A ventitré anni compiuti, quattro alle spalle tra i professionisti, quella di Lorenzo Pellegrini sin qui è stata una carriera tutt’altro che lineare. Nel settore giovanile ha giocato da attaccante e poi da difensore, prima di trovare la collocazione definitiva in mezzo al campo; a diciannove anni è stato venduto per un milione di euro e spiccioli dalla squadra che lo aveva cresciuto, per poi farvi ritorno dopo due stagioni per una cifra decuplicata; si è infortunato spesso, almeno due volte l’anno, rallentando e complicando i processi di ambientamento e di crescita praticamente in ogni stagione. E per mettere la ciliegina sulla torta della non-linearità, alla sua seconda esperienza alla Roma ha ingranato grazie ad un gol destinato a rimanere nella storia. Il colpo di tacco che un anno fa sbloccava il derby e che, nello stesso istante, sbloccava pure Pellegrini. L’evidenza che «dal derby in poi è stato tutto più semplice» è stato lui stesso ad ammetterla senza tanti giri di parole.
Prima di quel Roma-Lazio, settima giornata della Serie A 2018/19, aveva giocato soltanto la metà delle gare disponibili in campionato: tre su sei. E anche nelle stagioni precedenti non gli era mai capitato di essere schierato dal primo minuto con continuità già ad agosto. Al contrario, quest’anno il trend con Fonseca ha preso tutta un’altra direzione: novanta minuti alla prima contro il Genoa e alla seconda contro la Lazio, ottantaquattro alla terza contro il Sassuolo, con i tre assist a coronare una prestazione di grande impatto. In più le due gare con l’Italia durante la pausa, arricchite dal primo centro con la Nazionale maggiore e, pochi giorni dopo, dall’attestato di fiducia da parte di Mancini, che pur di lanciarlo da titolare contro la Finlandia gli ha ritagliato una casella tutta sua – un incrocio tra l’ala sinistra, il trequartista e la seconda punta – nel modulo 4-3-3. Insomma, se fino a pochi mesi fa parlare di Pellegrini significava parlare di un centrocampista promettente, ancora in cerca della posizione corretta sulla sua stessa rampa di lancio, oggi la sensazione è che stia finalmente facendo i conti con lo step successivo: la maturazione.
Rispetto alla scorsa stagione, con l’addio di De Rossi e Manolas, Pellegrini ha guadagnato due gradini nella scala gerarchica dello spogliatoio della Roma. È più leader, e non solo perché insieme a Florenzi è l’unico senior a poter vantare quell’attributo – la romanità – che a queste latitudini non invecchia mai. È più leader anche perché il nuovo ciclo giallorosso è stato alimentato in estate da tanti volti nuovi, da Pau López a Mkhitaryan fino a Fonseca stesso. Così Pellegrini è uno degli “anziani” in termini di esperienza con la maglia della Roma; per presenze ufficiali lo superano soltanto Florenzi, Fazio, Kolarov e Dzeko, oltre ai gregari Juan Jesus e Perotti. A questo contesto vanno poi aggiunte le parole di Francesco Totti, che durante la conferenza stampa di addio alla Roma dello scorso giugno lo ha pubblicamente e spontaneamente definito «un ragazzo speciale, forte, sia in campo che fuori». Una investitura ingombrante, se non fosse che dal suo tono le parole di Totti risuonavano, più che come un apprezzamento al ragazzo, come una esortazione alla città, di modo che cominciasse a tenerlo in maggior considerazione. Come a voler dire: io me ne vado, lascio la Roma, ma Pellegrini è ancora qui. Fidatevi di lui.
Sentendolo parlare, l’impressione è che Lorenzo Pellegrini abbia le idee molto chiare su di sé. Le sue risposte sono risposte vere: è raro vederlo rifugiarsi dietro al paravento del politicamente corretto. Non ha mai nascosto ad esempio che lui sul campo vorrebbe fare il trequartista, la posizione in cui Di Francesco lo ha lanciato l’anno scorso e in cui Fonseca lo ha riproposto domenica. Una predilezione legata a doppio filo al concetto di libertà: «La cosa che più apprezzo di questo ruolo è il fatto che non si deve pensare troppo a cose tattiche», ha spiegato a Sky. È tornato sullo stesso tema anche in un bel passaggio di questa intervista: «Mi vedo di più trequartista ma non perché sto più avanti, anzi anche in quella posizione mi piace molto abbassarmi, prendermi la palla, giocare con miei compagni, muovermi, andare un po’ a destra, un po’ a sinistra. Giocando da mediano o da mezzala hai un ruolo più preciso, devi dividerti il campo… il trequartista può giocare più a tutto campo».
