La dolce vendetta di Serge Gnabry

Sembrava un talento bruciato, perduto, ora è uno dei giocatori più decisivi d'Europa.

Le ultime prestazioni e gli ultimi risultati del Bayern Monaco sono state raccontate con la chiave della perfezione, e forse è anche giusto così. Del resto la squadra di Flick non perde una partita ufficiale dal 7 dicembre scorso, ha vinto le ultime 21 gare di tutte le competizioni, e in stagione ha messo insieme 158 reti in 51 partite totali. Una macchina da calcio praticamente perfetta, che vince le singole sfide – e le competizioni: se dovesse battere il Psg nella finale di domenica, il Bayern porterebbe a casa il secondo Triplete della sua storia dopo i successi in Bundes e Coppa di Germania – con una superiorità schiacciante, o comunque per inerzia.

In realtà, però, il Lione ha messo un po’ in difficoltà i bavaresi, almeno nei primi minuti: la squadra di Garcia ha fermato gli attaccanti di Flick ed è stata anche pericolosa nell’area di Neuer, al punto da colpire un (incredibile) palo con una conclusione ravvicinata di Toko Ekambi. Poi, però, è arrivato il bellissimo gol che ha cambiato tutto: lo ha segnato Serge Gnabry, con un gran tiro di sinistro al termine di una progressione irresistibile da destra verso il centro. Un gol visto e rivisto negli ultimi anni dai tifosi del Bayern, tanto che lo Spiegel non ha avuto paura a scrivere che «Il Bayern ha rimuginato all’infinito su come sostituire Arjen Robben, ma in realtà aveva già la soluzione in casa». Serge Gnabry, appunto.

Questa provocazione giornalistica è sicuramente un po’ eccessiva, ma non è del tutto inverosimile. Ed è solo una delle grandi rivalse di Serge Gnabry, per anni considerato un talento bruciato o quasi, quindi un giocatore potenzialmente fortissimo destinato però a una carriera di secondo piano. Basta tornare indietro alla stagione 2015/16, quando l’Arsenal – il club proprietario del suo cartellino – decide di girarlo in prestito stagionale al West Bromwich Albion. Il manager Pulis lo schiera una sola volta in Premier League, gli concede due presenze in Coppa di Lega e poi dice semplicemente che «Gnabry non è mai stato all’altezza».

Fa sorridere pensare alla distanza tra queste parole e quello che è avvenuto negli ultimi anni, che potrebbe essere sintetizzato dalla dichiarazione di un altro allenatore, Joachin Lõw, commissario tecnico della Germania: a settembre 2019, dopo la gara di qualificazione agli Europei contro l’Olanda, disse – altrettanto semplicemente – che «Gnabry giocherà sempre fin quando sarò io a sedere sulla panchina della Nazionale». Non è un giudizio di parte, piuttosto una facile constatazione numerica: grazie alle due reti realizzate contro il Lione – sì, dopo il tiro di sinistro che ha aperto le marcature è arrivato un altro gol – Gnabry è arrivato a quota 23 in stagione; nove su nove partite in Champions League; numeri ancora migliori caratterizzano anche il suo score in Nazionale: 13 marcature in 13 presenze.

Ovviamente il percorso di formazione e affermazione di Gnabry non è stato accidentato solo per colpa di Pulis e di un prestito sbagliato al WBA. Già prima di quella stagione, l’esterno tedesco aveva manifestato dei limiti, o comunque non era stato compreso da Wenger – che però ha avuto il merito di portarlo all’Arsenal a 16 anni, dopo averlo scovato nel vivaio dello Stoccarda. Il manager francese ha raccontato che «nel 2016 avevamo dato l’autorizzazione a Serge per partecipare alle Olimpiadi, c’era un contratto pronto da fargli firmare al suo ritorno. Poi ci ha detto di voler andare al Werder Brema. Non era il Werder che lo stava comprando, ma il Bayern»; in un’intervista a The Players’ Tribune, Gnabry ha dichiarato che «in Inghilterra sono stato sempre considerato e descritto come un “giocatore pigro”, e a quel punto la scelta di tornare in Germania era un passo indietro necessario per poter ricominciare ad andare avanti». Non è un’esagerazione: Gnabry lascia il Regno Unito dopo aver messo insieme solamente 18 presenze in tre stagioni con la prima squadra dell’Arsenal, prima della frustrante esperienza in prestito.

