Ralf Rangnick, un radicale per il Milan

Affidare la ricostruzione rossonera al tecnico tedesco vorrebbe dire accettare la sua figura totalizzante e la sua visione, senza compromessi.

«Il mio lavoro è migliorare i giocatori. Loro ti seguono se sentono che li stai rendendo migliori». È la frase che racconta Ralf Rangnick meglio di ogni altra cosa, e l’ha pronunciata lui stesso. D’altronde Rangnick è un uomo di calcio che intende il suo ruolo prima di tutto nella sua accezione maieutica, poi viene tutto il resto. Non è un caso che la dirigenza del Milan abbia pensato di portare in rossonero un profilo di questo tipo. Ormai è chiara l’intenzione di cambiare rotta da parte della società: il progetto di affidare la ricostruzione a due totem della storia del club, Boban e Maldini, è naufragato. Adesso bisogna ripartire, e bisogna farlo contenendo le spese. L’unica opzione percorribile è costruire un modello sostenibile – quindi riproducibile sul lungo periodo – di creazione di valore, a tutti i livelli: sportivo, economico, d’immagine.

Rangnick sembra la figura giusta per l’obiettivo della società rossonera: lo dice la sua storia, lo ha raccontato lui stesso in un articolo pubblicato da The Coaches’ Voice. La sua carriera si sviluppa su un arco temporale di quasi quarant’anni e ha quattro tappe fondamentali. La prima è quella che lui definisce «l’epifania», l’incontro con Valeri Lobanovski nel febbraio del 1983: Rangnick è il giovane allenatore del Viktoria Backnang – piccolo club di un borgo alle porte della Foresta Nera – che affronta in amichevole la Dynamo Kiev, una squadra costruita su un pressing sistematico che la rende diversa da quasi tutte le altre grandi squadre d’Europa.

Qualche anno più tardi incrocia la strada di Helmut Gross nelle giovanili dello Stoccarda. Gross è un ingegnere che ha deciso di studiare tattica e allenare, e usa un sistema di gioco che prende molto dal Milan di Sacchi. Da lì inizia una lenta scalata del calcio tedesco: porta l’Ulm in Bundesliga direttamente dalla terza divisione, poi passa allo Stoccarda; dopo un’esperienza con lo Schalke 04, accetta di tornare in terza divisione per guidare l’Hoffenheim, affiancato da Helmut Gross, e compie un altro capolavoro: in soli due anni è di nuovo in Bundesliga. Infine l’ultimo capitolo, iniziato nel 2012, con un ruolo da dirigente per le squadre europee controllate dalla Red Bull, Salisburgo e Lipsia. Il più grande manifesto del suo lavoro.

Nel 1998 Rangnick è l’allenatore del SSV Ulm, in Zweite Liga, e in una trasmissione della Zdf spiega su una lavagna magnetica i vantaggi del giocare con la difesa a quattro in linea in un 4-4-2. La Germania vive un’era calcistica in cui il libero è un elemento tattico ancora fondamentale e usato da tutti. Il soprannome “Professore” non è nato dal nulla, per Rangnick

Fin dal primo colloquio con i vertici dell’azienda austriaca, Rangnick ha imposto la sua visione, quella di un calcio ipercinetico, verticale, giocato sempre su rimi altissimi; vuole soprattutto un’identità radicale e radicata, la miglior rappresentazione possibile dell’energy drink su un campo da calcio. Ma il suo ruolo nel network delle squadre Red Bull va oltre il campo: la sua influenza e le sue idee si estendono anche al settore giovanile, allo staff medico, allo scouting, al mercato. Insomma, Rangnick vuole e ottiene potere decisionale in ogni ambito perché altrimenti, come dice lui stesso, «sarei capace di raggiungere solo la metà di quello che abbiamo programmato».

Il co-fondatore della Red Bull, Dietrich Mateschitz, lo lo ha assecondato in tutto, si è fidato ciecamente. E Rangnick lo ha ripagato creando un brand calcistico riconoscibile e funzionale: alla base ci sono gli investimenti di una realtà imprenditoriale ricca e ambiziosa, certo, ma si tratta di investimenti mirati, guidati da un progetto, e curati in ogni minimo dettaglio. Tutto ruota attorno alla visione di Rangnick, ne sono una prova anche i metodi di allenamento – ad esempio il countdown clock, che obbliga la squadra in possesso palla ad andare al tiro entro dieci secondi – e, soprattutto, lo sviluppo del talento, ovvero la parte principale del lavoro di Rangnick sul campo. Valorizzare al massimo il potenziale dei giocatori non è finalizzato solo al risultato, quindi a rinforzare la squadra, ma anche alla sostenibilità del progetto sul lungo periodo: negli anni le squadre della galassia Red Bull hanno acquistato e rivenduto giocatori come Mané, Naby Keita, Minamino, Haaland. I prossimi nomi in uscita dovrebbero essere Upamecano e Werner. Mentre l’ultimo arrivato è Dani Olmo, un giocatore con prospettive brillanti che a Lipsia potrebbe moltiplicare il suo valore di mercato.

