Giacomo Bonaventura e le occasioni perdute

Gli infortuni, le coincidenze negative e un contesto di squadra non ideale gli impediranno di essere ricordato tra i migliori centrocampisti italiani della sua generazione.

Quando riesce ad andare in campo, Giacomo Bonaventura dà sempre la sensazione di essere un tipo di calciatore che definiamo, solitamente, intelligente. Per come si muove e si fa trovare dai compagni, per come muove il pallone, per come lo controlla e lo sposta in spazi ridotti, in tempi rapidi. Magari non avrà la tecnica luccicante e onnisciente che appartiene ad altri centrocampisti della sua generazione – compirà 31 anni ad agosto –, e che permette loro di dominare le partite in maniera totale, come succede al 30enne Toni Kroos, al 28enne De Bruyne, al 29enne Thiago Alcántara. Però quando l’azione passa dai piedi di Bonaventura è quasi sempre destinata a progredire. Quantomeno, non regredisce.

Questa sua capacità di comprendere e cucire il gioco in maniera efficace è stata più volte spezzata, o perlomeno ridimensionata, da una crudele serie di infortuni e da altre occasioni perdute, per mancato tempismo, per sfortuna contestuale. Nel 2016, per esempio, è reduce da una buonissima stagione (sei gol e sette assist in 33 partite di campionato con il Milan), eppure Antonio Conte lo esclude dalla lista per gli Europei, preferendogli Sturaro, Parolo e Giaccherini. Dopo il torneo continentale, il nuovo ct Gian Piero Ventura lo schiera dal primo minuto in cinque delle prime sei partite della sua gestione. Poi però Bonaventura si lesiona un tendine – a febbraio 2017, contro l’Udinese – e perde lo status di titolare in Nazionale. Torna a giocare solo nell’annata successiva, è uno dei pochissimi superstiti nel Milan rivoluzionato da Yonghong Li, Fassone e Mirabelli, in poco tempo è di nuovo uno dei giocatori con il rendimento più alto nella rosa rossonera, solo che nel frattempo l’Italia non si è qualificata ai Mondiali. Mancini è il nuovo selezionatore, lo convoca di nuovo, lo schiera in sei occasioni, ma a fine ottobre 2018 Bonavantura si fa male al ginocchio, ed è costretto a chiudere con larghissimo anticipo un’altra stagione.

Bonaventura è stato un precursore, nel senso che la sua evoluzione tecnico-tattica ha tracciato una strada che poi sarebbe stata percorsa da altri calciatori. Nelle prime stagioni all’Atalanta e durante le due esperienze in prestito (Pergocrema e Padova, tra il 2009 e il 2010) gioca da trequartista classico, è un regista avanzato che fa della tecnica e dello spunto palla al piede la sua arma migliore. Dopo inizia a essere utilizzato come esterno, ma il suo non è un adattamento, piuttosto una naturale evoluzione: ama e sa stare all’interno di un sistema, non è un giocatore anarchico, e così il calcio moderno lo spinge sulla fascia, soprattutto quella sinistra, del resto i primi anni Dieci sono appartenuti agli esterni a piede invertito e lui ha le qualità giuste per convergere verso il centro del campo conducendo il pallone con il destro, puntare e saltare gli avversari, cercare la porta oppure servire gli attaccanti con precisione. Il cerchio si chiuderà nel Milan, quando diventerà mezzala. Secondo la sua pagina Transfermarkt, Bonaventura ha giocato almeno una volta in tutti i ruoli dal centrocampo in su, anche come esterno destro o attaccante puro. In un’intervista alla Gazzetta dello Sport, ha detto che «la specializzazione è una deriva sbagliata: ti aiuta a esplodere, ma poi devi variare, devi migliorare».

La trasformazione in mezzala è inevitabile, per un giocatore con queste caratteristiche: nel calcio contemporaneo, gli interni di centrocampo sono elementi estrosi, creativi ma anche molto mobili, vanno in tutte le direzioni, ricevono il pallone in zone interne ed esterne del campo e sanno lavorarlo per i compagni, oppure puntano la porta in prima persona. È l’identikit di Giacomo Bonaventura, che attraversa un’intera era geologica del club rossonero – viene allenato da Inzaghi, Mihajlovic, Brocchi, Montella, Gattuso, Giampaolo e ora Pioli – giocando soprattutto come interno di centrocampo. L’altra opzione è la fascia sinistra, esterno in un 4-4-2 o in un 4-3-3.

