Un calcio diverso in un mondo diverso

Il primo weekend di Bundesliga dopo il lockdown ci ha mostrato uno sport che non poteva essere uguale a come lo ricordavamo.

Subito dopo aver segnato il primo gol del 26esimo turno di Bundesliga, Erling Haaland ha consegnato alla storia la foto di un’esultanza senza contatto con i compagni, l’istantanea di un balletto poco aggraziato che ha fatto in breve il giro del mondo. Non poteva essere altrimenti: è la prima rete dei grandi campionati europei dopo il lockdown, e ha anche mostrato come alcuni aspetti del calcio siano stati già evidentemente condizionati dai protocolli di sicurezza sanitaria, così come tutti gli altri aspetti della nostra vita.

Che ripartenza è stata? Le cinque sostituzioni – concesse in tre momenti diversi della partita – sono state l’unica modifica davvero rilevante per il gioco, tra l’altro si tratta di un provvedimento di cui si discuteva da tempo, e che era stato “anticipato” già due anni fa con l’introduzione del quarto cambio nei tempi supplementari delle gare a eliminazione diretta. Un discorso diverso va fatto per l’esperienza emotiva, che è stata stravolta dalla convivenza forzata con il virus. Una condizione che impone di preservare la salute di giocatori e tifosi, attraverso delle misure che servono pure a dare un esempio all’esterno, che contribuiscono alla costruzione di una routine con cui avremo a che fare a lungo.

La Bundesliga di questo weekend è stata un’estensione delle nostre vite quotidiane, ci ha mostrato come la nuova normalità che stiamo vivendo – e che ancora ci aspetta – sia fatta di accorgimenti e rinunce che ci colpiscono molto di più della felicità per ritorno al “mondo prima”. Ed è uno stato delle cose che riguarda tutti: riguarda i tifosi che non possono accedere allo stadio, ma anche i giocatori in campo che non possono abbracciarsi dopo un gol, gli allenatori, o le riserve in panchina che indossano la mascherina fin quando non iniziano a riscaldarsi, e non possono sedersi troppo vicini. Una serie di limitazioni e privazioni che non sono molto differenti da quelle che stiamo affrontando nella vita di tutti i giorni: del resto solo da lunedì 18 maggio possiamo rivedere senza problemi i nostri amici dopo più di due mesi, e in ogni caso non potremmo abbracciarli, toccarli, sentirli vicini come prima. Se ancora dobbiamo inventarci un nuovo modo di vivere la socialità, la Bundesliga ha mostrato un’anteprima di come sarà lo sport del post-pandemia.

L’atmosfera è stata inevitabilmente diversa: alcune abitudini storiche del calcio che ricordavamo sono sopravvissute ma sono sembrate surreali, per esempio l’utilizzo dei Torhymne, ovvero le canzoni che risuonano negli stadi dalle squadre dopo la realizzazione di un gol – ogni club tedesco celebra il momento con un brano diverso, per esempio il Bayern da quest’anno ha scelto “Galop Infernal“, il più famoso dei can can di Offenbach, dopo aver utilizzato “Seven Nation Army” dei White Stripes per molte stagioni. In uno stadio silenzioso, senza tifosi, gli impianti sonori hanno restituito un suono diverso, inevitabilmente più aperto, e dopo ogni rete la sensazione del telespettatore era quella di trovarsi al luna park, dove il tiro a segno o la casa dei misteri hanno il proprio altoparlante rivolto verso l’alto, e così la musica è destinata a rimbalzare nel vuoto.