Nella rosa della Roma sono in tanti a poter giocare al centro del tridente alle spalle di Dzeko: Pastore, Zaniolo, lo stesso Mkhitaryan, oltre a lui. È il motivo per cui spesso e volentieri Pellegrini è stato fino ad ora costretto ad adattarsi, a scalare in una delle due caselle da mediano. Eppure sembra avere il potenziale più adatto, in termini di creatività, visione e tempismo, per interpretare quel ruolo nella Roma. Due anni fa, in una stagione giocata interamente da mezzala, è stato secondo tra i giocatori della rosa giallorossa per passaggi chiave completati a partita: 2,2 ogni novanta minuti, meglio di lui soltanto Kolarov con 2,4. L’anno scorso invece ha staccato tutti a quota 2,9 p90, con il podio completato da Kluivert (2,4) e Under (2,1) che lo seguivano a debita distanza. Ciò che ci suggeriscono i dati, insomma, è che se in una partita della Roma ci attendiamo un passaggio smarcante decisivo, è molto probabile che parta dai piedi di Pellegrini. Ed è così da almeno un anno, non da oggi. Quello per Mkhitaryan o quello per Kluivert, valsi rispettivamente il tre e il quattro a zero contro il Sassuolo, ne sono due ottimi saggi.
Il passaggio di status di Pellegrini da calciatore emergente a calciatore in via di maturazione va letto attraverso la lente della centralità. Ne abbiamo fatto menzione parlando delle presenze, della leadership, della sua crescente importanza come rifinitore. Questo avvio di stagione ci invita anche a tenere d’occhio il suo ruolo in fase di possesso. Secondo i dati della Lega Serie A Pellegrini è stato primo, terzo e secondo nella Roma per palloni giocati nelle rispettive prime tre gare di campionato. Senz’altro perde ancora qualche pallone di troppo, anche per via del fatto che oltre alla sua tecnica, al suo raffinatissimo controllo, non ha strumenti per resistere ad attacchi di pressione. Solo che una gran parte delle azioni che la Roma finisce con un tiro passa dai suoi piedi.
Se Kolarov è il primo regista dei giallorossi, Pellegrini è senza dubbio quello avanzato, quello offensivo. È nettamente più creativo di tutti gli altri centrocampisti: più di Cristante, che però è più strutturato fisicamente e garantisce maggiore equilibrio; più di Veretout, che non ha il suo piede né tantomeno la sua visione di gioco; più di Diawara, che è un regista classico, scolastico; e più di Zaniolo, che ha un passo diverso e più facilità di tiro, ma a cui mancano nel confronto con Pellegrini l’agilità negli spazi stretti e la sua mente orientata a legare e cucire centrocampo e attacco.
Se il suo futuro nella Roma sarà sulla trequarti, come lui stesso auspica, una crescita dalla quale Pellegrini non potrà sottrarsi riguarda il feeling con la porta. «I gol? Sono una cosa in cui devo migliorare, posso fare molto meglio, è un obiettivo che mi pongo all’inizio dell’anno», diceva con risolutezza all’inizio dell’anno. Nelle prime due stagioni a Roma dopo il trascorso in Emilia ne ha segnati rispettivamente tre e quattro, ma in entrambi gli anni è stato anche tra i tiratori più accaniti, perciò è lecito attendersi qualcosa di più sotto questo profilo. A maggior ragione se si considera che a Sassuolo, dopo un primo anno di ambientamento, si avvicinò alla doppia cifra (otto reti) e diede prova della sua polivalenza. Sa inserirsi da mezzala pura, ha tutte le carte in regola per rendersi pericoloso di testa con continuità, ed è persino ambidestro (qui qualche esempio di cosa sa fare con il mancino). Per completezza, e in sua difesa, va detto anche che gli manca una stagione giocata fino in fondo, senza infortuni lunghi, da quaranta presenze o più, alla fine della quale valutare con un metro più accurato la sua prolificità. Oltre a questo, ci si attende da lui anche un pizzico di continuità in più nei momenti decisivi e una crescita in termini di resistenza.
Il vero plusvalore che Pellegrini offre e offrirà alla sua squadra sarà sempre legato alla qualità dei suoi passaggi, al supporto nella fase di rifinitura. È lì che si distingue, ed è lì che serve concentrarsi per apprezzare il suo valore. In una delle interviste di cui si accennava sopra, rispondendo a chi gli chiedeva quale centrocampista osservasse con più attenzione, Pellegrini fece il nome di Modric: «Quando ci abbiamo giocato contro mi ha colpito per come guarda sempre la prima giocata, sa già cosa fare quando gli arriva il pallone», disse. «È una delle più grandi qualità che un centrocampista deve avere». Una qualità che Pellegrini possiede a sua volta, e che ha solo bisogno, si direbbe in Non ci resta che piangere, di provare, provare, provare.