In questi ruoli, per diversi anni, Bonaventura è stato un’arma in più per il Milan. Solo che il Milan non gli ha offerto il palcoscenico migliore per imporsi ai massimi livelli. Bonaventura era un ottimo giocatore, non un fuoriclasse, e quindi è stato limitato dal contesto; non possedeva la qualità per decidere tante partite da solo, e allora avrebbe avuto bisogno di compagni con doti uguali se non superiori alle sue, in grado di comprendere e utilizzare il suo stesso linguaggio tecnico, di sfruttare le sue letture, i suoi passaggi, di poter assecondare i suoi inserimenti con i tempi giusti. Nella squadra rossonera, invece, l’intelligenza e il valore di Bonaventura non hanno quasi mai trovato le sponde migliori – se non in alcuni momenti sporadici. Il suo talento si è espresso, ma è come se fosse andato in gran parte sprecato, perché non c’era quasi nessuno pronto a raccoglierlo, a esaltarlo, cioè a sfruttarlo con continuità.

Bonaventura ha esordito in Nazionale nel 2013, in occasione di un test amichevole contro San Marino; da allora ha accumulato 14 presenze, ma non è mai riuscito ad andare a segno (Marco Bertorello/AFP via Getty Images)

Nelle sue migliori stagioni al Milan, all’apice della carriera, Bonaventura non buttava mai via il pallone. Trovava sempre il modo di fare ciò che aveva in mente, e spesso si trattava di idee non banali. La sua velocità di gambe e il suo controllo nello stretto lo rendevano eccellente nelle azioni in isolamento sulla fascia, quando doveva difendere il pallone, girarsi, aprire il gioco; allo stesso modo, aveva le capacità di puntare gli avversari in progressione, occhi negli occhi, spostando la palla con tocchi rapidi, ripetuti, come di attaccare perfettamente lo spazio libero per la conclusione.

C’è un gol contro il Bologna che è una sintesi delle qualità di Bonaventura: su una seconda palla, Giacomo si trova lontano dalla sua zona, sulla destra dell’area di rigore; Cahlanoglu lo serve bene, lui tocca una prima volta il pallone portandoselo in avanti per il destro, poi lo sposta altre due volte prima verso l’interno e poi di nuovo verso l’esterno, sempre con lo stesso piede; riguardando il video, i suoi movimenti non sembrano velocissimi ma sono imprevedibili, soprattutto l’ultimo, che disorienta completamente Nagy; a quel punto, Bonaventura ha lo spazio per calciare, ancora con il destro, e lo sfrutta benissimo. Il tiro è violento, finisce in rete nell’angolo opposto. Tra l’assist di Cahlanoglu e la conclusione sono passati circa tre secondi e mezzo. Meno di uno per ogni tocco di palla.

Il gol contro il Bologna

Se non ne avete memoria, basta andare su YouTube: è pieno di video in cui Bonaventura fa certe cose, certe giocate, in tantissime zone del campo, per superare gli avversari, per far evolvere le manovre di un Milan dal gioco affaticato, confuso. Oltre a queste azioni ci sono pure gli altri gol che ha realizzato, le situazioni in cui mostra di possedere un’ottima capacità di inserimento, e le qualità tecniche necessarie per sfruttarla in modi differenti – con il Milan ha segnato 34 volte, di cui sette con il piede sinistro e cinque grazie a un colpo di testa, una cifra importante per un giocatore che parte dal centrocampo o dall’esterno, che batte da fermo e quindi non va a saltare in area di rigore, che in ogni caso non supera i 180 centimetri di altezza.

Nonostante tutto, nonostante le sue doti, è praticamente certo che Bonaventura non sarà ricordato come un grande giocatore dalle generazioni del futuro. La sua vicenda da calciatore professionista potrebbe essere assimilata a quella di tanti attori che hanno speso la loro arte in film non proprio eccellenti, ma che poi sono stati rivalutati in età avanzata, perché magari quegli stessi film sono diventati di culto, o magati loro hanno saputo reinventarsi. Nel calcio non funziona così, il tempo è più limitato e certi limiti sono più definiti, inoltre i ricordi sono filtrati dai risultati. Il Milan degli anni Dieci non diventerà mai una squadra di culto, Bonaventura è stato l’uomo giusto forse nel posto giusto ma nel momento più sbagliato possibile, ha subito infortuni molto gravi in alcuni momenti molto decisivi, e ora ha iniziato a percorrere il pendio declinante della sua carriera. La sua generazione, soprattutto a centrocampo, non è stata molto ricca di talento. Lo spazio per diventare uno dei migliori centrocampisti italiani c’era, le qualità anche. È andata diversamente, solo che non possiamo prendercela con lui, né tantomeno con qualcun altro.