Il Barcellona ha sempre più bisogno di Arthur

In un momento di transizione della storia del centrocampo blaugrana, il brasiliano si è conquistato un posto importante.

Arthur Melo viene erroneamente considerato come il leader del futuro Barcellona, ma numeri e prestazioni dicono che questa squadra, senza di lui, non è in grado di mantenersi su certi standard. Eppure è passato solo poco più di un anno dal suo approdo in Spagna. Era infatti l’estate del 2018 quando il presidente Bartomeu staccò un assegno da 31 milioni di euro (più 9 di bonus) per acquistarlo dal Gremio. Quando il Barcellona ufficializzò il suo arrivo, in molti storsero il naso. Ci si domandava perché la dirigenza non avesse puntato su uno dei tanti giovani già nel giro dei top campionati europei o, semplicemente, ci si chiedeva chi fosse questo motorino formato tascabile che aveva fatto impazzire trasversalmente tutto il board della società blaugrana. La risposta come sempre è arrivata grazie al campo: con 44 presenze complessive, Arthur è stato uno dei giocatori più utilizzati dell’intera rosa nel 2018/19, mettendo insieme numeri complessivamente molto interessanti come il 94,2% di precisione nei passaggi – primo in questa graduatoria, considerando che Rafinha e Carles Aleñá rientrano nella categoria dei comprimari – e gli 1,8 lanci lunghi completati a partita – pochi, segno di come la scuola brasiliana lo abbia formato con uno stile principalmente improntato alla gestione della palla a terra.

Se però al termine del suo primo anno in Spagna era “solo” riuscito a scalare le gerarchie, oggi la sua centralità è comprovata a tal punto che Valverde preferisce talvolta privarsi di Busquets e Rakitic, lasciando più libertà a lui e Frenkie de Jong – altra grande presa dell’ultima sessione estiva di mercato. Arthur ha ripagato la fiducia a suon di prestazioni e si è messo a completa disposizione anche dal punto di vista tattico, muovendosi da interno in un 4-3-3 o, in caso di 4-4-2, da finto laterale destro, con compiti ben definiti soprattutto in fase di non possesso. Questa sua attitudine è stata sottolineata anche sulle colonne di Diario Sport da Joaquin Piera, il quale sostiene che «in questo momento non esiste un giocatore più associativo, adatto al gioco posizionale e con la comprensione dei dettami tattici impartiti dall’allenatore» dell’ex centrocampista del Gremio. Il pensiero è comunque molto diffuso e si estende anche agli addetti ai lavori: «Personalmente lo ritengo un giocatore moderno», ha dichiarato lo scorso maggio il suo vecchio allenatore Renato Gáucho, «ho sempre fatto fatica a rinunciarci», mentre il selezionatore dell’Under 19 brasiliana André Jardine, quello che lo ha lanciato nell’Amarelinha, ha definito il numero 8 blaugrana «un mix tra Xavi e Iniesta, la cui presenza in campo è in grado di tranquillizzare anche Messi».

L’analogia con Xavi si ripropone anche in un interessante approfondimento firmato da Domagoji Kostanisak, che prende in considerazione le posizioni medie tenute dal classe 1996 durante la sua prima annata europea. Scorrendo le varie heatmap si può notare come Arthur tenda sempre a giostrare sul centro-destra quando è in possesso di palla, mentre se l’azione viene sviluppata da un compagno spesso lo si vede alzarsi tra le linee, quasi a fare da trequartista. Esplicativa in tal senso è l’azione che ha portato Messi al gol nella trasferta di Champions League contro lo Slavia Praga. Non appena i blaugrana intensificano il pressing sul portatore di palla avversario, il numero 8 si fionda al limite dell’area avversaria con un rapido movimento verticale, anticipando e dettando l’appoggio alla Pulga. Una volta completato lo scarico, il brasiliano imbuca la palla in mezzo alla linea difensiva avversaria, smarcando l’argentino a tu per tu con il portiere ceco.

Come detto in precedenza, Arthur è uno dei giocatori a toccare più palloni di media nei novanta minuti di gioco e, secondo le statistiche raccolte da Barcelona Analysis, l’ex Gremio riesce a coprire con continuità una porzione di campo di circa 70 metri. Quest’ultima caratteristica lo rende perfetto per la fase di “gegenpressing” che il Barcellona utilizza talvolta per difendersi. Quando l’azione riparte dai centrali difensivi, è lui a scalare diventando il vertice basso di un triangolo ai cui lati si allargano gli altri due centrocampisti – solitamente Busquets e de Jong, ma di recente anche Vidal – che dettano il passaggio e permettono alla squadra di risalire il campo con la palla a terra. Valverde è ormai consapevole di non poter più rinunciare alle qualità di questo ragazzo, bravissimo a muoversi senza palla e a tagliare il campo sia in lunghezza che in ampiezza, preciso nei passaggi – quasi 52 di media a partita nell’attuale Liga, con l’87,8% di precisione, e ben 82 nelle prime uscite in Champions League – ed essenziale nei recuperi.

La sua crescita è stata apprezzata in maniera trasversale e certificata dalla fiducia concessagli da Tite. In estate Arthur ha giocato la sua prima Copa América, aiutando in maniera decisiva la Seleção a riportare il titolo in patria dopo dodici anni di astinenza. Il commissario tecnico ci ha messo poco a capire quanto la sua presenza sarebbe stata fondamentale, giusto il tempo di tenerlo fuori all’esordio contro la Bolivia ad assorbire i postumi di una botta alla caviglia. Poi, dal match contro il Venezuela in avanti, il centrocampista del Barcellona si è preso il suo posto da titolare senza mollarlo più, nemmeno per un solo minuto. Riportato nel ruolo di mediano come ai tempi del Gremio, dove giocava in coppa con il suo “socio” Jailson, Arthur è comunque risultato uno dei cardini del Brasile: i suoi 75,2 passaggi a partita, effettuati con oltre il 90% di precisione, gli hanno permesso di entrare nella top ten del torneo in questa speciale classifica. Inutile dire che per Tite sarà uno dei cardini della squadra che andrà all’assalto della qualificazione a Qatar 2022, torneo al quale il giocatore arriverà a 26 anni compiuti, nella piena maturità calcistica.

«Con la Nazionale ho più libertà e meno compiti specifici» ha dichiarato in un’intervista precedente alla vittoriosa campagna dello scorso giugno, quando la stampa brasiliana gli chiedeva come si fosse trovato durante la sua prima stagione al Barcellona. In molti hanno preso queste parole come una bordata diretta a Valverde, ma in realtà erano semplici pensieri di un ragazzo giovane che, probabilmente, non aveva riflettuto abbastanza prima di esternarli. Il rapporto con il tecnico sembra viceversa molto saldo, come confermato dallo stesso Txingurri in un’intervista ripresa dai siti spagnoli dopo la bella prestazione con il Villarreal: «Gli chiedo di spingersi più avanti perché ha le qualità per creare pericoli», ha detto il tecnico. «Arthur sa quello che voglio: anche se non ha il gol nelle corde, sono convinto che possa crescere molto nell’ultimo passaggio, per questo lo voglio più presente negli ultimi metri». Parole importanti, senza dubbio, che ci dipingono fedelmente questo tuttocampista capace di imporsi nella città di Guardiola, Xavi e Iniesta. Il prossimo passo sarà quello di intraprendere un processo di stabilizzazione, necessario per acquisire continuità e una solidità mentale utile per affrontare gli inevitabili momenti meno buoni che verranno. Il percorso per la consacrazione sembra ancora lungo, ma gli inizi sono senza dubbio promettenti.