Le calciatrici che giocano in Italia saranno professioniste dal 2022

La decisione è arrivata durante il Consiglio Federale del 25 giugno.

La totalità delle dichiarazioni rilasciate negli ultimi anni dalle calciatrici era fondata su un tema fondamentale: la necessità, da parte delle istituzioni sportive italiane, di istituire il professionismo nello sport femminile. Ecco, ora questa (legittima, sacrosanta) aspirazione ha trovato conforto nelle scelte politiche della Federcalcio, che dopo il Consiglio Federale di giovedì 25 giugno ha annunciato l’avviamento di un progetto graduale teso al riconoscimento dello status professionistico per le giocatrici italiane e straniere che lavorano nel nostro Paese. Il percorso terminerà alla vigilia della stagione 2022/23.

Secondo quanto dichiarato dalla Fedrazione, un iter legislativo con questi passaggi e questa durata «è stato concepito nella miglior forma possibile per formalizzare un cambiamento divenuto ormai improcrastinabile sul tema della pari dignità, garantendo al tempo stesso un periodo adeguato per preparare il sistema, in attesa dei decreti attuativi anche su questo argomento che sta preparando il Ministro per lo Sport Spadafora nell’ambito della discussione della legge delega di riforma». Questa scelta è stata fatta per garantire un futuro sicuro e luminoso al movimento femminile, come ha spiegato il presidente della FIGC, Gabriele Gravina: «La decisione presa dal consiglio Federale è ispirata da un forte senso di responsabilità accompagnato da una certa lungimiranza. Ora scriveremo tutti insieme il progetto per rendere sostenibile il percorso tracciato oggi, l’obiettivo è aumentare la competitività del calcio femminile di vertice ma anche far crescere la base». La proposta è stata votata all’unanimità dal Consiglio.

Si tratta di una conquista storica, soprattutto perché risolve un enorme equivoco normativo: a tutta la stagione 2019/20 le atlete italiane sono parte di un sistema ibrido, per cui società professionistici maschili competono nei campionati femminili come società dilettantistiche; in virtù di tutto questo, le ragazze sono prive delle tutele giuridiche e di welfare di cui godono i loro colleghi maschi, in pratica il calcio è il loro lavoro ma non hanno lo status contrattuale di sportive professioniste, perché in Italia questo status non esiste. O almeno non esisteva: da qui al 2022, la FIGC ha preparato il terreno perché avvenga una riforma che avvicini davvero l’Italia a tutti gli altri Paesi europei. E che renda più competitivo il movimento italiano, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche per quanto riguarda l’appetibilità economica, quindi investimenti di lungo termine nelle infrastrutture, nelle risorse umane.

Non è un caso che questo provvedimento sia diventato realtà un anno dopo il grande percorso dell’Italia femminile ai Mondiali di Francia – le Azzurre hanno raggiunto i quarti di finale per la seconda volta nella storia, la prima dal 1991. L’attenzione dei media e del pubblico intorno alla Nazionale ha mostrato come il movimento femminile sia in forte crescita, esattamente come la competitività della Serie A – anche grazie all’ingresso dei club maschili nella piramide femminile, un provvedimento varato nel 2016, e che ha creato le condizioni perché anche nel torneo riservato alle donne si giocassero sfide come Juventus-Inter, Milan-Roma, Fiorentina-Sassuolo. Il professionismo era il passo successivo, quello più auspicato dalle giocatrici e dagli altri addetti ai lavori: esattamente un anno fa, dopo la qualificazione ai quarti di finale dei Mondiali, il commissario tecnico dell’Italia, Milena Bertolini, aveva detto che «si tratta di un provvedimento necessario, non è possibile pensare che non ci siano ancora pari diritti e non si possano sfidare altre Nazioni ad armi pari». Il momento è arrivato, finalmente.