Napoli e Juventus hanno ribaltato i loro momenti e stati d’animo
Prima del match di ieri sera, Napoli e Juventus erano due squadre che vivevano momenti e stati d’animo esattamente opposti. Da una parte c’era una squadra, il Napoli, che aveva smarrito la sua identità – tattica ed emotiva –, e che perciò si è fatta scivolare di mano la stagione, con risultati molto inferiori rispetto al proprio reale valore; di contro, la Juventus di Sarri era un gruppo in crescita, che sembrava aver metabolizzato le idee del suo allenatore, che aveva mixato certi (nuovi) principi con la sua storica consapevolezza, con la sua secolare solidità mentale cementata nella superiorità tecnica. I punti di distacco in classifica, subito prima di Napoli-Juventus, non mentivano sulla condizione di Napoli e Juventus. Il campo ha evidenziato uno status esattamente opposto: la squadra di Gattuso ha mostrato di avere coscienza di sé, di ciò che può fare e di ciò che non è (ancora?) in grado di fare; gli azzurri non hanno cercato di dominare il gioco, piuttosto hanno provato ad addormentarlo, così la Juventus – una squadra compassata, nonostante sia allenata da Sarri – ha finito per chiudersi in un imbuto, solo alzando ritmo e frequenza delle proprie giocate avrebbe potuto trovare gli spazi per puntare davvero la porta di Meret. Il problema della Juventus vista al San Paolo è stato proprio questo: sono mancate velocità e imprevedibilità nella fase di costruzione avanzata e conclusione, in alcuni tratti della gara i bianconeri sono riusciti a giocare alti, a prendere possesso della metà campo del Napoli, ma il giro palla risultava lento e monotono, privo delle accelerazioni verticali necessarie per azionare i tre attaccanti puri schierati ieri sera da Sarri. Al 90esimo e nel postpartita che stiamo vivendo, le prospettive di Napoli e Juventus sembrano ribaltate rispetto a quindici ore fa: il Napoli ha delle nuove certezze, Gattuso ha individuato una strada che sembra la migliore per i giocatori che ha a disposizione, considerando anche gli arrivi del mercato; la Juventus, invece, ha interrotto un percorso di crescita evidente, la distanza con la squadra che Sarri ha in mente è apparsa ancora molto ampia, magari si tratta di una sensazione momentanea, che si esaurirà con la prossima partita, ma una sofferenza tattica così evidente non può passare e non passerà inosservata dalle parti di Vinovo.
Cosa ci ha detto il derby di Roma
Le parole di Simone Inzaghi nel postpartita di Roma-Lazio 1-1 («Mi aspettavo di più, mi tengo stretto questo punto sofferto») dicono tanto, se non tutto, rispetto a ciò che è avvenuto ieri pomeriggio allo Stadio Olimpico. La Roma avrebbe meritato di vincere, è scritto nelle statistiche ed è una percezione non negoziabile per chi ha visto la partita; la Lazio, invece, non ha saputo andare oltre un – inevitabile, fisiologico – momento di flessione dei suoi uomini migliori, a cominciare da Immobile, Luis Alberto, Milinkovic-Savic. Il fatto che però anche una partita del genere si sia conclusa con un pareggio ha un significato profondo nell’analisi di Roma e Lazio: la squadra di Fonseca è figlia di un progetto ambizioso, prova ad attuare tattiche di gioco ricercate e sempre diverse, è inclusiva perché è ritagliata addosso a tutti i giocatori della rosa (ieri, per esempio, Santon è stato uno dei migliori in campo), ma pecca ancora per cinismo ed esperienza nella gestione di alcune fasi del match. Inzaghi e i suoi uomini, invece, hanno costruito la loro splendida stagione proprio sulla conoscenza reciproca e del contesto, sanno navigare e anche uscire indenni dalla tempesta, lo dimostrano i tanti gol segnati nei minuti finali e il risultato di ieri, immeritato e forse per questo ancora più prezioso. La classifica non mente quasi mai, e ieri abbiamo visto come Roma e Lazio occupino il posto che meritano in classifica: sono subito dietro la Juventus e l’Inter, sono due squadre forti, ricche di qualità, costruite in tempi e con approcci differenti, dovranno lottare tra loro e contro altri avversari per entrare in Champions League, ma hanno i valori e la consistenza per riuscirci.
La sintesi della sfida dell’Olimpico
L’Inter ha pagato i propri errori, compresa la rabbia
Il gol con deviazione di Nainggolan che ha fermato l’Inter 1-1 a San Siro è stata la miccia del vulcano d’ira nerazzurro. Prima della rete del belga, però, Sensi, Lukaku e Lautaro avevano fallito alcune clamorose azioni da gol, sciupando più volte l’occasione di raggiungere il doppio vantaggio. Sempre nel primo tempo, l’Inter era sembrata molto più in palla del Cagliari, che comunque fosse andata, anche perdendo, avrebbe meritato i complimenti per la performance tattica e il coraggio mostrato nella ripresa. Il post partita concitato con le urla di Lautaro, Conte e D’Ambrosio, dimostra che l’Inter pensava di aver perso punti pagando errori non suoi, almeno non del tutto. Al contrario, la frustrazione dei giocatori – e di Conte in primis – è probabilmente quella di chi si rende conto, in cuor suo, di aver sbagliato troppo. Il Cagliari si è difeso bene ma non sempre è riuscito ad arginare gli attacchi nerazzurri, soprattutto nel primo tempo. L’Inter, con più lucidità, probabilmente, avrebbe segnato più di una sola rete, risparmiandosi il saloon del 94′. Adesso le ripercussioni di Inter-Cagliari andranno per forza oltre la partita di ieri: dai punti persi (anche se il risultato di Napoli-Juve ha alleggerito un po’ la delusione) alle squalifiche e al caos che vivrà l’ambiente nerazzurro. In sostanza, l’Inter esce nervosa e con un risultato insufficiente, l’1-1 di San Siro è il terzo pareggio consecutivo per Conte e i suoi uomini e questa striscia dimostra che c’è qualcosa non va, magari solo superficialmente. Ora c’è la Coppa Italia: come ha mostrato la recente settimana del Napoli, può essere una medicina ideale per guarire il mal di testa di Inter-Cagliari.