Colin Kaepernick sta lottando contro l’oblio

Le sue proteste contro le discriminazioni l'hanno escluso dalla NFL: un estratto del libro "Stand Up, Speak Out. Storia e storie di diritti sportivi negli Usa".

Sguardo al cielo, mano destra sul cuore. Quello dell’inno nazionale è un momento solenne nel prepartita di qualunque sport americano. Un momento condiviso da tutti. Giocatori in campo, allenatori, tifosi sugli spalti. Il gesto di Colin Kaepernick, che sceglie di non seguire il protocollo, inginocchiandosi mentre suonano le note di The Star-Spangled Banner – letteralmente, “la bandiera adorna di stelle” – segna uno spartiacque nella sua carriera, che da quel momento non ha più nulla di lineare. Perché il nativo di Milwaukee non tornerà più sui campi della National Football League. Ma è un punto di rottura anche nella storia della NFL stessa, nella tradizione e nello sport americano. Soprattutto, è l’inizio di una nuova era nella lotta per i diritti della comunità afroamericana e, più in generale, per i diritti civili negli Stati Uniti. Un atto di dissenso silenzioso, sommesso, volutamente pacato. Almeno all’inizio. […]

La protesta di Kaepernick tocca nel modo più diretto possibile una delle criticità più attuali e sensibili della realtà statunitense. Una realtà che quotidianamente mette in pericolo la vita dei neri d’America. Un articolo pubblicato proprio in quei giorni, nell’estate del 2016, dal Washington Post racconta che negli States «se sei nero, uomo o anche solo un ragazzino, c’è una possibilità su mille che tu venga ucciso dalla polizia». Che è una probabilità quasi due volte e mezzo più alta rispetto a quella che tocca ai bianchi. […]

Intanto, all’interno della NFL la protesta di Kaepernick inizia finalmente ad assumere il peso che le spetta. Anche perché il numero di atleti che sceglie di inginocchiarsi durante l’inno cresce giorno dopo giorno. Il commissioner della lega, Roger Goodell, a stagione ormai iniziata, dichiara: «Non sono necessariamente d’accordo con quello che sta facendo. Sostengo i nostri giocatori quando vogliono vedere un cambiamento nella società, e non viviamo in una società perfetta». Poi, però, completa il pensiero con un tono diverso, tradendo una lettura quantomeno parziale di quel che sta accadendo nel suo ‘regno’: «Crediamo moltissimo nel patriottismo nella NFL, io personalmente ci credo fortemente». […]

La protesta di Kaepernick dura fin quando non scade il suo contratto con i 49ers e rimane senza squadra nonostante si tratti tecnicamente di un quarterback affermato, con esperienza e qualità più che riconosciute in NFL. Il tutto mentre, paradossalmente (o forse no), al suo posto riescono a trovare posto nella lega pari ruolo come Mark Sanchez, Mike Glennon, Josh McCown ed EJ Manuel, unanimemente considerati meno quotati. […]

A inizio 2019 – un anno dopo aver portato la NFL in tribunale accusando di collusione le 32 franchigie per essersi coalizzate contro di lui, alzando un muro che gli rendesse impossibile trovare una squadra – “Kap” riesce ad ottenere un risarcimento: la cifra non viene mai divulgata ufficialmente, ma dovrebbe essere tra i 60 e gli 80 milioni di dollari secondo le fonti citate da Bleacher Report. Forse è più di quanto lui stesso, quarterback che ha giocato il Super Bowl del 2013 da titolare per San Francisco, avrebbe mai guadagnato in una carriera senza questa crociata. […]

Il 10 ottobre di quello stesso anno, Jeff Nailey, agente di Kaepernick, dichiara di aver contattato ogni singola franchigia per offrire un provino al suo assistito. L’esito è scontato: l’unica risposta ricevuta è il silenzio. Un mese dopo, però, la NFL annuncia un workout del quarterback per dimostrare che nessuno gli ha ‘ufficialmente’ chiuso la porta in faccia. La notizia sorprende tutti, tranne Kaepernick, che aspetta questo momento da troppo tempo: «È da tre anni che sono pronto fisicamente e mentalmente. Non vedo l’ora d’incontrare gli head coach e i General manager», è la sua risposta.

Kaepernick ha giocato dal 2011 al 2016 nei San Francisco 49ers; ha disputato il Super Bowl del 2012 (Ezra Shaw/Getty Images)

La lega di football, però, ha programmato tutto in modo tale da mettere in difficoltà “Kap”, per ridurre al minimo le possibilità di un esito positivo e allontanare l’interesse degli scout. Innanzitutto, la NFL stabilisce insindacabilmente data, location e modalità: sabato 16 novembre – quindi con soli quattro giorni di preavviso – , ad Atlanta, con degli esercizi praticamente improvvisati. Che arrivasse davvero preparato era praticamente impossibile.

Tuttavia, a pochi minuti dall’inizio dell’allenamento è Kaepernick a sorprendere tutti. O meglio, è il suo entourage, decidendo di disertare il workout proposto dalla NFL per tenerne uno alle sue condizioni, sempre ad Atlanta e completamente aperto ai media. Tra le motivazioni di quella scelta ci sarebbe la scarsa trasparenza dimostrata dalla lega su tutta l’organizzazione: era stato vietato a media e qualunque tipo di film crew indipendente di partecipare. Anche in questo caso tutto si conclude in un nulla di fatto. Nessuna delle 32 franchigie si offre di aggregarlo al suo roster. Il 22 novembre successivo, quando ormai è chiaro che la sua carriera in NFL non riprenderà, lo scrittore Ta-Nehisi Coates pubblica un articolo di opinione sul New York Times in cui spiega che Kaepernick «non sta lottando per trovare un lavoro, ma sta lottando contro l’oblio».

Claudio Pellecchia, Alessandro Cappelli
Stand Up, Speak Out. Storia e storie di diritti sportivi negli Usa
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