Jadon Sancho ricorderà a lungo la partita giocata ieri in casa del Paderborn, in cui ha segnato la sua prima tripletta da professionista. La sfida della Benteler-Arena, però, potrebbe diventare una pietra miliare della sua carriera per un motivo che va molto al di là del suo exploit realizzativo, o del risultato netto ottenuto dalla sua squadra, il Borussia Dortmund (1-6): il 20enne attaccante inglese, infatti, ha aggiunto il suo nome all’elenco di sportivi e calciatori che hanno chiesto giustizia per George Floyd, il sospettato afroamericano morto a Minneapolis, negli Stati Uniti, dopo che all’atto dell’arresto è stato tenuto bloccato da un poliziotto con un ginocchio sul collo per diversi minuti.
In seguito a questo avvenimento, in moltissime città americane sono scoppiate violente proteste per il trattamento riservato ai neri e ad altre persone delle minoranze da parte delle forze dell’ordine. Dopo il primo gol, Sancho ha mostrato una maglia su cui c’era la scritta “Justice for George Floyd”. Il giocatore è stato ammonito, come prevede il regolamento, ma di certo il suo gesto è valso molto di più di un cartellino giallo, basti pensare al fatto che è stato ripreso dai giornali di tutto il mondo.
Dopo la partita, in merito a questo episodio, Sancho ha scritto su Instagram: «Sono felice per la prima tripletta, ma sto vivendo un momento agrodolce: oggi ci sono cose più importanti al mondo, tutti noi dobbiamo affrontarle e contribuire al cambiamento. Non dovremmo temere di parlare di ciò che è giusto, anzi dobbiamo continuare, unirci e lottare per la giustizia».
Il gesto dell’attaccante del Borussia Dortmund non è stato isolato: prima di lui, anche Marcus Thuram e Weston McKennie, rispettivamente del Borussia Möchengladbach e dello Schalke 04, avevano espresso la loro posizione in merito al caso-Floyd: l’attaccante francese, figlio di Lilian Thuram – uno dei giocatori del passato che si è espresso in maniera più ricorrente e incisivia sul tema del razzismo – ha celebrato un suo gol contro l’Union Berlin inginocchiandosi sul terreno di gioco del Borussia-Park, riprendendo il celebre gesto antirazzista del giocatore NFL Colin Kaepernick; il giocatore dello Schalke, invece, ha indossato una fascia sul braccio su cui c’era la scritta “Justice for George”. Dopo la partita, su Instagram, McKennie ha scritto che «è importante utilizzare le proprie piattaforme per porre l’attenzione su un problema che va avanti da troppo tempo. Dobbiamo difendere ciò in cui crediamo e credo che sia giunto il momento di essere ascoltati!». McKennie è nato a Little Elm, nel Texas, e si è formato nel settore giovanile dell’FC Dallas.
Se in passato i calciatori avevano reagito a casi come quello di George Floyd, oppure ad altre discriminazioni razziste, con manifestazioni puramente individuali, ora la protesta partita dalla Bundesliga sembra avere una struttura leggermente più organica. Quantomeno il sentimento che anima queste iniziative sembra essere condiviso, nei toni e nei contenuti.
La maggioranza degli sport professionistici è ancora ferma, ma come detto l’elenco di atleti che hanno deciso di esprimersi sul caso-Floyd è sostanzioso: per quanto riguarda il calcio, anche Alex Morgan, simbolo della Nazionale femminile degli Usa, si è chiesta su Twitter «quando saranno trattati e rispettati tutti gli americani allo stesso modo, indipendentemente da razza e genere?»; anche la velocista britannica Dina Asher-Smith e la tennista americana Coco Gauff hanno utilizzato Twitter per schierarsi contro gli abusi della polizia statunitense e le discriminazioni.