Storia dei capelli dei calciatori dagli anni Novanta a oggi

Le pettinature più famose, i trend più diffusi, le icone di ogni periodo: come i look dei calciatori hanno scandito le epoche, anche fuori dal campo.

Negli anni Novanta il calcio prosperò in un modo inimmaginabile soltanto poco tempo prima. Tutto divenne commercializzabile: c’erano le pay tv che offrivano le partite in diretta, i club che cominciavano a spingere il merchandising ufficiale, giocatori che davano il proprio nome a una scarpa. Mentre il calcio cambiava, anche la sua immagine doveva adattarvisi.

Il giornalista americano Roger Bennett ha così raccontato quella trasformazione: «Prima di Beckham, i calciatori erano adorati da uomini quarantenni a cui piacevano anche le corse di cani e la Rugby League. Lo stesso calcio inglese negli anni Ottanta era qualcosa di troglodita, medievale, una cultura hooligan basata su rivalità locali. Negli anni Novanta, con la nascita della Premier League, divenne un fenomeno globale. Ma la lega aveva bisogno di una faccia, e quella faccia doveva essere inglese. Beckham era una delle stelle del campionato. Forse non la migliore, ma di sicuro quella dall’aspetto migliore».

Improvvisamente, i calciatori sono stati travolti da una sovraesposizione mediatica. La loro immagine, da secondaria che era, ha cominciato a rappresentare un asset del successo planetario di ciascuno di loro. Il loro look doveva essere un punto di forza, il loro stile, i loro vestiti e anche i loro capelli. «Negli ultimi quindici anni è cambiato un po’ tutto», dice Gianluigi Gargaro, hair stylist di Aldo Coppola che negli anni ha curato il look di alcuni tra i calciatori italiani più importanti. «Una volta i calciatori che avevano un taglio particolare erano quattro o cinque. Baggio e il suo codino, per esempio. Poi c’è stata questa esplosione di chiome, direi, discutibili. I calciatori, nel frattempo, sono diventati tamarri».

Metà anni ’90

Gli anni Novanta sono un periodo di transizione, e sono quelli che definiscono il calcio per come lo conosciamo e intendiamo oggi. Inevitabilmente, la televisione gioca un ruolo fondamentale: tutto diventa alla portata di tutti, si possono guardare tutte le partite, e tutte in diretta, le telecamere si sono moltiplicate, come in un colossal dal budget spropositato. Si arriva persino a riprendere solo e soltanto un giocatore, un’idea balzana e presto abbandonata che all’epoca, però, suonava come un’innovazione che arrivava chissà da quale futuro, un modo di mostrare le infinite possibilità del mezzo. La nascita di competizioni come la Champions League e la Premier League – con un proprio marchio, un inno, un processo di branding forte e rivoluzionario per quegli anni – aveva riconsiderato il calcio come uno show, spettacolo in piena regola.

Alla luce di queste repentine trasformazioni, i calciatori cominciano a fare i conti con il loro aspetto. La televisione li assurge a personaggi mediatici, i brand cominciano a sfruttarne l’immagine per dilatarne la presenza su numerosi mezzi di informazione. Alcuni colgono prima di altri il processo in atto, altri, i più attempati, rimangono indifferenti alla trasformazione. È il motivo per cui, sfogliando gli album di figurine di quel periodo, capita che nella stessa squadra ci siano giocatori che sembrano i padri di altri.

I calciatori più cool si lasciano crescere i capelli, senza barba oppure definita con precisione, come fa Alessandro Del Piero. I capelli spesso sono lunghi e disordinati, un po’ come li porta Gabriel Batistuta: volto nuovo e subito iconico della Serie A, e quei capelli svolazzanti saranno il suo marchio di fabbrica, come e più della mitragliatrice che, negli anni del Trap sulla panchina della Fiorentina, diventa la sua inconfondibile esultanza. Capelli lunghi e scompigliati come quelli delle rockstar, e infatti gli anni Novanta sono l’ultima propaggine del rock loud e ribelle, ancora pienamente agganciato allo spirito dei decenni precedenti, seppur mutato sotto forma di nuovi generi. Dal decennio successivo, con l’ascesa impetuosa dell’hip-hop che relega le rockstar a figure sorpassate, anche i calciatori dovranno fare i conti con uno scenario in rapida evoluzione.