Le Olimpiadi 2016 hanno cambiato la carriera di Gnabry: la Germania arriva seconda ma lui segna sei gol, è capocannoniere del torneo insieme al compagno Petersen, poche settimane dopo passa al Werder Brema e da lì la sua ascesa non si è ancora fermata (Laurence Griffiths/Getty Images)

È andata esattamente come auspicava Gnabry: una buona stagione al Werder, poi l’approdo al Bayern Monaco, che però decide di girarlo ancora in prestito, all’Hoffenheim, quasi per verificare che Serge non compia di nuovo gli stessi errori. Non ne ha commessi, forse perché ha trovato l’ambiente ideale per lui, l’ambiente che cercava: «Tornare in Germania per giocare per il Werder Brema e l’Hoffenheim mi ha cambiato la vita, come persona più che come calciatore. Tornare a casa dopo aver lasciato tutti i miei amici a 16 anni ed essere nei club che mi volevano davvero, è stato incredibile. Quando sei un calciatore, tutto quello che vuoi fare è giocare: quando non puoi o non riesci a giocare, è come se il tempo fosse congelato», ha raccontato in seguito.

Gnabry si è unito al Bayern all’inizio della scorsa stagione, ed era diventato un giocatore pronto per il Bayern. Le qualità sono sempre state enormi, almeno potenzialmente, gli mancava solo la solidità mentale da cui si origina la continuità di rendimento. Forse serviva soltanto che un club e un allenatore investissero in maniera convinta e profonda su di lui, come hanno fatto il Bayern, Niko Kovac – che già lo scorso anno l’ha inserito in pianta stabile tra i titolari – e poi Flick, che lo utilizza come coltellino svizzero nella sua linea di trequartisti dietro a Lewandowski. Se prima abbiamo riportato le parole dello Spiegel per cui Gnabry è l’erede di Robben, va chiarito che parliamo di due giocatori diversi: l’olandese era una furia meccanica, un esterno capace di essere decisivo in ogni partita – in diversi momenti di tutte le partite – ripetendo la sua giocata classica, la progressione da destra verso il centro; Gnabry sa essere altrettanto devastante in certi momenti, ovviamente meno frequenti rispetto a Robben, ma in realtà i suoi movimenti sono più vari, si sposta su tutto il fronte come gli chiede Flick, per esempio sostituisce Müller e/o Perisic quando questi si scambiano le posizioni, lui fa lo stesso con Goretzka, oppure attacca la profondità, o ancora va in pressing sul portatore di palla avversario, come nell’azione che poi ha portato al suo secondo gol contro il Lione.

Il secondo gol contro il Lione

In questo gol c’è l’essenza del gioco del Bayern e del gioco di Gnabry, perfettamente sovrapponibili per qualità tecniche, fisiche, anche per una spiccata intelligenza nel comprendere la miglior soluzione da attuare in tutti i momenti della partita. È proprio questo l’aspetto in cui è cresciuto di più, da talento anarchico si è trasformato in giocatore completo, oggi è un atleta potenzialmente decisivo in ogni azione ma che è pure in grado di eseguire bene un compito tattico, di essere parte di un sistema complesso, ambizioso. Non è un caso che Flick, dopo la gara contro l’OL, abbia scelto parole entusiaste sul presente e sul futuro di Gnabry: «È un giocatore di classe mondiale, ed è convinto di avere ancora margini di miglioramento».

Queste parole valgono per tutto il Bayern, in realtà: Gnabry ha 25 anni e fa parte di una rosa che ha un’età media di 25,3 anni, in cui ci sono Süle (24 anni), Lucas Hernández (24), Pavard (24), Davies (19), Kimmich (25), Goretzka (25), tutti giocatori fortissimi e già titolari da molti anni, a cui va aggiunto il neoacquisto Leroy Sané (24). Insomma, il Bayern è a un passo dall’eccellenza assoluta, dal vincere una Champions League che sarebbe meritatissima, ma intanto ha già investito sul futuro, sta continuando a farlo, per migliorare ancora. Come Gnabry, un giocatore che è arrivato a questo punto quando forse non ce l’aspettavamo più, proprio grazie al lavoro, all’automiglioramento, e probabilmente è proprio questa la miglior vendetta, la miglior rivincita che avrebbe mai potuto prendersi.