Come per la gioia genuina delle esultanze, anche altre emozioni dei giocatori sono apparse smorzate dal contesto: pochi secondi dopo il calcio d’inizio della partita Colonia-Mainz, è stato assegnato un rigore alla squadra di casa; il fallo era netto, ma i difensori del Mainz hanno chiesto il riesame del Var per un possibile fuorigioco. Le proteste dei giocatori sono sembrate svuotate di pathos, esattamente come l’attesa per la decisione degli assistenti dell’arbitro, un’attesa anche abbastanza lunga, di circa tre minuti. Tutto è stato vissuto in maniera asettica, ordinata, come se l’assenza di stimoli dei tifosi sugli spalti avesse tolto foga ai giocatori in campo: se in precedenza capitava che accerchiassero il direttore di gara fino a non consentirgli di parlare tranquillamente con il Var, questa volta il signor Guido Winkmann è rimasto solo, lontano dai giocatori, sereno sotto il sole un po’ anomalo di Colonia. Ha interagito via auricolare con i suoi collaboratori e poi ha assegnato il rigore, perché in effetti il fuorigioco iniziale non c’era.

Lo straniamento che abbiamo provato, dunque, non riguarda il calcio in sé, piuttosto l’impatto del calcio sulle persone: su di noi, sui giocatori in campo, sugli altri professionisti coinvolti nelle partite. Anche perché le squadre più forti – il Bayern Monaco, il Borussia Dortmund e il Borussia Mõchengaldbach – hanno vinto come prima, l’hanno fatto in casa e in trasferta, sono comunque riuscite a imporre la qualità superiore dei loro giocatori. Tutto questo è rimasto inalterato, più o meno. Però abbiamo visto uno sport che nel frattempo è cambiato, perché è cambiato il mondo intorno allo sport: le partite sono diventate un evento depurato da e di alcune influenze esterne, e allora hanno generato emozioni diverse anche per chi le ha seguite davanti alla tv.

Nel calcio pre-pandemia, quello di sempre, il pubblico sugli spalti era l’obiettivo numero due per le telecamere: gli stacchi sulle facce dei tifosi erano una parte importante della rappresentazione, scandivano le pause, servivano a togliere per un attimo gli occhi dal campo, ad avvicinare il telespettatore a ciò che stava succedendo nello stadio. Seguire la prima giornata della nuova Bundesliga ci ha fatto sentire come osservatori professionisti, piuttosto che tifosi, concentrati solo sui giocatori e sul gioco, sentendo distintamente le voci degli allenatori, i fischi dell’arbitro: tutte cose nuove, che erano esistite solo temporaneamente per alcune partite a porte chiuse, un fenomeno che prima era legato alla punizione, e che toccherà trasformare in abitudine.

Uno steward dello stadio di Dūsseldorf disinfetta uno dei palloni utilizzati durante la partita del Fortuna contro il Paderborn: il protocollo sanitario della Bundesliga prevede che i palloni siano disinfettati prima della partita e durante l’intervallo (Photo by Sascha Schuermann/Pool via Getty Images)

Su tutto questo non è facile esprimere un giudizio, ce ne siamo accorti in questi ultimi giorni: aspettavamo il ritorno del calcio, eravamo curiosi di vedere come sarebbe andata, ma ognuno di noi aveva un’opinione diversa sulla scelta di ricominciare a giocare. Anche i nostri feed social, che di solito nelle discussioni politiche si trasformano in tribune schierate o addirittura radicali, in cui prevale una certa posizione rispetto alle altre, erano divisi; in molti non sapevano se giudicare positivamente il ritorno della Bundesliga, oppure dirsi favorevoli alla sospensione definitiva della Ligue 1, in attesa che anche gli altri campionati decidessero in merito al proprio futuro.

Questa incertezza è stata alimentata anche dal fattore-tempo: stiamo vivendo questo momento con la consapevolezza che prima o poi finirà, ma noi e il mondo del calcio non conosciamo la data di questa fine. Ci abitueremo a uno sport che si manifesta in maniera differente, è inevitabile, ma le partite di Bundesliga ci hanno mostrato un gioco e un intrattenimento che non conoscevamo: sono bastate poche ore di “nuovo” calcio per farci sentire, in tutta la sua evidenza, come se stessimo vivendo uno di quei campionati che gli almanacchi segnano con gli asterischi, perché sono stati interrotti, oppure si sono svolti con un format diverso, a causa di una guerra, o altre cause di forza maggiore.