Inizio 2000

Così, dai capelli lunghi, i calciatori cominciano a rasarsi completamente. È quello che fa anche David Beckham che, certo, fa storia a sé – è uno di quelli che impone nuovi stili, e infatti lo ritroveremo spesso. Beckham coglie un aspetto fondamentale: il look è importante almeno quanto cambiarlo, nei tempi e nei modi giusti. Da rasato, Beckham segna lo straordinario calcio di punizione contro la Grecia che manda l’Inghilterra ai Mondiali del 2002: è l’immagine che spazza completamente quella di tre anni prima, quando in Francia lo Spice Boy si era fatto espellere contro l’Argentina negli ottavi dei Mondiali, diventando per tutto il Paese il colpevole massimo dell’eliminazione. Un look da combattente – il suo vecchio compagno di squadra Roy Keane ci è sembrato molto più Roy Keane, quando ha preso a rasarsi – forse anche per togliersi di dosso quell’immagine di star viziata, troppe mèches e troppo Hollywood, «due barboncini troppo curati» quando paparazzato insieme a Victoria.

Le varianti sono ben accette e incoraggiate – nell’agosto 2000 lo stesso Beckham ci provò con un taglio da mohicano, ma finì per attirarsi le ire di sir Alex Ferguson. Nel 2015 l’ex United raccontò: «Ero seduto nello spogliatoio con un cappello in testa, Ferguson non mi aveva ancora visto. Ovviamente tutti aspettavamo il momento in cui mi sarei tolto il cappello. Mancava un’ora alla partita, e quando Ferguson mi vide disse: “Vatti a rasare completamente”. All’inizio dissi di no, ma nel momento in cui vidi la sua faccia cambiare corsi in bagno e mi rasai a zero».

Ma la variante regina e inimitabile di quell’inizio degli anni Duemila fu solo una: la mezzaluna di Ronaldo, esibita ai Mondiali del 2002 – quelli che decise lui, con otto gol di cui due in finale, e che gli valsero la vittoria del secondo Pallone d’Oro. Come nel caso di Beckham, anche per il brasiliano i capelli divennero pretesto per qualcos’altro: «In quel periodo ero al 60 per cento della condizione, tutti parlavano solo di questo e del mio infortunio. Così decisi di tagliarmi i capelli in un modo diverso dal solito. Il giorno dopo, all’allenamento, tutti smisero di parlare dell’infortunio concentrandosi sul mio taglio. E fu così fino alla fine del torneo. Anche se ogni volta che vedevo un bambino con quel taglio di capelli mi disperavo».

Metà 2000

E i capelli lunghi? Nei primi anni del Duemila non scomparvero del tutto, ma si evolsero. La zazzera ribelle era diventata palesemente fuori moda, ma non per questo non poteva essere raffinata e perfezionata. I ciuffi accapigliati divennero delle capigliature pettinate e composte, spesso inquadrate elegantemente in una fascetta – l’item supremo degli anni Duemila su ogni campo da calcio, a qualsiasi categoria. «In quegli anni» ricorda Gargaro, «i calciatori smisero di andare dal classico barbiere e presero a frequentare gli hair stylist». Gli esempi nostrani di quel periodo – Buffon, Totti e Vieri su tutti – hanno definito per gli anni a venire l’iconografia del calciatore italiano, diffondendosi a macchia d’olio su un numero costantemente in crescita di adepti. È il motivo per cui, in ogni campo da calcio di provincia, ancora oggi, il vecchio attaccante ultratrentenne, prossimo ai quaranta se non oltre, custodisce gelosamente il look capelli lunghi più fascetta. È l’appiglio ultimo per sentirsi calciatore importante, e di categoria superiore.

Nel 2003, in concomitanza con il passaggio al Real Madrid, anche David Beckham si materializza in una nuova versione dai capelli lunghi come mai gli era successo, spesso raccolti. Respinta con infamia la strada del taglio da mohicano, Beckham arrivava dal fauxhawk, che lasciava i capelli ai lati della cresta. Un taglio reso celebre ai Mondiali del 2002, e che in qualche modo ci riportava indietro con la memoria, al punk inglese anni Ottanta. Un taglio che di fatto non passò mai di moda: anzi, Beckham precorse i tempi, perché a cavallo degli anni Zero e Dieci il fauxhawk si riscoprì imperante nel mondo del calcio, riportato in auge in particolare dalla nuova icona glam del calcio mondiale: Cristiano Ronaldo.

