Su Amazon Prime Video arriva All or Nothing: Tottenham Hotspur, una docu-serie in nove episodi che racconta l'ultima stagione degli Spurs. Ma, soprattutto, una straordinaria occasione per ammirare José al suo meglio.
Il tempo concesso a Mauricio Pochettino per uscire di scena non lascia dubbi. Ai produttori di All or Nothing: Tottenham Hotspur, la nuova serie in nove puntate disponibile su Amazon Prime Video (ogni lunedì, a partire dal 31 agosto, fuori tre episodi), non sarà sembrato vero: ritrovarsi da un giorno all’altro in “casa” José Mourinho, decisamente l’uomo giusto al momento giusto. Poco importa se a qualche zelante commentatore sportivo il vecchio José apparirà come la versione spompata e malridotta dell’uomo che nello scorso decennio seminava panico in giro per l’Europa. Più che il palmarès, conta il personaggio: e quello di Mourinho conta terribilmente – ci sarà un motivo se i momenti emotivamente apicali sono costruiti sempre attorno ai discorsi del tecnico portoghese.
Il formato della docu-serie dedicato agli Spurs è ben conosciuto, rodato e di successo: le telecamere hanno accesso alle stanze segrete del club, ai luoghi sacri come lo spogliatoio e alle voci esclusive dei protagonisti. Amazon Prime Video lo ha sperimentato in varie realtà sportive prima di arrivare al calcio nel 2018, con il Manchester City: quella fu una mezza rivoluzione, perché mai il football si era prestato a una tale rappresentazione, vivida e sfacciata, del suo quotidiano, pur con le ovvie necessità di costruzione e raffinazione del prodotto. Due anni dopo, l’effetto novità è svanito – la quantità di produzioni di genere è ormai impressionante – ma le regole del successo sono rimaste intatte.
Come nel caso di Michael Jordan e della fortunatissima serie The Last Dance, All or Nothing: Tottenham Hotspur si sceglie un protagonista forte, carismatico, attorno a cui ruotano tutta la serie e gli altri personaggi. I momenti in cui è assente José Mourinho – una rarità – servono a introdurre gli argomenti che il tecnico si ritroverà a fronteggiare ben presto: il contratto in scadenza di Eriksen, la pigrizia di Alli tale da diventare proverbiale, le paturnie di Dier e così via. Mourinho ha davvero il pedigree per raccogliere il testimone di Jordan, anche se ovviamente il racconto non ha i picchi di The Last Dance: Kane non è Rodman, ovviamente, e nessuno si permette di mandare una pizza avvelenata ad Alli o a Son. E Mourinho certo si comporta da Ceo responsabile e giudizioso più che da rockstar maledetta. Ma c’è una differenza sostanziale tra i due prodotti: la stagione che viene raccontata del Tottenham si è conclusa da un mese, non vent’anni fa.
Però, davvero, nel complesso l’effetto della docu-serie è gradevole, e per i fan dello Special One c’è da leccarsi i baffi. Se in All or Nothing Guardiola si faceva bello con i tatticismi più smodati, e acconsentiva di buon grado a far trapelare la sua dimensione più passionale ed emotiva, José sceglie la via opposta: più che un allenatore, sembra un mental coach assoldato da qualche multinazionale per resuscitare la propria immagine. La deriva da “santone” è presto esasperata dalla costruzione narrativa: i giocatori del Tottenham che, ancor prima di incontrarlo, assistono a un suo video celebrativo, e José che dal primo giorno inverte completamente la tendenza negativa, con gli Spurs che da squadra derelitta si ritrovano di punto in bianco in corsa per i posti Champions – pazienza se della sconfitta contro il Manchester United vengono mostrati solo pochi frame, ma la si ricorda in un indimenticabile discorso del nostro santone in sala video: «Siete un gruppo di bravi ragazzi, ma per novanta minuti dovrete essere degli stronzi».
