La pandemia negli ultimi mesi ha messo in ginocchio la quasi totalità dei settori industriali, e l’industria del calcio non fa eccezione: tra incassi ridotti all’osso e spalti vuoti chissà ancora per quanto tempo, le società di calcio, anche le più importanti, stanno facendo i conti con situazioni a dir poco complicate. Per tamponare l’emorragia economica che si è improvvisamente abbattuta su di loro, i club hanno scelto la strada più immediata, quella di sospendere per un periodo di varie settimane (a seconda degli accordi) gli stipendi dei propri giocatori. La fetta più grossa dei costi delle società, infatti, riguarda proprio questa voce.
La tematica ha aperto in Germania un fronte di discussione interessante: l’eventuale introduzione nel calcio europeo di un salary cap. Meccanismo che nello sport professionistico statunitense è ben consolidato, a garanzia di una maggiore competitività e un maggior equilibrio intorno alle singole leghe. In Europa, invece, si è sempre liquidato l’argomento in quanto violerebbe le regolamentazioni di antitrust e libero mercato. Ma un nuovo studio commissionato da Thomas Oppermann, vicepresidente del Bundestag, apre a nuove possibilità.
«Il salary cap rientrerebbe nelle normative tedesche ed europee», si legge nelle conclusioni dello studio redatto dal centro di servizi scientifici del Bundestag. Con un obiettivo primario: «contrastare i disequilibri e promuovere una concorrenza leale». In questo modo, i club potrebbero firmare giocatori a cifre più basse e quindi indebitandosi in misura largamente minore, ma soprattutto si riscriverebbe l’intero concetto di competitività. Lo studio, consegnato ai massimi vertici del calcio tedesco, evidenzia come il fatto che un equilibrio economico sottintenda anche un equilibrio sportivo è nell’interesse generale: una maggiore incertezza delle gare e delle competizioni corrisponderebbe a ricavi più considerevoli per l’intero sistema.
Le raccomandazioni riguardano principalmente le modalità di applicazione: «Anche se le leggi nazionali permetterebbero l’introduzione di tali normative, l’introduzione e la disciplina di esse tramite la struttura organizzativa calcistica è più appropriata». Ovvero, l’Uefa: questo consentirebbe anche di evitare scompensi tra le varie realtà nazionali – soprattutto dopo Brexit, anche una legge dell’Unione Europea non sarebbe in grado di uniformare il calcio europeo. Inoltre, continua il rapporto, «sembra improbabile che le federazioni calcistiche vogliano delegare questa autorità decisionale a un organo come l’Unione Europea».
Perciò l’Uefa sarebbe l’unico attore in grado di mettere mano a questa rivoluzione. Ma l’ostacolo resta la volontà comune: i club più ricchi potrebbero essere d’accordo? Fin troppo chiaro che una tale regola sconvolgerebbe gli equilibri nazionali e internazionali: potremmo vedere squadre come Real Madrid e Psg non vincere più con la stessa frequenza. Lo studio poi avverte: «Anche in presenza di un salary cap, esiste il rischio che le normative vengano eluse attraverso accordi individuali».