Ralf Rangnick ai tempi dell’Hoffenheim, durante un camp invernale sull’isola spagnola di La Manga; ha allenato il club di Sinsheim dal 2006 al 2010, prima della seconda avventura allo Schalke e di entrare nell’universo Red Bull (Jasper Juinen/Getty Images)

Un elemento fondamentale nella visione di Rangnick è l’estrema fiducia nella bontà del suo progetto. Lo spiega un vecchio articolo del New York Times in due istantanee, un prima e un dopo. Nella primavera 2013 Rangnick sta chiudendo la sua prima stagione da dirigente della Red Bull nei bassifondi del calcio tedesco in Regionalliga (quarta divisione), la promozione è a un passo. È in una stanza d’albergo a colloquio con uno dei suoi attaccanti, Yussuf Poulsen. Azzarda una previsione: nel giro di tre anni il Lipsia sarà in Bundesliga. Quelle parole suonano qualcosa di arrogante: tre stagioni per passare dai campi di periferia della Germania Est al confronto diretto con Bayern Monaco, Borussia Dortmund e Schalke 04. La seconda istantanea è dell’estate 2016. Poulsen e compagni si preparano alla sfida contro l’Hoffenheim, per la loro prima stagione al vertice della piramide calcistica tedesca. Il futuro, esattamente come e quando lo aveva previsto Rangnick, era arrivato.

Questa fiducia nei suoi mezzi, per l’uomo da Backnang, non è solo la cifra stilistica che ne traccia il profilo umano e psicologico. È il migliore degli attrezzi da lavoro per chi vuole – anzi, deve – avere il controllo di tutto. Per realizzare la sua visione, però, è importante che sia supportato a tutti i livelli nel club, dall’amministrazione alla squadra. E dovrà farlo anche il Milan se vuole affidargli la direzione tecnica. Ma ci sono alcuni ostacoli che si possono intuire già adesso. La società dovrebbe proseguire con la spending review vista negli ultimi tempi e non potrà permettersi di modificare la rosa a piacimento per assecondare tutte le richieste del tedesco; inoltre l’intera architettura societaria, con ruoli e responsabilità, dovrebbe essere ritoccata. Sono i motivi che, in buona sostanza, ha portato alla rottura con Boban e Maldini, che fin dall’inizio avrebbero messo il veto su una figura totalizzante come Rangnick.

Rivedere tutti i gol realizzati in Bundesliga da Timo Werner nella stagione 2018/19 – quando il Lipsia era guidato da Rangnick – può essere una buona idea per capire come potrebbe giocare il Milan

Anche dal campo dovranno arrivare le risposte giuste. Nel Milan ci sono già alcuni giocatori adatti all’idea calcio dell’allenatore tedesco – Theo Hernández, Bennacer, Calhanoglu, Rafael Leão – ammesso che voglia importare gli stessi principi. Ma la rosa dovrà essere ritoccata nel prossimo mercato  pescando, oltre che dal database di Rangnick (si parla di Kouassi del Psg), anche tra i giocatori già visti in maglia Red Bull, come Dominik Szoboszlai, centrocampista ungherese, classe 2000, di proprietà del Salisburgo: diventerebbe una pedina importante non solo per valori tecnici, ma anche perché già compatibile con i ritmi e i meccanismi di lavoro.

L’incognita più grande, però, riguarda la possibilità di ricostruire una credibilità – prima di tutto tecnica, sul campo – in modo graduale come è stato fatto con Hoffenheim e Lipsia, dove lo scenario iniziale non era quello di un club importante come il Milan. Un club ha scelto di schiacciare il tasto reset e ricominciare da zero ancora una volta, e con il tedesco farebbe una scelta radicale che non permette troppi ripensamenti in corso d’opera. Di sicuro, però, se c’è un modo per ripartire, nel calcio del 2020, senza enormi possibilità di spesa, affidarsi a un uomo come Rangnick e costruire una squadra con un’identità chiara e ben definita è la strada migliore. Forse l’unica possibile.