito siglati per acquistare Nicolò Barella (valutato 36 milioni milioni), Stefano Sensi (18 milioni), Cristiano Biraghi (10 milioni) e Alexis Sánchez (35 milioni). Nella top 20 ci sono tanti altri club italiani (Roma, Genoa, Cagliari, Parma, Fiorentina, Sassuolo), ma la presenza di Atlético Madrid, Tottenham, Galatasaray e Borussia Dortmund mostra come questo modalità di operare sul mercato sia ormai diffusa in tutta Europa, e sia utilizzata anche da società con grande disponibilità economica.

Per acquistare Nicolò Barella, l’Inter ha versato 12 milioni al Cagliari per il prestito, a cui dovrà aggiungere 25 milioni per il riscatto a fine stagione (Alex Burstow/Getty Images)

Un articolo di Rory Smith pubblicato pochi giorni fa dal New York Times si apriva con il racconto del trasferimento di Mbappé al Psg, un affare portato a termine nell’estate 2017: «Poche settimane prima dell’arrivo di Mbappé», si legge, «il Psg ha acquistato anche Neymar dal Barcellona per 220 milioni di euro. Ha potuto permettersi due operazioni così onerose nella stessa finestra di mercato perché Mbappé è stato comprato in prestito con obbligo di riscatto. In questo modo, il pagamento della cifra concordata con il Monaco (180 milioni di euro) è stato posposto all’estate 2018, previo il raggiungimento di alcuni obiettivi da parte della squadra parigina – la salvezza in Ligue 1, per la precisione. Se invece il Psg avesse versato subito la somma pattuita per avere Mbappé, sarebbe incorso nella violazione dei parametri imposti dal Fair Play Finanziario. Grazie a una formula creativa, il club parigino ha evitato sanzioni che potevano essere anche molto severe, per esempio la mancata iscrizione alla successiva Champions League».

Il punto di svolta è quindi l’istituzione del Fair Play Finanziario, un evento che ha cambiato la storicizzazione, ma soprattutto l’operatività del calciomercato. Dal 2009, anno in cui sono diventati effettivi i parametri del FFP, le spese dei club devono essere proporzionate alle loro entrate, per ogni esercizio finanziario; allo stesso tempo, però, le società più importanti non hanno ridimensionato i loro obiettivi sportivi, e inoltre hanno dovuto sfidarsi, letteralmente, in un contesto di mercato sempre più competitivo e internazionale, in pratica si è costituito una sorta di campionato alternativo, parallelo, in cui si giocano partite a suon di milioni per acquistare i giocatori più forti, più riconoscibili, quindi più costosi. Il paradosso tempistico è che l’Uefa ha inserito delle limitazioni strutturali poco prima di questo boom dei prezzi, quindi è come se avesse invitato gli operatori di mercato a trovare delle scappatoie per aggirare le regole, senza infrangerle. Omar Chaudhuri, dirigente dell’agenzia di intelligence sportiva 21st Club, ha spiegato al New York Times che le grandi società «si sono adattate e si stanno ancora adattando a un nuovo ambiente, proprio come avvenne nel 1995, all’indomani della sentenza Bosman».

Le cifre confermano questo adattamento ancora in corso: dieci anni fa, solo dieci calciatori furono riscattati dopo un prestito nelle leghe di Germania, Francia, Inghilterra, Spagna. Alla chiusura della sessione estiva del 2018, questo numero è salito a 32. L’Italia, da questo punto di vista, rappresenta da sempre un contesto diverso: in Serie A le formule creative per evitare minusvalenze e posporre i pagamenti sono una vecchia abitudine, non si tratta di un primato storico di cui vantarsi, ma i fatti dicono che i nostri operatori di calciomercato sono stati in anticipo sui tempi. All’inizio della sessione estiva 2017/18, i club di Serie A investirono un totale di 115,8 milioni per acquistare giocatori che avevano avuto già in organico nella stagione precedente. La distanza con le altre leghe in Europa era siderale: in Premier furono spesi 9,3 milioni in riscatti, in Ligue 1 17 milioni, in Liga meno di 35, in Bundesliga furono 63. Ora quel gap tende ad assottigliarsi, basti pensare alla cifra che il Bayern dovrebbe versare per riscattare Coutinho (120 milioni), anche se le società di Serie A restano quelle che hanno sottoscritto il maggior numero di prestiti in entrata rispetto a quelle di altri paesi europei: sono 65, decisamente di più dei 16 della Premier, dei 51 della Liga, dei 27 della Bundes e dei 27 della Ligue 1.

