È stata l’Inter di Conte, nel bene e nel male

La stagione dei nerazzurri resta molto positiva, ma la sconfitta in finale di Europa League ha alimentato alcuni dubbi sull'approccio del tecnico salentino.

Un tocco maldestro di Lukaku su una rovesciata di Diego Carlos ha dato al Siviglia il gol del vantaggio decisivo a poco più di un quarto d’ora dal termine della finale di Europa League. Poco prima, lo stesso Lukaku aveva avuto, al termine di un’azione iniziata nella metà campo dell’Inter, l’opportunità di indirizzare la partita a favore dei nerazzurri, ma il portiere andaluso Bono ha respinto la sua conclusione. E ancora, nel primo tempo, l’Inter era andata sotto nel punteggio, a causa di un errore di comunicazione difendendo su un calcio di punizione. Alla luce di tutto questo, non è esagerato pensare e scrivere che il Siviglia abbia vinto la partita – e l’Europa League – perché è stata più cinica e fortunata nei momenti più importanti, nei momenti decisivi.

In realtà, però, ciò che ha fatto scivolare la partita – una partita molto gradevole, soprattutto nel primo tempo, prima che la fatica abbattesse il ritmo e lo spettacolo – nelle mani degli andalusi, è stata l’incapacità dell’Inter di andare oltre un certo spartito, oltre se stessa. Nell’arco della gara giocata al RheinEnergieStadion di Colonia, i nerazzurri sono stati troppo prevedibili, soprattutto nei confronti di un avversario ben organizzato come la squadra di Lopetegui, ricca di giocatori di qualità e grande esperienza – Banega, Fernando, Jesùs Navas. L’Inter ha giocato la sua partita, ha giocato da Inter: nel bene e nel male, come aveva fatto per tutta la stagione, durata dodici mesi.

Il bilancio del primo anno in nerazzurro di Antonio Conte si chiude senza trofei, ma con chiari miglioramenti rispetto al passato. L’Inter è cresciuta molto nel rendimento, nei risultati, ha chiuso il campionato al secondo posto – con 13 punti in più rispetto alla stagione precedente – e 111 gol segnati in tutte le competizioni: un record assoluto per il club nerazzurro, almeno sulla base di una sola stagione. Soprattutto, Lukaku e compagni hanno dimostrato di aver metabolizzato i concetti fondamentali del loro allenatore. Proprio com’era accaduto alla Juventus e al Chelsea, Conte è riuscito a imporre il suo sistema di gioco fin da subito, fin dalle primissime partite. Il tecnico salentino ha importato di nuovo in Italia il suo calcio codificato, fondato su pochi cardini: ritmo alto, costruzione dell’azione dal basso, creazione di tanti triangoli per muovere il pallone e attaccare in verticale. Un sistema estremamente quadrato, su cui l’Inter ha costruito la sua stagione in maniera quasi maniacale, come da tradizione per il suo allenatore.

Per tantissimi aspetti, anche al di là del puro dato numerico dei punti conquistati, dei gol fatti, questo approccio ha dato degli ottimi frutti. Ad esempio, ha tirato fuori il meglio da alcuni investimenti importanti fatti dalla società. Lukaku è l’esempio più evidente: ha segnato 34 gol in tutte le competizioni, eguagliando il record nerazzurro che apparteneva a Ronaldo (stagione 1997/98), e si è integrato da subito con Lautaro, che a sua volta è riuscito a raggiungere picchi di rendimento mai toccati nel suo primo anno a Milano. Quel che vale per la coppia d’attacco si è visto anche per altri giocatori in altri reparti. Barella è stato tra i migliori elementi a disposizione di Conte, dimostrando di meritare il ruolo di protagonista in una squadra che lotta per il vertice della classifica in Serie A; su un gradino più basso, anche l’acquisto di Sensi era sembrato particolarmente indovinato – prima che gli infortuni lo fermassero. In più, nel corso della stagione Conte ha trovato in Bastoni un difensore già pronto per una maglia da titolare di quel 3-5-2 che, esattamente come previsto all’inizio della sua avventura nerazurra, ha aiutato a esaltare i pregi di alcuni giocatori e a nascondere i difetti di altri elementi della rosa nerazzurra.

Già dodici mesi fa si vedeva – non si immaginava, si vedeva proprio– come avrebbe giocato l’Inter del futuro. I miglioramenti nel corso della stagione si sono manifestati nel momento in cui i giocatori hanno saputo adattarsi alle indicazioni dell’allenatore – si pensi alla crescita di Sánchez o di Godín rispetto alle prestazioni dell’autunno 2019 – e non secondo un processo inverso, per cui Conte ha creato il contesto migliore per esaltare i suoi uomini. È la condanna del calcio mandato a memoria, una criticità che Conte si trascina da tutta la carriera; una difficoltà endemica nell’uscire dalla propria comfort zone così da esplorare opzioni diverse, per sé e per la squadra. Lo spartito funziona come base di partenza, si è visto in tantissimi segmenti della stagione, ma in alcuni momenti è parso limitante. Nella gara contro il Siviglia, persino la coppia offensiva Lautaro-Lukaku – la parte dell’Inter che ha funzionato di più e meglio, in tutta la stagione – è parsa impotente, al netto del rigore conquistato dal belga dopo pochi minuti; l’Inter ha creato reali pericoli solo quando ha avuto la possibilità di infilare in campo aperto una difesa che, altrimenti, è parsa sempre sicura.

