Una cultura sportiva migliore, condivisa, più alta

Il calcio non è solo partite e business. È soprattutto condivisione, voglia di stare insieme – proprio ciò che il virus ci ha tolto. Ecco perché dobbiamo riscoprirci migliori dopo l’emergenza, anche attraverso lo sport.

Un vecchio prete, durante pomeriggi estivi “troppo azzurri e lunghi per noi”, utilizzava le ore di catechismo per insegnare ai ragazzini dell’oratorio il valore della privazione dei sensi. A rotazione, inibiva udito, vista, olfatto, tatto o gusto. L’esercizio non era affatto punitivo. Era una sottrazione indotta allo scopo di apprezzare un valore, un dono. Una opportunità non data a tutti. Bisogna provare a fare senza un “senso” per attribuire senso e importanza a ciò che si possiede. Evitando, magari, di darlo per scontato.

Questo breve racconto ha qualche pertinenza con noi qui, nel momento in cui mettiamo in comune qualche riflessione su ciò che il tempo lungo della quarantena, a varie fasi, ha inibito. Più specificamente, su come la privazione di un godimento collettivo, di un piacere puntuale e per molti versi scontato, ha ridotto a minima consistenza abitudini profonde, talvolta viziate se non addirittura abusate. Sport, ecco. Il reparto giocattoli della vita.Sport da attendere, seguire, accompagnare giorno dopo giorno. Uno spettacolo, una distrazione, un passatempo denso perché connesso alla passione, alle emozioni, alla fantasia. Quest’ultima ci è rimasta, ha continuato a circolare come una riserva di benzina. Abbastanza per immaginare “un ritorno a…”, il ripristino di un’epoca meno cupa, più gioiosa. In ogni caso diversa da ogni passato. Perché, semplicemente, dentro il silenzio cova una riflessione, una salutare lentezza opposta alla velocità frenetica che fu, trattata come condizione obbligata del quotidiano. Dunque, un cambio, piccolo o enorme non importa, di prospettiva.

Tra “Covid19” e “Tifo” il nesso è palese. Un virus e un batterio. Due connettori di malattia. Ma qui, forse, possiamo assistere a un curioso miracolo. Il virus che sconfigge la malattia. La corregge, magari, la attenua, la muta, sebbene produca, nel contempo, una sofferenza. Siamo quasi al paradosso, sia chiaro. Però, è pur vero che in crisi di astinenza da partite, campionati, scudetti, Champions, corse in linea, a tappe e tornei di varia entità, abbiamo tutti misurato dell’altro. La sensazione di essere molto più simili, ugualmente fragili, particolarmente spaventati. Un’ esperienza comune che potrebbe dettare un senso, appunto, di appartenenza resistente nella memoria. Da conservare nel momento in cui un certo ordine viene ripristinato. Il tifo sportivo come elemento distintivo di una convivenza rinforzata proprio grazie alle somiglianze emerse, alle similitudini di condizione che azzerano contrasti, futili conflitti.

In crisi di astinenza da partite abbiamo tutti misurato dell’altro. La sensazione di essere molto più simili, ugualmente fragiliÈ un sogno? Una illusione? Forse. Ma così come quel ragazzino all’oratorio ebbe per la prima volta la percezione del valore della vista in seguito alla privazione della vista, ciascuno di noi può considerare il privilegio ritrovato di assistere a un match, a una partita, come un regalo non più ovvio. Come una occasione davvero preziosa. Non solo: aver fatto quattro conti – più o meno dolorosamente – con l’epidemia, ha rimescolato la scala delle priorità. Ci ha spinti a togliere di mezzo la fuffa, a distinguere un buon consiglio da una sciocchezza, a pretendere da noi stessi un comportamento responsabile. In definitiva, a riconoscere la nostra parte di responsabilità come fondamentale per ogni forma di convivenza. «La vita è troppo breve per avere dei nemici», disse Ayrton Senna a proposito delle sue rivalità da pista. Sono parole significative e pertinenti. Molto, molto attuali. Pensando, ad esempio, a quegli eccessi da stadio ai quali ci siamo amaramente abituati. Violenze e razzismi, per dire. Tutta roba che non dovrebbe riguardare chi, come noi, non solo ha imparato a riconoscere e a riconoscersi, ma ha avvertito il bisogno persino disperato, di un sostegno, di una solidarietà.

Sport significa anche stare insieme. Piacevolmente insieme, dopo un lungo isolamento. Significa, pensando al calcio, tornare a condividere un divertimento, sfruttando questo privilegio nel modo più intenso possibile. Come una festa del gioco, dello sfottò, dell’agonismo, del talento. In sostanza, della compagnia. La speranza è che dagli stadi resti fuori ciò che non ha più alcuna rilevanza, ciò che rende ridicola ogni tensione all’eccesso, ogni cliché che appartiene al passato. Ma pensando allo sport, al calcio in particolare, che ritorna nelle nostre giornate, servirà – crediamo – qualche correttivo nella proposta. La qual cosa darà una misura – come del resto nella politica, nell’impresa – della stoffa dei leader, dei capi, di chi comanda.

