Nel 1973 gli inglesi di Admiral hanno una brillante idea: perché non produciamo le maglie da calcio per le squadre professionistiche? Cominciano con il Leeds, e l’anno dopo chiudono un accordo con la Football Association per vestire la Nazionale. Per il privilegio si offrono di versare 15mila sterline; in cambio, hanno la possibilità di mettere in vendita le maglie replica, al prezzo di 5 sterline. Alla base dell’operazione, la volontà di fare della divisa da calcio un emblema, un simbolo d’appartenenza. Un elemento pop.
La suggestione di tifare la propria squadra con la maglia addosso – incarnando, anche materialmente, l’idea del dodicesimo uomo – si è rivelata una ficcante strategia di marketing, facendo sì che le società sviluppassero un loro merchandising talmente ricco e stratificato. La maglia da calcio, nel frattempo, si è evoluta, e negli anni ha inglobato di tutto: nuovi colori, design audaci, rebranding, sponsor. E questa fase può essere individuata in un preciso momento storico: tra la fine degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta.
Oggi abbiamo di nuovo a che fare con quel periodo, o meglio con quelle maglie. I kit manufacturer più importanti, nel realizzare le nuove divise, hanno pescato nel loro archivio storico per catturare l’attenzione dei fan. Quest’anno, per esempio, adidas ha celebrato il ritorno con l’Arsenal proponendo divise ispirate al passato, ancora più evidente nel caso della seconda maglia – che ricalca la famosissima maglia bruised banana che i Gunners vestirono tra il 1991 e il 1993. Nike ha messo in piedi un’operazione ancora più ardita ed eccitante, mettendo a punto per le terze maglie delle principali squadre sponsorizzate il concetto di future heritage: «Come sarebbero, oggi, le maglie del passato?», ha spiegato Pete Hoppins, Nike Football Apparel Senior Design Director. «Penso che la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta abbiano rappresentato un’età d’oro per il design delle maglie da calcio. Quei kit abbondavano di dettagli che conferivano loro così tanta personalità: tessuti jacquard, colletti vistosi, scolli stravaganti, ricchi ricami. Volevamo prendere quei dettagli così densi di significato ma interpretarli in un modo moderno, che non compromettesse le performance in campo».
Perché adesso? «Ora che i tifosi cresciuti negli anni Novanta sono più grandi, quei riferimenti hanno maggior significato», dice Hoppins, ma ancora più rilevante è la sua riflessione sul fatto che «lo stile sportivo e vintage è diventato sempre più influente nello streetwear». Nel frattempo, la maglia da calcio è stata sdoganata dagli stadi e dai campi da calcetto: è diventata oggetto da passarella, item fashion desiderato da un pubblico che ormai, con il calcio, non ha più nulla a che fare – consultare gli esempi di Off-White e di Gosha Rubchinskiy in partnership con adidas.
La contaminazione è stata talmente evidente da allungare la propria presenza anche sui campi da calcio, e in questo senso la collaborazione tra la Juventus e il brand londinese Palace ha segnato l’inizio di una nuova era. Prima di collaborare direttamente con il club bianconero, Palace ha reinterpretato la sua divisa degli anni Novanta, e lo stesso ha fatto con l’Inter e con il terzo kit dell’Inghilterra ai Mondiali italiani. Patta ha ripreso le maglie away dell’Ajax dello stesso periodo, Supreme la terza maglia del Tottenham utilizzata tra il 1991 e il 1994. Cosa hanno in comune questi brand streetwear nell’entrata a gamba tesa nel mondo del calcio? Gli anni Novanta, certamente.
«Quelle maglie, graficamente, erano davvero forti, perciò hanno lasciato un segno importante», dice Neal Heard, brand consultant e autore di The Football Shirts Book. «Negli ultimi due decenni le maglie da calcio sono state così noiose, e la gente guardava al passato per entusiasmarsi». Volete qualche esempio? La già citata maglia bruised banana dell’Arsenal, un tempo odiata – anche dagli stessi giocatori – oggi pezzo introvabile e di culto. Le maglie di Umbro con fantasie che improvvisamente sbucano dal nulla, pattern psichedelici e accostamenti di colori tanto audaci quanto bizzarri – per esempio, la maglia da trasferta dell’Ajax tra il 1989 e il 1991 o quella del Nottingham Forest tra il 1995 e il 1997.
