Garantire un futuro al calcio femminile

I progressi fatti a partire dal Mondiale francese del 2019 sono stati moltissimi, ma il supporto economico delle federazioni è a rischio. Cosa evitare, e come insistere, per far sì che la curva del gioco femminile continui a crescere.

Se il 2019 era stato decisamente l’anno migliore per il calcio femminile, la prima metà del 2020 è stata come una scivolata sugli stinchi dei progressi fatti. Ancora una volta, il calcio femminile è stato a malapena preso in considerazione nel calcolare le irreparabili perdite finanziarie portate dall’epidemia. I giornali, per mesi, si sono occupati dei rischi che la pandemia può portare ai bilanci dei principali club, ma nessuno, specialmente in Italia, ha pensato di indagare sul fardello che questo stop ha imposto a un campionato femminile già notevolmente impoverito. Se i più grandi club maschili hanno tremato davanti all’improvvisa incertezza economica, al punto di arrivare a tagliare gli stipendi dei propri giocatori, qual è la situazione del calcio femminile, già notevolmente debilitato? Lo spazio, arrivato durante i giorni di gloria dell’estate 2019, è già finito?

Lo scorso anno i brand, i media e il pubblico del mondo prestarono un’attenzione mai vista prima. Sembrò l’inizio di una nuova era: un risveglio che avrebbe portato a un cambiamento collettivo nella percezione di tutto lo sport femminile. Era troppa popolarità per essere ignorata, e in breve anche gli influencer più importanti si trasformarono i tifosi appassionati, mettendosi in coda al movimento, impazienti ed entusiasti. Il successo è, probabilmente, da attribuirsi al Mondiale giocato in Francia a giugno, anche se la rinascita del calcio femminile è probabilmente parte di una più ampia conversazione su gender equality, pay gap e rappresentazione. «Il calcio è lo specchio della società», mi dice a proposito la regista Kely Nascimento-Deluca, parlando del suo documentario Warrior of a Beautiful Game, un film sulla “comunità globale” del calcio femminile. Non sorprende che la Nazionale femminile Usa sia diventata – consapevolmente – l’icona di un movimento contro il pay gap, dopo aver vinto il trofeo in finale contro l’Olanda. Campionesse del mondo per la seconda volta di fila: una vittoria che aveva confermato il titolo di squadra più vincente nella storia del calcio femminile, doppiando di parecchi giri il suo corrispettivo maschile. Il coro «Equal pay!» che si alzò dallo stadio mentre Megan Rapinoe sollevava il trofeo era la conferma dell’ampio appoggio pubblico per la battaglia.

Per la prima volta nella storia, inoltre, una calciatrice (donna) era diventata il volto di un brand di moda di lusso: per la sua campagna Primavera-estate 2020, Loewe aveva scelto Rapinoe, nel frattempo nominata miglior giocatrice del torneo. Nella foto, finita sulle più importanti riviste di moda del mondo, Megan è ritratta con i capelli lilla e il tipico ghigno che mostra dopo un gol, confermando il nuovo ruolo delle calciatrici come icone dotate però di una precisa mentalità. Il Mondiale ha dato un’accelerazione decisiva al decollo di uno sport ricchissimo di potenziale, mostrando che, anche commercialmente, si tratta di un prodotto di valore per il prime time, con atlete che meritano di essere trattate da professioniste. Eppure, lo status professionale è stato un traguardo raggiunto soltanto nel corso degli ultimi cinque anni, per le squadre femminili, nonostante i progressi eccezionali di diverse squadre.

Susie Petrucelli, ex calciatrice della University of Harvard nonché autrice premiata, mi racconta quanto sia impaziente per il prossimo Mondiale, che sarà con tutta probabilità, dice, ancora migliore, considerata la velocità di crescita mostrata da molte nazioni. Nei nostri scambi di mail, cita un dettagliato documento pubblicato da Amanda Vandervort, Chief Women’s Football Officer della Federazione internazionale dei calciatori professionisti, che analizza lo stato dell’arte del settore. Il titolo è Raising Our Game, e riassume bene la necessità del calcio femminile di crescere in modo sano: «Il report spiega, in breve, che i prossimi passi necessari per lo sviluppo dell’industria devono passare da un lavoro congiunto delle Federazioni per assicurare a tutte delle condizioni minime per poter lavorare, globalmente», riassume lei. Sembra assurdo, ma spesso le calciatrici, per giocare, spendono più di quanto guadagnano. Il calcio femminile non deve però necessariamente seguire gli stessi passi di quello maschile per arrivare ai suoi obiettivi: è fondamentale, invece, insistere sulla formazione di base, e sarà importante immaginare carriere che possano evolvere, per le giocatrici, anche dopo il ritiro.

La rappresentazione e la visibilità delle opportunità in gioco nello sport devono aumentare: la percezione che una carriera nel mondo del calcio sia più difficile per una donna che per un uomo è ancora molto diffusa. I social media sono un ottimo strumento per smontare gli stereotipi: un esempio è dato dall’account Instagram fondato da Amy Druquer, This Fan Girl, un luogo in cui tifose di ogni tipo possono ritrovarsi a condividere la loro passione per il calcio.

La Nazionale femminile italiana ha partecipato al Mondiale femminile 2019, vent’anni dopo l’ultima volta; le Azzurre hanno raggiunto i quarti di finale, il miglior risultato dal 1991, ma soprattutto hanno coinvolto tantissimi tifosi: la gara contro l’Olanda è stata vista in tv da oltre cinque milioni di telespettatori (Lionel Bonaventure/AFP via Getty Images)

Emma Townley, Senior Creative per We Are Social Sport, e membro del collettivo, mi racconta a proposito della sua esperienza in agenzia: «Ho notato un cambiamento nel modo in cui i brand si approcciano ai nuovi progetti: le narrazioni stanno diventando più focalizzare sulle donne e sul mondo femminile, ed è un ottimo risultato. Ma devono crescere ancora». Sonya Kondratenko, esperta di Mls e calcio italiano, ha lavorato nel mondo del giornalismo sportivo Usa a lungo, da Kick Tv fino a Copa90, e concorda sul fatto che ciò che sta schiacciando verso il basso il calcio femminile sia ancora la mancanza di una giusta rappresentazione e investimenti da parte delle organizzazioni più potenti: «Sono cresciuta nella nazione con la squadra di calcio femminile più forte del mondo, eppure da bambina non pensavo nemmeno potesse essere, per me, una possibilità. L’accesso allo sport è ancora troppo difficile».

Quello che ci vuole, perché il calcio femminile continui a crescere, sono investimenti continui ed estesi, da parte della Fifa e delle Federazioni locali: creare un ambiente sostenibile e salutare per le calciatrici, garantendo l’accesso a strutture all’altezza, personale qualificato, e materiali. Solo così il calcio femminile sarà in grado di crescere con la giusta intensità. Dall’altro lato, considerata l’attuale situazione, e le discussioni ancora in corso sulla forma in cui riprenderanno i campionati, e il futuro delle partite con meno tifosi presenti o addirittura completamente assenti, il calcio femminile può diventare un modello per il corrispettivo maschile: come trovare passione e amore per il gioco anche con un potere finanziario notevolmente indebolito.

Da Undici n° 33