Inizio 2010

Per tutto il nuovo decennio, Cristiano si impone come il volto di punta dell’industria calcistica. Le mèches e certe scelte estetiche rivedibili dell’adolescenza – come il vistoso maglione Versace, nel primo giorno da giocatore del Manchester United – sono state prontamente smantellate. È il periodo in cui il portoghese diventa CR7: il brand più forte del sistema calcio. Nel 2010, proprio mentre è impegnato nei Mondiali sudafricani, diventa padre, e affida la notizia ai social personali: il primo passo verso un consenso social vertiginoso. Da allora l’immagine pubblica di Ronaldo è coerente, con piccole e graduali evoluzioni del suo taglio per rimanere al passo con i tempi. Dal fauxhawk alla riga definita, con i capelli pesantemente gelatinati e pettinati tutti da un lato, da un breve ma sobrio accenno di mèches – niente a che vedere con quelle del 2003 – a un taglio molto corto, dalla doppia rasatura al codino dei giorni d’oggi.

«La differenza tra Ronaldo e Beckham», dice Gargaro, «è che il primo è più costruito, mentre Beckham era proprio così. Non l’ho mai visto, per esempio, curarsi le sopracciglia. E poi Ronaldo ha sempre fatto cose che avevano già altri, non si è mai lanciato in tagli rivoluzionari. Negli anni Novanta, quando facevo i primi servizi fotografici, c’erano gli stylist che dicevano “hai visto i capelli di Beckham?”. Adesso non mi chiedono certo di tagliare i capelli “alla Ronaldo”. Il codino che porta oggi, per dire, è qualcosa che facevo già vent’anni fa. Però va detto che Ronaldo è indiscutibilmente un’icona di riferimento, e negli anni ho notato una cosa: i ragazzi oggi si tagliano i capelli ogni due settimane, un tempo si faceva passare un mese, un mese e mezzo».

Nei primi anni del Duemiladieci, nel frattempo, sui campi da calcio si impone la cresta: diversa dagli anni di sperimentazione beckhamiana, perché in questa nuova “era mohicana” la cresta deve essere spessa, ben visibile e soprattutto deve svilupparsi il più possibile in altezza. Gli interpreti massimi giocano tutti in Italia: Balotelli, El Sharaawy, Hamsik. È un look che non dura tantissimo – negli anni successivi anche i più fedeli opteranno per soluzioni meno ardite, come il crestino di Vidal o i capelli ravviati all’indietro dello stesso Balotelli – ma negli anni di massima diffusione ha un impatto potentissimo: perché coniuga l’immagine del calciatore contemporaneo con un’indole un po’ spaccona. Non è un caso se El Shaarawy, dopo aver rinunciato alla cresta degli anni migliori, abbia detto, nel 2015: «Sono cambiato come persona, ho voluto dimostrarlo anche col taglio di capelli».

Metà 2010-oggi

Oggi la scelta ricade perlopiù sul doppio taglio. Con numerose varianti, i calciatori prediligono avere capelli corti o rasati sui lati e più lunghi sulla parte superiore. Gli esiti sono diversi: al naturale e un po’ spettinati come Neymar oppure ordinati come Giroud; decidendo di lasciarli molto corti come Sterling oppure più lunghi e schiacciati come Haaland. A volte la riga ben definita, su un lato, diventa l’asse portante del look, come nel caso di Mauro Icardi. Siamo andati verso una “normalizzazione” dei capelli da calcio. «Dopo tutto il “cinema” che c’è stato», dice Gargaro, «si ricominciano a rivedere le teste normali. La gente si è stufata, e anche le persone comuni hanno preso a tagliarsi i capelli in modi più semplici. Lo vedi anche sulle passarelle, non c’è più nulla di particolare».

Chi però sperimenta e non sbaglia un colpo è Paul Pogba: negli anni abbiamo visto le più svariate colorazioni, dal biondo platino al rosso al turchese, oppure veri e propri disegni, tra motivi animalier, simboli di Batman e stelle. Premiato anche da Gargaro: «Pogba in questo senso è stato il primo a farlo con un po’ di gusto, ad altri è scappata la mano. Se apri Google e passi in rassegna le teste di Pogba non puoi fare a meno di notare che siano tutte fighe. Non è mai eccessivo, o se lo è dici “beh, però è un taglio che gli sta bene”. Lo ricordo alla Juventus con una cresta di mezzo centimetro, che si percepiva leggermente, ed era una cresta molto figa. Era già il periodo in cui le creste erano belle che abbandonate, ma a lui stava benissimo. Ora lo vedo con un taglio sfumato, da marine, una ciocca un po’ colorata. Se devo pensare a un calciatore oggi veramente cool non me ne viene in mente nessuno tranne lui. Però il suo è un capello particolare, e non tutti possono imitarlo».