Oltre il risultato, la lezione del vintage

Con lo stop del calcio giocato, media e appassionati hanno riscoperto le partite del passato. E vi si sono accostati con un approccio non consueto: colto, approfondito, non urlato. E se questa esperienza ci servisse da lezione anche per il futuro?

Alex Ferguson aveva un suo trucchetto preferito da usare quando i giornalisti facevano gli altezzosi. Andava allora indietro al 1999, alla finale vinta dal Manchester United sul Bayern Monaco. Diceva: «Le ho lette, le prime edizioni. Lo so cosa avevate scritto». Le edizioni poi uscite nelle edicole, naturalmente, presentavano articoli che celebravano l’ennesima rimonta del glorioso United, arrivata in una stagione già ricca di episodi simili. Rendevano omaggio all’ambito treble, lodando la tempra della di Teddy Sheringham, il cross letale di David Beckham e l’istinto predatorio di Ole Gunnar Solskjaer. C’era spazio anche per il contesto storico: il primo successo di una squadra inglese negli ultimi 15 anni, il primo dello United dal 1968, un trofeo che portava Ferguson sullo stesso piano di Matt Busby nel pantheon mancuniano.

Come è ovvio, il tono delle prime edizioni era stato piuttosto diverso: includevano le cronache della partita scritte mentre la stessa partita si sviluppava, riflettevano su come lo United sentisse la mancanza di Keane, squalificato, su Ferguson sconfitto ancora una volta dalla sua tendenza a pensare troppo nelle partite più importanti, sul dominio del campo del Bayern. È qui che sta l’ironia nella frecciata di Sir Alex: quelle prime edizioni erano, in un certo senso, più veritiere di quelle che andarono poi nelle edicole, che raccontavano la partita a partire dal risultato. Stava sottolineando una questione profonda, di cui forse non si rendeva conto del tutto.

Con il lungo stop alle partite, numerosi network televisivi hanno guardato al passato. In Inghilterra, Itv ha trasmesso Euro ’96 nella sua interezza. La Bbc ha reso disponibili diverse partite dei Mondiali e finali di Fa Cup. Il podcast Football Weekly del Guardian ha organizzato delle sessioni di “ascolto collettivo” di una partita ogni weekend, mentre il sito guardian.com proponeva delle cronache “live” minuto per minuto di partite storiche, chiedendo poi a una serie di scrittori di raccontare i loro momenti preferiti. Per qualcuno che si occupa di storia del calcio e lavora, con cadenza settimanale, a un podcast sul calcio del passato, è stato disorientante vedere una platea così vasta approcciarsi, tutt’a un tratto, a qualcosa a cui tu hai lavorato con cadenza quotidiana per anni. Si è formata, in breve, una classe di esperti. Quando venivano scovate online due diverse telecronache della stessa partita, sono nati dibattiti dettagliati su quale fosse la migliore, come degli appassionati di musica classica che si chiedono se il Sibelius sia meglio eseguito da Simon Rattle o da Herbert von Karajan.

È una cosa importante? Probabilmente no. Probabilmente si tratta soltanto di persone che amano il calcio e occupano il loro tempo guardando partite di calcio. Ma – probabilmente – questa improvvisa ondata di educazione alle partite del passato cambierà qualcosa nel modo in cui ci approcciamo al gioco. È il punto della provocazione di Ferguson: il risultato non è l’unica cosa che conta. Il calcio non è mai stato misurato con l’intensità di oggi, e non è mai stato così prevedibile, eppure mantiene ancora un grande elemento di accidentalità. Forse guardare per intero le vecchie partite, accorgendoci di come i ricordi sono stati modellati dal risultato, riconoscendo tutte le occasioni che erano state mancate dalla squadra che finì per perdere, ci faranno dare più importanza al processo, anziché al solo risultato. Di certo dovremmo essere più consapevoli delle sfumature.

La prima partita che il podcast Football Weekly ha esaminato è stata la sconfitta dell’Inghilterra contro l’Argentina al Mondiale del 1986, una partita ricordata esclusivamente per i due gol di Maradona. Nel calcio inglese, da quel momento, si è andata sviluppando un’immagine di Maradona come di un imbroglione, l’uomo che aveva eliminato l’Inghilterra con una mano. Ma guardatela adesso, nella sua interezza, e in tutta la sua evidenza quanto venga picchiato, quanto fossero brutali i difensori inglesi. Maradona ha imbrogliato, sì, ma è davvero peggio toccare il pallone con un pugno per mandarlo oltre la linea rispetto al prendere a calci un avversario più talentuoso fino ad annichilirlo? Oltretutto, l’Inghilterra non aveva combinato niente di niente in termini di gioco, fino al tardivo ingresso di John Barnes. Togliete tutto il rumore, ed è difficile negare che l’Argentina meritasse di vincere.

Eppure, anche se la gente può guardare partite di trenta e più anni fa e accettare che probabilmente i suoi preconcetti siano inesatti, non significa che queste lezioni possano avere una ricaduta sul contemporaneo. Più di ogni altra cosa, c’è la questione di quanto tempo di una partita si deve guardare: per avere un quadro completo, per capire e sentire il ritmo e avere un quadro dei necessario stare seduti per gli interi 90 o 120 minuti, anziché ridurre l’esperienza a una manciata di highlights. Ma l’inclinazione moderna sembra sempre di più quella di guardare brevi clip sui social network, o pacchetti di azioni scomposte su YouTube.

La cosa più piacevole delle settimane di lockdown è stata poter analizzare le partite con la giusta distanza, avere discussioni in cui la partigianeria è ridotta al minimo, dove la conversazione non si basa tanto sull’impatto che una partita può avere sulla classifica o sul futuro di un allenatore, ma sulla partita stessa, la tecnica, la tattica, i protagonisti in gioco. Non è probabilmente realistico, ma sarebbe bello se la lezione tratta da questo periodo, dalla nostra immersione nella storia, non fosse soltanto quella di una profonda conoscenza o rispetto del passato, ma un riconoscimento della vacuità degli schiamazzi da tifosi. Potremmo fare tutti uno sforzo maggiore, non solo per celebrare una vittoria, per schierarci preventivamente da una parte o dall’altra, ma per apprezzare la grandezza, per imparare di nuovo l’amore per il gioco stesso.

Da Undici n° 33