Perché l’acquisto di Eriksen è così importante, per l’Inter e per la Serie A

Un'operazione che potrebbe avere un grande impatto.

Qualche giorno fa, José Mourinho ha spiegato quanto fosse stato «poco carino» dover gestire una situazione complessa come quella di Eriksen a pochi giorni dalla chiusura del mercato invernale. «Queste cose», ha aggiunto Mou, «non dovrebbero capitare il 25 gennaio. E non è colpa del Tottenham». L’ultimo passaggio è fondamentale, da qualsiasi punto di vista: il tecnico portoghese difende ovviamente la sua società, sottolinea come la dirigenza degli Spurs sia stata costretta ad accettare un’operazione a certe condizioni, così da non perdere il giocatore a parametro zero. In pratica, scarica tutte le responsabilità su Eriksen, sulla sua scelta di non rinnovare il contratto con il Tottenham e di trasferirsi subito all’Inter. Proprio questo aspetto è estremamente significativo: un giocatore di enorme e riconosciuta qualità ha deciso di lasciare una delle squadre più ricche della Premier League, quindi del mondo (il Tottenham è ottavo nelle Deloitte Money League 2020, con un fatturato di 521 milioni di euro per la stagione 2018/19), poi ha forzato la trattativa per unirsi il prima possibile a un club di Serie A, una lega oggettivamente inferiore a quella inglese dal punto di vista finanziario.

Sarebbe sbagliato, però, espandere troppo il significato di questo trasferimento: l’acquisto di Eriksen è una vittoria politica e strategica dell’Inter. Il calcio italiano e la Serie A c’entrano relativamente, anzi non c’entrano nulla. Piuttosto vanno evidenziati i meriti di una società che, nel giro di pochi anni, è passata dalla violazione dei parametri del Fair Play Finanziario, e dal settlement agreement stipulato con la Uefa, a uno stato patrimoniale florido, rintracciabile nei numeri dell’ultimo bilancio – i ricavi sono cresciuti da 280 a 364 milioni di euro a cavallo delle stagioni 2017/18 e 2018/19, grazie alla qualificazione in Champions League dopo sette anni e all’aumento degli introiti commerciali.

Eriksen si è trasferito dall’Ajax al Tottenham nel 2013. Da allora, ha giocato 305 partite in competizioni ufficiali in sei anni e mezzo, con uno score di 69 reti realizzate (Alex Livesey/Getty Images)

L’Inter è riuscita a convincere un giocatore molto forte, e ancora relativamente giovane (compirà 28 anni il prossimo 14 febbraio), grazie alla forza e ai risultati e alle prospettive di un progetto che si è evoluto negli anni. E che ora è entrato in una fase per cui l’acquisto di un elemento dal grande appeal internazionale – secondo Transfermarkt, Eriksen ha un valore di mercato di 90 milioni di euro – è un’operazione che può essere progettata e imbastita e conclusa. Anzi, è un evento che si ripete nel tempo: sette mesi fa, infatti, i nerazzurri hanno rilevato il cartellino di Romelu Lukaku, il 26enne centravanti titolare del Manchester United, un giocatore che attualmente ha un valore di mercato di 75 milioni di euro. In virtù di tutto questo, gli aspetti più strettamente tattici legati all’acquisto di Eriksen diventano marginali. O meglio: l’affare concluso dall’Inter va valutato secondo una prospettiva più ampia, nasce come operazione politica che dopo, solo dopo, genererà un impatto sul campo. Il centrocampista danese, infatti, arriva in nerazzurro senza che esista un ruolo cucito su di lui nel sistema di gioco utilizzato finora; Conte dovrà modificare meccanismi e schieramenti per creare uno slot di gioco in cui inserire Eriksen, in un certo senso è stato limpidamente invitato a farlo.

