Gazprom fa politica con il calcio

Il colosso russo del gas non ha niente da vendere, a differenza degli altri sponsor, eppure ha tutto da guadagnare.

Da quando il mercato delle sponsorizzazioni ha inglobato il mondo dello sport, e il calcio in prima linea, non è più una sorpresa vedere i contratti dei club con aziende dai fatturati plurimiliardari crescere di anno in anno e andare a rappresentarne in percentuali sempre più estese i ricavi. I giganti dei settori automobilistico, della telefonia e dello sportswear – da Samsung a Chevrolet passando per Nike e Adidas – arricchiscono da anni con i loro brand il marketing delle squadre di calcio, e il loro obiettivo è in termini essenziali molto semplice: accrescere le dimensioni del proprio mercato, ricordare a centinaia di milioni di potenziali clienti la propria immagine – e quindi la propria esistenza – e vendere loro un prodotto.

L’aspetto che distingue Gazprom dalla stragrande maggioranza degli altri sponsor, tra cui quelli menzionati sopra, risiede nel fatto che non ha l’ambizione di pubblicizzare il proprio marchio a fini commerciali, o comunque non direttamente. Se l’acquisto di un paio di scarpe, di una automobile, o di un biglietto aereo può essere in qualche modo condizionato da ciò che vediamo scritto o raffigurato sulle maglie dei top club, lo stesso non si può dire per quando scegliamo da chi far riscaldare e illuminare le nostre case o i nostri uffici. Che senso ha, alla luce di questa logica, l’impegno di un’azienda che si occupa della lavorazione e della fornitura di un bene primario nella veste di sponsor di squadre di calcio – o persino di competizioni internazionali e intercontinentali? È la domanda che sorge quando ci si interroga sulle ragioni della presenza di Gazprom, da quasi trent’anni leader incontrastato del settore energetico russo, nel mondo del calcio.

Contro la logica che giustifica le sponsorizzazioni milionarie dei brand globali, infatti, Gazprom è entrata nel calcio all’inizio degli anni Duemila e non ne è più uscita – ampliando anzi di stagione in stagione la propria sfera d’influenza. È iniziato tutto nel 2005 con l’acquisto dello Zenit, prima pietra di una storia di successo costruita di fatto da zero. Ha investito cifre monstre sulla programmazione sportiva e per costruire il nuovo stadio – la Gazprom Arena – e in quindici anni ha portato a San Pietroburgo cinque titoli, due coppe e quattro Supercoppe nazionali, più una Europa League nel 2007 ed una Supercoppa Europea l’anno successivo.

Nel 2007 è stata invece la volta dello Schalke, nelle cui casse vengono tutt’ora versati circa trenta milioni di euro ogni anno, mentre nel 2010 è arrivato il maxi-investimento dell’azienda in Serbia, dove è stato raggiunto un accordo a Belgrado con la Stella Rossa. E Gazprom è andata persino oltre. Nel 2012, oltre a diventare global energy partner del Chelsea, ha stretto una partnership con la Uefa, diventando con Mastercard, Heineken e gli altri uno degli sponsor di cartello della Champions League e della Supercoppa Europea. Infine, con i Mondiali del 2018, è arrivato anche l’agognato salto a livello globale. Un percorso a tappe che in appena quindici anni ha portato il nome della compagnia sotto gli occhi e nelle orecchie di decine, centinaia di migliaia di persone. E ancora una volta è lecito chiedersi: a quale scopo?

Per capire cosa abbia spinto Gazprom a cercare uno spazio nella vetrina del mondo del calcio serve andare oltre il diretto interesse commerciale e puntare più attentamente i riflettori sulla sua natura. Nel caso di Gazprom infatti non è soltanto il prodotto sponsorizzato in sé ad essere diverso, ma anche la struttura dell’azienda stessa, che oggi è di nome (Public Joint Stock Company Gazprom) e di fatto un ente parastatale. Una parte del suo valore lo possiedono gli azionisti, ma la maggioranza è di proprietà di un dipartimento del ministero dell’economia russo, per il quale Gazprom – che possiede il 16% delle risorse di gas naturale globale, la riserva più ampia, e dà lavoro a centinaia di migliaia di persone – è naturalmente un asset strategico dal valore inestimabile. Parliamo infatti di una delle aziende più grandi al mondo: secondo la rivista Fortune, che ogni anno mette in fila i cinquecento gruppi più ricchi, Gazprom è al 42esimo posto con un fatturato di circa 130 miliardi di dollari annui.