La speranza è che dagli stadi resti fuori ciò che non ha più alcuna rilevanza, ciò che rende ridicola ogni tensione all’eccessoStiamo parlando di un quadro dentro il quale peseranno le contrazioni dell’economia, non solo italiana. Un dissesto certo che potrà influire sulle casse, sugli stipendi, sulle rose delle squadre. Ponendo, anche qui, una serie di interrogativi nuovi che pretendono risposte illuminate. Ogni regime di povertà determina tagli, rinunce, scelte dolorose. Permette però di apprezzare una sobrietà, un rigore, la salvaguardia di qualche ingrediente sacro. Ciò che va oltre, ad esempio, il bisogno impellente di vincere o di stupire, a vantaggio di un’etica del fare più attenta, scopo, appunto, continuità. A costo di affrontare una parentesi non facile e non breve di affanni, di ridimensionamento, di fatiche destinate comunque a restituire valore. Il tifo calcistico anche da qui passa, da sempre. Tempi grami per rinsaldare una affezione, per covare e costruire tempi migliori. Nelle difficoltà i rapporti si rafforzano. E nella relazione complessa che lega un club ai propri tifosi, il piacere della vittoria mostra spesso una radice meno profonda rispetto a quella che è segnata da affanni e sogni, da un percorso più irto e, dunque, da un orgoglio fortificato.

Il calcio, così come la Formula 1, così come il tennis, avranno più bisogno di imprenditori competenti e lungimiranti, molto meno di chiacchieroni brillanti. Anche perché, nel momento della ripresa, assisteremo a una corsa collettiva destinata a farcire come non mai i palinsesti televisivi festivi. Piloti, calciatori, tennisti, ciclisti, in gara contemporaneamente. Nel momento, fra l’altro, in cui ogni persona, ogni famiglia, potrà ricominciare a uscire la domenica. Niente di eccezionale, d’accordo, una gita fuori porta, una scappata al mare, al lago, un picnic. Fuori, intanto, ma sì. Mentre alla tele c’è di tutto. Morale: meno utenti disponibili e un’audience comunque frazionata perché si tratterà di scegliere tra un Gran Premio e un Juve-Cagliari; tra Valentino Rossi, Roger Federer o Vincenzo Nibali. Senza considerare che, probabilmente, non tutti, non gli stessi – a proposito di riformulazione delle priorità – saranno in condizione di spendere per poter guardare lo sport in tv.

Ancora una volta, è auspicabile qualche correttivo. Sul denaro legato ai diritti tv, sugli accessi dei fruitori. Ai campi come ai video. Si tratterebbe di aprire in un momento in cui verrebbe voglia di restringere ulteriormente, di abbassare un prezzo mentre servirebbe alzarlo. Considerando, ci mancherebbe, le problematiche enormi di questa immaginaria controtendenza. Non durerà all’infinito, è ovvio. Ma per far ripartire davvero ciò che allo sport è connesso naturalmente – divertimento, leggerezza, disimpegno – si rende necessario uno sforzo simile a quello di un maratoneta. Ben sapendo che anche questa fase finirà. Lungimiranza e cuore, ecco. Un comportamento che avvicinerebbe davvero chi fa e produce lo sport a chi guarda e continuerà a guardare con sollievo, con una allegria indispensabile. A proposito della quale un contributo decisivo potrebbero darlo proprio i campioni, gli eroi da agonismo. Personaggi destinati ad avvicinarsi, pure loro, a chi li omaggia da sempre. Meno gossip, più concretezza, più umiltà. Meno pretese, più disponibilità. A sentirsi parte e a fare la propria parte non semplicemente offrendo una prestazione sul campo. Come qualche star illustrissima ha fatto, del resto, sotto quarantena, ricevendo apprezzamenti larghi e assoluti Forse siamo dentro ipotesi assai distanti sia dalle intenzioni più radicate, sia dal panorama che avremo di fronte a breve. Vedremo. Intanto, qualche suggerimento può venire dalle società sportive dilettantistiche, da chi fa sport di base, da chi forma ed educa con lo sport.

Far ripartire lo sport comporta sostenere un allenamento specifico, una dedizione particolare, persino una disciplina rifondataRugby Milano è un club con circa 650 tesserati di età compresa tra i tre e i quarant’anni, escludendo gli “Old”. Nonostante le difficoltà economiche in cui versa, ha approntato prima una straordinaria piattaforma web per seguire e allenare i ragazzi e i bambini a casa, quindi una consulenza psicologica telematica ai giovanissimi atleti e ai loro genitori, quindi un progetto per otto settimane di camp estivi gratuiti. Un progetto modulare, adattabile alle disposizioni governative in materia di sport di squadra, accessi compresi. Non è tutto: l’idea è quella di istituire una cassa di solidarietà per sostenere quelle famiglie che potrebbero avere qualche difficoltà nel momento di iscrivere i propri figli alle attività della stagione sportiva 2020/21. L’esempio è interessante nel momento in cui pensiamo a un ritorno dello sport come elemento fondamentale del vivere. Non solo discipline da osservare da un divano o da una tribuna, ma da praticare. L’ambito cioè che più di ogni altro determina una vera cultura sportiva, attraverso esperienze dirette e collettive. Ancora una volta stiamo alludendo a un cambio di mentalità decisivo. Con l’idea di non perdere nessuno, di non lasciare indietro nemmeno un individuo della propria famiglia. Anche considerando quanto sia impalpabile il contributo fornito dalle nostre scuole in termini di “educazione fisica”. Sì, ciao.

Insomma, far ripartire lo sport comporta sostenere un allenamento specifico, una dedizione particolare, persino una disciplina rifondata. Dunque un vero entusiasmo. Sfruttando al meglio la memoria di ciò che abbiamo perduto durante la nostra interminabile quarantena. Vale a dire, una necessità di condivisione connessa al sostegno, una voglia di appartenenza sospinta dalla solitudine. Dalla percezione di una miseria. Per trattare come un lusso piaceri semplici, profumi più antichi. La passione, di ogni sfarzo non ha più bisogno. Almeno adesso, almeno per un po’.

Da Undici n°33