Tutto nell’arco di un decennio, e anche meno. Un boom nato per motivi soprattutto commerciali, in un’epoca in cui si stava cogliendo finalmente come il merchandising legato al calcio fosse un aspetto da non sottovalutare per i club: così nacquero i primi store e le maglie da calcio cominciarono a cambiare ogni anno. La produzione di divise crebbe nell’arco della stessa stagione, con l’introduzione delle terze maglie – il Milan, negli anni Novanta, ne confezionava addirittura quattro all’anno.
Il collezionismo ha sempre rappresentato un segmento di mercato molto forte per le maglie vintage, seppur di nicchia. Nel 2006 è nato Classic Football Shirts, con circa 600mila pezzi (di cui novemila unici) il punto di riferimento per chi vuole trovare ma- glie di ogni età e da ogni continente. Una storia di successo che ha favorito il nascere di realtà molto simili nella vendita di maglie vintage, anche in Italia.
È il caso di Top Vintage Football Shirts, che Luca Ferrario, collezionista di lungo corso, ha fondato nel 2016: «Sono stato molto attratto dal lavoro di Classic Football Shirts, che in questo ambito è il leader al mondo. Nel frattempo, stavano prendendo piede pagine Facebook ispirate alla nostalgia. In fin dei conti, è stata una coincidenza: le cose sono andate di pari passo». Le maglie più ricercate e rare vengono vendute per decine di migliaia di euro – nella storia di Classic Football Shirts, il primato appartiene alla maglia della Juventus della finale di Champions del 1996 e a quella dell’Arsenal, indossata in una sola occasione, contro il Lens nel 1998: prezzo di vendita, circa 10mila sterline.
Oggi, però, il fenomeno è più variegato. Le principali società di calcio vendono nei propri store riproduzioni moderne di maglie dell’epoca. Il vantaggio? Prezzi contenuti, maglie nuove di zecca, vestibilità fitted. La maggior parte dei club lavora a stretto contatto con alcuni brand specializzati nella produzione di maglie retro: il più importante è COPA, marchio olandese nato nel 1998, che oggi produce il merchandising retro di Juventus, Barcellona, Sampdoria, Roma, Porto, Benfica, Feyenoord, Nazionale olandese e molte altre realtà.
«Rispetto a una maglia attuale, una maglia storica ha un valore in più: i ricordi», dice Osin Peltenburg, communication manager di COPA. «Racconta un particolare momento con un significato speciale per i tifosi: può essere una grande vittoria, ma non per forza i ricordi devono avere a che fare con una coppa o qualcosa del genere. Potrebbe trattarsi della presenza di un giocatore di culto, dell’esordio di una stella nascente, o semplicemente del fatto che quella maglia avesse un design bellissimo e sorprendente».
Negli ultimi due-tre anni, attorno alle maglie vintage si è creato un hype senza precedenti. È un fenomeno più specializzato, ma comunque assimilabile a quanto accade con le sneaker: le più introvabili, i pezzi unici, le collaborazioni sono il Graal degli hypebeast. Sono parte integrante della cultura pop e fashion, e il calcio – nel suo elemento più distintivo – sta seguendo quella traiettoria. Neal Heard ha coniato un termine: basketball-isation. «Il teamwear degli sport americani è da tempo parte della moda e dell’abbigliamento lifestyle. Per decenni è stato normale vedere qualcuno che indossava un berretto o una giacca con il logo dei New York Yankees, ma le persone spesso non associano quel logo a una squadra.
Il calcio ora sta seguendo questo percorso: soprattutto quello del basket, dove l’attenzione è più rivolta al brand – dei giocatori e attorno ai giocatori: man mano che personaggi come Pogba adottano questo stile, il calcio fa proprie sempre di più le regole e il look dell’universo del basket. Aggiungo che il calcio si è finalmente fatto strada in nuovi Paesi, dove tradizionalmente non ha avuto una forte presenza, vale a dire gli Stati Uniti e l’Estremo Oriente. Questi nuovi fan interpretano l’apparel sportivo in un nuovo modo, non seguono le vecchie regole di noi fan tradizionali. Inoltre, nella moda questa è l’era dell’esplicitazione del brand, e le maglie da calcio in questo senso presentano tre marchi: crest della squadra, kit manufacturer e sponsor. Il manifesto perfetto per l’era dei social media».