Non è per niente esagerato affermare che l’azienda sia a tutti gli effetti un braccio operativo dello stato. Alexey Miller, lo storico CEO di Gazprom, è rinomatamente vicino al Presidente Vladimir Putin, e in passato ha ricoperto il ruolo di viceministro al ministero dell’energia russo. E Miller non è nemmeno l’esempio più calzante, se si considera che anche Dimitry Medvedev, uomo chiave nella politica russa del Ventunesimo secolo e l’unico oltre a Putin ad aver ricoperto la carica di Presidente federale negli ultimi vent’anni, ha avuto un ruolo di primo piano in Gazprom. Più in generale è sufficiente consultare l’elenco dei vertici dell’azienda per trovare di riga in riga i nomi dei più alti ufficiali del governo russo degli ultimi tre decenni. Gazprom, insomma, è un volto della Russia; e i loro interessi sono in realtà uno solo.

Se si assume che la finalità dell’azienda era ed è quello di incrementare la reputazione del proprio marchio al fine di esportare più gas, e quindi di aumentare le proprie dimensioni e il rapporto di dipendenza degli stati a cui fa da fornitrice nei propri confronti, ne viene fuori che la propria influenza in Europa ha e soprattutto aveva fino ad alcuni anni fa degli ampi margini di crescita. Lungi da essere causale, ha spiegato il sito americano Vox in un bel documentario sul tema, l’accordo di Gazprom con lo Schalke di cui si diceva sopra si lega strettamente alla necessità della Russia di esportare gas in maggior quantità nel continente, e soprattutto a quella di trovare un’alternativa al passaggio dei suoi gasdotti attraverso l’Ucraina. L’opportunità che si profilava ad inizio anni Duemila era rappresentata dal Nord Stream, il gasdotto (poi realizzato e attivo dal 2011) che passava dal Baltico per arrivare direttamente in Germania – ed eccoci allo Schalke, squadra di Gelsenkirchen, città chiave per il settore energetico tedesco.

Una logica molto simile sta dietro alla sponsorizzazione della Stella Rossa: sempre nell’ottica di bypassare l’Ucraina, infatti, Gazprom ambiva a far arrivare un secondo gasdotto in Serbia attraverso il Mar Nero. «Essere in vista attraverso una sponsorship nel mondo del calcio», ha scritto Mac Schneider su Vox, «è un ottimo mezzo per evitare la cattiva pubblicità ottenendo l’approvazione sul campo attraverso i risultati». E di cattiva pubblicità di cui liberarsi Gazprom ne ha eccome, specialmente di questi tempi: secondo un articolo di Science Mag, risalente al 2016, l’azienda russa era nel 2013 la seconda al mondo per emissioni annue di CO2, e se a questo dettaglio si aggiunge la reputazione traballante del brand Russia nel continente, dovuta ai retaggi di decenni di sottointesa ostilità tra i blocchi sovietico e occidentale, il risultato è che Gazprom aveva ed ha tutto l’interesse ad accrescere il proprio appeal in Europa.

Non solo: secondo Simon Chadwick, che all’Università di Salford si occupa di sport e business, un elemento chiave è il fatto che il calcio rappresenta fisicamente un canale in grado di facilitare la diplomazia. «I box che ospitano gli sponsor durante le partite di Champions», ha scritto Chadwick sul South China Morning Post, «sono posti intriganti, spesso popolati da ex calciatori, celebrità, e soprattutto politici e autorità pubbliche». Quale modo migliore per il manager di una grande azienda di vedersi informalmente con un influente decision-maker, se non sulle tribune di uno stadio in cui va in scena lo sport più popolare al mondo?

Certamente Gazprom non è stato l’unico caso della sua specie, quello di uno stato che entra indirettamente nel mondo del calcio in veste di sponsor. Negli ultimi anni Fly Emirates, Etihad e Qatar Airways hanno fatto la loro comparsa come main partner dei maggiori club europei, sia quelli “artificiali” che quelli storici: dal Psg al Manchester City, passando per Barcellona, Real Madrid e Arsenal, in tantissimi hanno beneficiato del contributo dei colossi dell’aeronautica tra Dubai, Emirati Arabi Uniti e Qatar. Le loro mire vanno evidentemente oltre la vendita di qualche migliaio di biglietti aerei in più ma il caso di Gazprom è eccezionale nel senso letterale del termine, perché a differenza delle compagnie aeree non ha davvero mai avuto nulla da vendere a tifosi e appassionati di calcio. Se è lì, insomma, è soltanto per una ragione geopolitica: il posizionamento in Europa della Russia, e la sua reputazione. E allora, come suggeriva Chadwick in un pezzo più datato su The Conversation, attività di questo tipo dovrebbero essere sufficienti per chiarire una cosa: che chi pensa al calcio come fosse ancora solo un gioco si sbaglia, e si sbaglia ogni giorno di più.