Più che un allenatore, José sembra un mental coach assoldato da qualche multinazionale per resuscitare la propria immagine. La deriva da “santone” è presto esasperata dalla costruzione narrativaAlla teatralità di José contribuisce pure un sapiente utilizzo delle immagini, mai vago ma sempre puntuale e pure un po’ ficcanaso, certe volte – come nel caso degli impietosi primi piani stretti su Eric Dier a pezzi dopo essere stato levato dal campo già nel primo tempo, mentre il resto del gruppo si dimena in selvaggi festeggiamenti. Memorabile la dovizia di particolari nel momento in cui Mourinho sistema le sue cose all’interno del suo ufficio, nel corso del suo primo giorno: le telecamere anelano a una certa forma di voyeurismo mentre il nostro libera lo scatolone, mettendo in risalto una foto del cattivissimo Vinnie Jones con dedica (“Fa’ il bravo”, c’è scritto), una copia della Gazzetta dello Sport (inneggiante a chi, non c’è bisogno di dirlo) e un kitschissimo modellino (in argento, si presume data l’attenzione che si guadagna) dello stadio Luzhniki di Mosca, souvenir di una vecchia trasferta europea quando alla guida dell’Inter.
Ma per chi vuole godersi la quintessenza di José il piatto forte sono i discorsi. In spogliatoio, prima di una partita importante – nel caso del delicato match di Champions contro l’Olympiacos, sembra quasi di essere a teatro quando le luci si smorzano appena apre bocca – o nel suo ufficio, in succosissimi one-to-one con i suoi calciatori. Talmente numerosi da legittimare il dubbio: non sarà stato lo stesso Mou a volerli filmare, tutti questi incontri – l’old-fashioned Pochettino certamente si sarebbe schifato di fronte a una proposta del genere. Nel suo rilucente ufficio con vista campi e con la televisione a muro perennemente sintonizzata su Sky Sports (tranne quando parlano male di lui, ovvio: José fa una smorfia e bisbigliando un «fuck» la spegne immediatamente) i calciatori si alternano nemmeno dovessero confessarsi al prete di domenica mattina.
Ma per chi vuole godersi la quintessenza di José il piatto forte sono i discorsi. In spogliatoio, prima di una partita importante o nel suo ufficio, in succosissimi one-to-one con i suoi calciatoriSono queste le parti più interessanti, e che ricostruiscono alla perfezione l’immagine pubblica di Mourinho: uno scrupoloso manager delle emozioni. Anche di fronte alle telecamere, Mou non parla mai di tattica e moduli – nell’unica occasione in cui si mette in mostra una situazione del genere, a farsene carico è il vice Sacramento – ma è pienamente concentrato sul rapporto con i suoi calciatori. Parlando con Kane, a Mou gli scappa una promessa: farlo diventare un giocatore di dimensione internazionale, come lui ci è riuscito da allenatore (caro vecchio José, e gli scappa pure da sorridere quando lo dice). Ancora più straordinario il momento del dialogo a tu per tu con Dele Alli. Spronandolo a diventare un «top player», e a non restare soltanto un giocatore con un «potenziale top», Mou confeziona un saggio delle sue abilità oratorie, che non sfigurerebbe in un kolossal hollywoodiano: «Oggi ho 56 anni, ieri ne avevo venti. Il tempo vola. Il tempo vola. E penso che un giorno rimpiangerai il fatto di non aver raggiunto quello che potevi raggiungere».
Mourinho dà anima e consistenza a una serie che certamente partiva da altre premesse – lanciare il brand Tottenham nel mercato nordamericano, e l’intento “commerciale” del club e di Daniel Levy (altra presenza ingombrante) è evidente nell’insistere sulla bellezza (e sul costo!) del nuovo stadio, la nuova venue europea della Nfl. Ma José aggiunge quel tocco “cinematografico”, che indubbiamente attirerà anche lo spettatore medio. E se siete in cerca di insights sui grandi personaggi dello sport, All or Nothing: Tottenham Hotspur è quello che fa per voi.