A Lione, Memphis Depay è diventato un leader

È dominante in campo, ma è maturato anche nei comportamenti.

Fischio finale di Lione-Lipsia, partita valida per l’ultimo turno della fase a gruppi di Champions League. I giocatori si salutano e si abbracciano, l’arbitro inglese Taylor raccoglie la palla, dirigendosi verso l’uscita, e le due squadre si godono il passaggio a braccetto agli ottavi di finale. Tutto molto bello, se non fosse che, a un certo punto, Memphis Depay si sgancia dal gruppo di giocatori fermi a chiacchierare al centro del campo e comincia a correre verso il settore occupato dai Bad Gones, la frangia più calda del tifo dell’OL. C’è un ragazzo che ha appena srotolato uno striscione raffigurante un asino, un affronto indirizzato al difensore brasiliano Marcelo, colpevole, secondo gli ultras, di non impegnarsi abbastanza per la causa. Depay non ci sta, si avvicina e sferra un pugno che, per fortuna, non va a segno, ma basta per scatenare un parapiglia, sedato poi a fatica dalla polizia: «Non ho mai visto una cosa simile in tutta la mia vita, è come se ci avessero sputato in faccia», dichiarerà l’olandese dopo la partita, «siamo una squadra unita e io non permetto a nessuno di trattarci così, ma devo controllare le reazioni perché non posso più commettere errori».

In questo episodio e nelle sue parole, c’è tutta l’essenza del nuovo Depay. Uno che ne ha viste tante, seppure la sua carriera sia ancora relativamente breve, e che quindi non ha alcuna paura ad affrontare un minaccioso uomo col passamontagna. Zero timore, anche perché la coscienza è più pulita che mai: «Abbiamo avuto delle difficoltà fino a ora, ma questa non è la soluzione: i tifosi devono stare dalla nostra parte». Un concetto, quest’ultimo, condivisibile sia nella forma che nella sostanza, soprattutto se consideriamo come sta giocando Depay: a oggi, l’olandese del Lione ha messo insieme 14 gol in 17 partite tra Ligue 1 e Champions League, un bottino abbastanza importante considerate le circostanze in cui è maturato. L’Olympique non gira, ha già cambiato allenatore (passando da Sylvinho a Rudi Garcia) e, soprattutto, in prossimità della metà del campionato è già distante 14 punti dal Psg primo in classifica. Il rendimento di Memphis, nome di battesimo rigorosamente stampato sul retro della maglia, è antitetico rispetto a quello della squadra, anzi l’olandese è stato uno dei pochi calciatori in grado di mantenere a galla la nave nei momenti di difficoltà. Per esempio, senza andare troppo indietro, lo scorso weekend una sua doppietta ha permesso all’OL di aprire le danze sul campo del Nimes, poi regolato 4-0, grazie a un paio di giocate che hanno permesso ad Aouar e Andersen di completare l’opera.

Più in generale, Depay ha messo lo zampino decisivo in cinque delle sette vittorie del Lione in Ligue 1, un dato che certifica – se ancora ce ne fosse bisogno – quanto la figura di questo numero 11, di recente diventato il capitano della squadra, sia diventata imprescindibile. Uno status conquistato con sudore, soprattutto viste le premesse: è arrivato in Francia con l’etichetta di eterna promessa appiccicata in fronte e la consapevolezza che, a 22 anni, era l’ora di staccarsi di dosso la nomea di bad boy. Una fama che, peraltro, è stato lui stesso a costruirsi, e non solo per i comportamenti in campo.

Al Manchester United, per esempio, era sbarcato con le premesse migliori, grazie all’endorsement del connazionale van Gaal, alla sua seconda stagione a Old Trafford. Anche l’esordio fu promettente, Memphis segnò una tripletta al Bruges nei preliminari di Champions League. Eppure finì presto nell’occhio del ciclone, cominciando a far parlare di sé per le liti in allenamento e per altri atteggiamenti controversi. I media, per esempio, lo massacrarono perché, contrariamente alla maggior parte dei compagni, tendeva a ostentare troppa ricchezza sui social network. La risposta? Un giorno Depay si presenta al centro sportivo guidando una Rolls Royce nuova fiammante, posa accanto alla macchina e la sua spavalderia appare quasi surreale a giornalisti e fotografi che assistono alla scena. Poi prende a pugni van Persie durante un allenamento, e ancora ha il coraggio di mettere in discussione Wayne Rooney in un’intervista televisiva. È come se Depay avesse sfidato apertamente l’ambiente United facendo intendere, seppure implicitamente, di sentirsi superiore anche al blasone di un club ultracentenario e pluridecorato.