Lukaku e Lautaro Martínez hanno messo insieme 55 reti stagionali in tutte le competizioni, 34 per il belga e 21 per l’argentino (Emilio Andreoli/Getty Images)

Ovviamente, le difficoltà vissute da Lukaku e Lautaro non dipendono solo da loro, piuttosto da un impianto di squadra che non ha saputo azionarli nella maniera giusta – contro il Siviglia e in altre partite della stagione, soprattutto quelle decisive, quelle contro gli avversari più forti, il Barcellona in Champions League, la Juventus in campionato, il Napoli in Coppa Italia. Proprio in virtù di questi miglioramenti e di queste difficoltà, c’è da capire quanti e quali siano le possibilità di portare l’Inter-di-Conte – un modo per definire questo gruppo con questo sistema di gioco – a un livello superiore. Certo, il mercato aggiungerà, anzi ha già aggiunto, degli uomini importanti all’organico nerazzurro: Sánchez è stato riscattato dal Manchester United e Achraf Hakimi sarà certamente un valore aggiunto sulla corsia di destra rispetto a Candreva e Moses, inoltre può essere usato anche sull’altra corsia. Il cileno è una conferma importante ma non sposterà granché, mentre il miglioramento garantito dal terzino marocchino sarà dovuto solo al delta di valore tra il nuovo acquisto e i giocatori di cui prenderà il posto, non tanto a una variazione dell’assetto di gioco. E allora viene da chiedersi: quanti e quali sono i giocatori di primissimo livello pronti a entrare subito in sintonia con il gioco di Conte? E quanti di questi sono accessibili per l’Inter in una sola sessione di mercato?

Le risposte a queste domande spiegano quanto sia complicato progettare un organico sul modello di Conte, quanto sia difficile trovare nuovi giocatori in grado di far crescere una squadra così rigida e già molto forte. L’accidentato inserimento di Christian Eriksen è legato proprio a questa contraddizione: il danese ha un grandissimo talento, Conte ha provato a inserirlo ma poi ha deciso di non forzare troppo, di non intaccare l’equilibrio trovato a un certo punto della stagione, seppure in un contesto atipico come quello del calcio post-lockdown. Anche contro il Siviglia, l’ex centrocampista del Tottenham ha giocato pochi minuti, entrando al posto di Gagliardini, in una sostituzione intenta a stravolgere il meno possibile lo scheletro della squadra – e infatti Conte ha rinunciato alla difesa a tre solo al 90esimo, quando ha effettuato il cambio Candreva-Godin.

Nella sua prima stagione sulla panchina dell’Inter, Antonio Conte ha messo insieme 33 vittorie, 12 pareggi e 9 sconfitte in 54 partite di tutte le competizioni (Emilio Andreoli/Getty Images)

Per programmare la prossima stagione, una stagione che in realtà è già iniziata, l’Inter può e dovrà ripartire dai risultati, da un secondo posto in campionato che mancava dal 2011, dagli 82 punti conquistati, dalla prima finale europea disputata in dieci anni, tutti traguardi raggiunti grazie al lavoro di Conte. Allo stesso modo, questo stesso approccio ha mostrato dei limiti chiari, di natura tattica e relativi alla gestione degli uomini: Conte non sceglie una squadra titolare praticamente fissa perché “snobba” arbitrariamente delle competizioni rispetto ad altre, semplicemente non può rinunciare a certi giocatori, ai giocatori in grado di garantirgli la carica emotiva e atletica che caratterizza la sua squadra ideale, i movimenti in sincronia su cui poggia l’intero sistema di gioco.

L’Inter ha sfiorato un grande successo europeo, ha creato una base solida per il suo futuro in campo e fuori, il primo anno di Conte di Conte resta assolutamente positivo nonostante la sconfitta contro il Siviglia. Subito dopo la partita, però, lo stesso Conte ha raccontato che lui e la società hanno «visioni diverse, per ognuno di noi è stata una stagione molto dura sotto tutti i punti di vista, va presa la decisione migliore per il bene dell’Inter, con o senza di me». In seguito il tecnico salentino ha accennato anche a problemi familiari e ai suoi rapporti con i dirigenti, ma al netto di questi aspetti è chiaro come pure lo stesso Conte faccia fatica a intravedere, a immaginare una strada che possa permettere all’Inter di diventare una squadra vincente già nella prossima stagione, sempre alle sue condizioni. Ora sta al management nerazzurro e all’allenatore capire cosa far prevalere, le tante certezze costruite quest’anno oppure i dubbi che l’hanno attraversato.