È un segnale chiaro: piuttosto che un (altro) calciatore apprezzato e/o già conosciuto dall’allenatore salentino – il primo elemento che viene in mente in questo senso è Arturo Vidal –, l’Inter ha scelto di sfruttare al massimo una grande occasione offerta dal mercato, ha deciso di forzare il suo contesto interno, concludendo l’acquisto di un giocatore ancora spendibile sul lungo periodo, e di grande qualità, anche se forse non è compatibile, magari non lo sarà fin da subito, con il sistema di gioco della squadra. La qualità, poi, va di pari passo con la riconoscibilità: Eriksen ha uno status superiore rispetto a tutti i suoi nuovi compagni, forse solo Lukaku può essere considerato allo stesso livello del danese come posizionamento globale; il suo arrivo a Milano rende evidente il tentativo dell’Inter di accedere a un livello successivo, non solo per valore della rosa, ma anche per confermare un netto aumento dell’appeal sul calciomercato. È una sorta di meccanismo che si autoalimenta: l’acquisto di un grande calciatore come Lukaku ha portato a un deciso miglioramento dei risultati, un evento che a sua volta ha determinato una crescita del brand Inter – o almeno della percezione del brand Inter, soprattutto all’estero.

Guardando per un attimo oltre l’Inter, l’acquisto di Eriksen non può e non deve rinfocolare la retorica della Serie A che torna ad attirare grandi campioni stranieri. Però può rappresentare uno stimolo, una fonte d’ispirazione, per tutti gli altri club del campionato. La rinascita tecnica ed economica costruita dalla società nerazzurra negli ultimi anni, anche senza passare da grandi risultati sul campo, ha reso accessibile un grande colpo di mercato per potenziare la squadra in maniera mirata. Questa strategia ha retto e dato grandi risultati anche ad altri livelli, senza una proprietà economicamente solida come quella di Suning: degli esempi concreti riguardano il Napoli del 2013 con gli acquisti di Callejón e Albiol dal Real Madrid, la Roma del 2015 con Dzeko dal Manchester City, la Lazio del 2017 con Lucas Leiva dal Liverpool, la Juventus con i suoi grandi acquisti a titolo gratuito (Rabiot, Ramsey, Emre Can e Dani Alves dal 2016 a oggi).

Christian Eriksen ha giocato 95 partite con la Nazionale danese, con 31 gol segnati; ha disputato i Mondiali 2010 e 2016, e gli Europei 2012 (Michael Regan/Getty Images)

Alzare l’ambizione sul mercato diventa sempre più difficile, il calcio post-contemporaneo si regge su equilibri finanziari decisamente più stratificati rispetto al passato. Investire su giocatori di alta qualità, magari con un’età non troppo avanzata, permette però di compattare le spese, evitando così di ricorrere al mercato in entrata per alcune sessioni. In questo modo è più facile creare un’identità che a volte può andare anche oltre il progetto di un singolo allenatore – proprio Dzeko, per esempio, ha conosciuto cinque tecnici diversi nelle sue cinque stagioni a Roma, ed è stato sempre considerato un giocatore fondamentale, al punto che la scorsa estate ha rinnovato il suo contratto fino al 2022 nonostante avesse già compiuto 33 anni.

Non tutte le società hanno la disponibilità finanziaria per poter approcciare il calciomercato in maniera aggressiva, ma l’individuazione e l’attuazione di un modello economicamente sostenibile dovrebbero essere il preludio a un tentativo di crescita, dovrebbero stimolare a osare qualcosa in più. Non tanto nella quantità, piuttosto nella qualità delle operazioni. È questa la chiave per comprendere l’eccezionalità del passaggio di Eriksen all’Inter, proprio in relazione agli altri trasferimenti conclusi dal club nerazzurro in questa sessione invernale. L’arrivo del centrocampista ex Tottenham individua e determina la grandezza attuale dell’Inter; Moses e Young servono a completare la rosa, ad ampliare le alternative a disposizione di Conte, ma sono e resteranno parte del supporting cast. Di Lukaku, di Lautaro. E di Eriksen, anche se non è ancora sceso in campo. Eppure l’Inter del futuro, affamata e ambiziosa, è già costruita intorno a lui.