In campo, le cose non vanno molto meglio, per Depay e per lo United. Van Gaal lascia Old Trafford, il nuovo manager è Mourinho e non vede l’ora di liberarsi di lui, così si concretizza il passaggio al Lione – che investe 16 milioni per rilevare il suo cartellino. Siamo a gennaio 2017, il resto è cronaca. Dopo i primi sei mesi passati a prendere le misure alla Ligue 1, Depay esonda definitivamente: la prima stagione completa, 2017/18, termina con 51 partite giocate condite da 22 gol e 16 assist, mentre nel 2018/19 le reti sono solo 12, ma gli assist 16. Inoltre, limitandoci all’attuale campionato), il 25enne oranje è il miglior tiratore della squadra (4 tiri di media a partita), il miglior dribblatore (2), quello che subisce più falli (1,3) ma, soprattutto, colui il quale mette a referto più passaggi chiave – 2,1 a partita, una statistica impressionante.

Da quando è arrivato al Lione, nel gennaio 2017, Depay ha segnato 53 gol in 133 partite ufficiali di tutte le competizioni (Philippe Desmazes/AFP via Getty Images)

In sintesi, Memphis è diventato un uomo squadra: il ricordo del bad boy è stato definitivamente accantonato, per lasciare spazio a un giocatore più maturo, sia mentalmente che tatticamente. Nella sua esperienza lionese non sono comunque mancati alcuni episodi sgradevoli. Prima di una trasferta ad Angers, un anno fa, Genesio gli comunicò l’esclusione dalla squadra titolare perché lo aveva visto allenarsi in maniera svogliata. Il giocatore, indispettito, rispose seguendo seduto in panchina il riscaldamento della squadra, per poi sfogarsi nel post partita: «Penso di meritate più rispetto». Al che il tecnico, sempre pronto a pungolarlo dal punto di vista emotivo, in conferenza stampa decise di rispondergli ironicamente: «Ti chiedo scusa per i tuoi ritardi, le tue mancanze di rispetto e per come ti sei comportato nel riscaldamento contro l’Angers».

Al netto di questo episodio, il rapporto tra Genesio e Depay è stato positivo, grazie all’ex tecnico del Lione – che l’ha utilizzato in più ruoli, da seconda punta e trequartista nel 4-3-1-2 fino a esterno di un tridente –, Memphis ha abbandonato lo schema predefinito costituito dalla partenza sulla linea laterale di sinistra, con conseguente dribbling a rientrare per portarsi il pallone sul piede forte e andare al tiro. Un altro contributo fondamentale è stato quello di Ronald Koeman. Il commissario tecnico olandese ha cucito addosso a Depay il ruolo di punta, trasformandolo – di fatto – da dribblomane incallito ad attaccante imprevedibile: «Gli devo molto», ha dichiarato il giocatore in un’intervista, «grazie a lui ho capito come si sta in campo e quali movimenti fare per essere più efficace». L’esperimento, tentato in una situazione di emergenza, ha funzionato, tanto che oggi in nazionale Depay gioca da numero 9, riferimento offensivo centrale di un 4-3-3.

Un po’ degli ultimi gol realizzati da Depay, tra cui quello al minuto 94.45 che ha permesso al Lione di vincere per 3-2 in casa del Tolosa

L’applicazione del giocatore, va detto, è stata maniacale. Una cosa che, considerato il suo vissuto, non era affatto scontata. Cresciuto sotto l’ala protettiva del nonno, Depay si è costruito anche una carriera parallela nel mondo del rap, una passione scoperta da ragazzino e coltivata tra le strade della periferia di Rotterdam, dove troppo spesso veniva fatto oggetto di atti di bullismo da parte dei ragazzi più grandi. La morte del nonno lo ha convinto a farsi largo nel mondo del calcio, anche per zittire una volta per tutte il padre, che lo abbandonò da bambino per fare ritorno in Ghana, il suo paese di origine. Nella sua vita, la musica si ritaglia comunque un ruolo importante: nello scorso mese di luglio è uscito il video del suo ultimo singolo – che su Spotify ha avuto molto successo –, girato insieme all’amico Justin Kluivert, su un jet privato rosso fiammante appartenente a Louis Hamilton.

Un po’ esagerato, probabilmente, ma l’arroganza rimane – seppure in minor misura – uno dei tratti che rendono unico Memphis Depay. Da ragazzino, per esempio si offrì al Feyenoord ma finì allo Sparta; a distanza di anni, quando i dirigenti biancorossi tornarono a cercarlo dopo aver cambiato idea, Depay rispose accettando l’offerta del PSV. Memphis è così: o lo ami o lo odi. O sei con lui, o devi farci la guerra. E a Lione, nonostante le ultime vicissitudini, sembra aver trovato un ambiente che si è schierato dalla sua parte, e l’ha spinto ad affermarsi in maniera definitiva. Come calciatore e come leader.