Giovani Lo Celso, qui impegnato con la maglia del Tottenham nel North London Derby contro l’Arsenal, ha disputato 19 partite con la maglia della Nazionale argentina (Catherine Ivill/Getty Images)

Il Fair Play Finanziario ha cambiato l’istituzione del prestito, anzi ha ampliato i suoi significati: prima questa formula veniva utilizzata come operazione di sviluppo, per giovani calciatori in fase di crescita che restavano vincolati a una società ma accumulavano esperienza in un altro club, solitamente di livello inferiore; oggi, invece, questa modalità di trasferimento crea altri contesti, per esempio è una delle strade possibili per cercare un ingaggio in una squadra anche più forte, senza costringerla a un esborso immediato. Il caso emblematico è quello di Giovani Lo Celso, centrocampista argentino di 23 anni: un anno fa Lo Celso era di proprietà del Psg e si è trasferito al Betis in prestito oneroso (3 milioni) con diritto di riscatto fissato a 22 milioni. A giugno il club spagnolo ha pagato la cifra pattuita con il Psg e poi ad agosto ha ceduto Lo Celso con la stessa formula. Il prossimo anno incasserà una cifra che potrebbe arrivare fino a 54 milioni, dopo aver già intascato 16 milioni per il trasferimento temporaneo. È evidente, anche oltre le cifre, come queste due operazioni siano diverse tra loro: se la prima era mirata alla valorizzazione di un calciatore – l’essenza originaria del prestito –, la seconda ha certificato l’accesso di Lo Celso a un livello superiore.

Il caso di Coutinho, invece, rappresenta la “terza via”. Un giocatore di grande livello viene considerato ormai fuori da un dato progetto tecnico, ma il costo del suo cartellino non è accessibile per chi vorrebbe acquistarlo. Piuttosto che generare una minusvalenza, il club che vuole cederlo lo gira a titolo temporaneo a una squadra interessata, cancellando dal bilancio la voce relativa al suo ingaggio – almeno in parte. Oltre al brasiliano passato al Bayern e al suo nuovo compagno di squadra Perisic, anche James Rodríguez – negli ultimi due anni in prestito ai bavaresi – ha ricevuto lo stesso trattamento dal Real Madrid; pochi giorni fa, Alexis Sánchez è passato dal Manchester United all’Inter con la stessa formula, solo che i Red Devils continuano a versare gran parte dello stipendio dell’attaccante cileno.

A gennaio 2019, Morata è passato in prestito dal Chelsea all’Atlético Madrid; dovrà essere riscattato alla fine di questa stagione (Pierre-Philippe Marcou/AFP/Getty Images)

Il trasferimento di Sánchez all’Inter è in prestito secco, quindi manca di quello che resta l’aspetto più controverso dell’intera faccenda: la possibilità di riscatto del cartellino da parte della nuova società, ovvero quell’istituzione che rende creativa questa formula, perché permette di concludere affari a lungo termine ritardando i pagamenti. Il punto è che si tratta di una procedura di calciomercato dalla regolamentazione molto labile, come si evince anche dal documento NOIF della Federcalcio: l’obbligo può scattare «al verificarsi di condizioni sportive specificatamente definite».

Nell’operazione Mbappé-Monaco-Psg, per esempio, il riscatto è diventato obbligatorio non appena il Psg ha raggiunto la matematica certezza della salvezza in Ligue 1. Ovviamente la retrocessione del club parigino era un’ipotesi inverosimile al momento della stesura e della firma dei contratti, ed è qui che si esprime la creatività, o si materializza il trucco, a seconda dei punti di vista: le operazioni in prestito, oggi, rappresentano soprattutto una risorsa per dilatare e dilazionare i tempi di investimento, per pianificare le spese – ma anche gli introiti di chi cede – con un certo anticipo. Senza inciampare nel Fair Play Finanziario, ma continuando a fare mercato in maniera aggressiva.